Ora risiede nel Reame Beato

Per gentile concessione dell’autore, riproponiamo un testo apparso su The American Conservative in occasione della morte di Christopher Tolkien. Con l’occasione, inoltre, Vittoria Alliata di Villafranca e Valguarnera ci ha inviato un suo commento in accompagnamento all’articolo, che riceviamo e volentieri pubblichiamo.


Esaminare da tolkeniani gli eventi degli ultimi mesi significa fare un passo indietro rispetto a tutto quanto abbiamo letto ed ascoltato, subìto e rischiato finora. Significa osservare, capire e affrontare gli eventi passati e le future minacce con gli strumenti di chi già sapeva a cosa si stava andando incontro. 

Nessuno di noi è stato colto di sorpresa, né dagli eventi, né dalle molteplici interpretazioni che ne sono state date dagli uni e dagli altri, né tanto meno dalle incalzanti implicazioni per il futuro. Ognuno di noi lettori del Signore degli Anelli ha saputo gestire le forme di segregazione e i tentativi di costruire il panico, l’inimicizia e il sospetto, le tenebre e i pericoli, perché Sauron si è manifestato attraverso una serie di azioni e di personaggi che Tolkien ci ha già descritti e contro i quali ci ha già messo in guardia, dai Saruman della filantropia ai Vermilinguo della burocrazia. Non mancherà a voi trovare gli altri molteplici riferimenti a cose e persone. E’ stata anche l’occasione per capire il perché della traduzione “orchetti”, che ha suscitato tante polemiche nel corso degli anni: allora, quando l’Autore raccomandò di non esaltare quegli esseri infimi e spregevoli, evitando un termine come orchi, per non farli percepire come creature mitiche e invincibili, fra le mie tre proposte ( orcagni, orcastri, orchetti) fu scelta l’ultima. Forse una delle altre due sarebbe stata più adatta, ma intervenire sulla traduzione, come si è fatto alcuni anni fa, utilizzando proprio quel termine “orchi” scartato da Tolkien, è stato un favore fatto al nemico. Il vero nemico è infatti di tutt’altra natura e dimensione: è quell’orrido accoppiamento fra umani e orchetti, quell’angosciosa premonizione dell’uomo “nuovo” in chiave prometeica e tecnologica, fatto di intelligenza artificiale, sistemi invasivi di controllo, biotecnologie sperimentali, identità azzerata, e altri strumenti di quella fusione planetaria selettiva che è la meta dei Saruman del globalismo. Non a caso è Barbalbero a svelare la vera natura degli uruk-hai e la terribile minaccia che essi effettivamente rappresentano per il nostro futuro. E non a caso le sole terapie utili a curare le ferite inflitte dagli emissari di Sauron implicano una riscoperta delle virtù delle piante e la necessità di un guaritore dal cuore puro in cui confidare. Potremmo proseguire con le “profezie” tolkeniane, ma questi esempi bastano a farci capire perché fosse tanto importante “disinnescarne il potenziale”, prima facendoci credere si trattasse di eccentriche “fantasie”, magari un po’ gotiche e pagane, prive di alcun riferimento con il nostro mondo e di alcun suggerimento etico o “eroico” per affrontarlo, e poi – visto l’insuccesso di questo esperimento – aggredendo direttamente il testo con un aggiornamento linguistico che hai i connotati di una molesta parodìa. Senza dimenticare il tentativo di ridicolizzare l’autore stesso, attraverso una presunta “biografia” redatta dal collettivo postmaoista promotore della “nuova traduzione”, in cui Tolkien viene descritto come un “borghese piccolo”, pieno di fobie, allucinazioni e turbe psichiche, che ha “paura di impazzire” perché ostaggio di ossessioni e paranoie, fino ad “accorgersi di essersi pisciato addosso” mentre il “suo senso d’impotenza aumenta fino ad ammutolirlo”. Non stropicciatevi gli occhi. Avete letto bene. 

Chi aveva previsto con grande anticipo i rischi a cui andava incontro l’opera di JRR fu il figlio minore Christopher, il quale fino alla sua recente scomparsa combatté contro l’incalzante e ambiguo sfruttamento commerciale dell’opera, tentando di opporsi a ogni travisamento dei principi etici e ogni “adeguamento” a ideologie contemporanee. L’articolo di Bradley Birzer che lo commemora con grande commozione, gli restituisce anche il ruolo che gli compete, di fedele custode e trasmettitore, ma anche di primo continuatore ed erede spirituale dell’opera del padre. Un’opera che, come ogni epopea, è fatta non solo da coloro che raccolgono le gesta dei protagonisti, ma anche da chi le ascolta e, come noi, le ama, le condivide, ne trae insegnamento e ispirazione, ed è pronto ad ogni sacrificio per sostenerne le giuste cause. Fra queste, la contrapposizione a quel nefasto sincretismo universale che, come scrisse J.R.R a Christopher nella lettera del 9 dicembre 1943 citata da Birzer, “trasformerà tutto in un unico dannato piccolo sobborgo provinciale”, sopprimendo “ogni nicchia … come ricovero per i reazionari come noi… “ e introducendo “fobie igieniche americane, turbomoralismi, femminismo e produzione di massa, dal Vicino Oriente…… al Gran Chaco,….. dal Gondhwanaland a…. Lhasa”. Per proseguire, nella parte non citata da Birzer, con una premonitrice visione del ripugnante globish, l’aborto sincretico dell’inglese universale, e concludere con le seguenti parole, che tutti i lettori di Tolkien dovrebbero tenere bene a mente: “Trovo questo americo-cosmopolitanismo terribilmente terrificante. Non sono certo che la sua vittoria sarà poi alle lunghe così tanto migliore per il mondo della vittoria di OMISSIS. Non penso che le lettere in entrata siano censurate, ma anche se lo fossero, mi pare quanto mai inutile aggiungere che sono proprio questi i sentimenti espressi dalla maggior parte della gente – e non certo per mancanza di patriottismo.” 

Vittoria Alliata di Villafranca


Christopher Tolkien (1924-2020)

Eguagliato solamente dal padre, era un modello di devozione ed erudizione che comprendeva il mito come pochi nella storia.

21 GENNAIO 2020 |12:01 – BRADLEY J. BIRZER

Mercoledì 15 gennaio 2020 la sacra schiera dei Valar (tutti e quattordici i membri di quell’augusto consesso) accolse con lodi Christopher Tolkien mentre passava dolcemente da questa Terra di Mezzo al Reame Beato, con una breve sosta a Tol Eressëa. Un’altra dolorosa perdita per noi all’inizio del 2020, un’altra figura celebrata nelle aule di Manwë. Christopher Tolkien aveva condotto una vita esemplare, d’immensa devozione. Si era dedicato al padre nella mitologia, alla patria in tempo di guerra e alla sua civiltà in crisi.

Quando J.R.R. Tolkien morì nel settembre 1973 doveva ancora completare il grande prologo all’intera mitologia, la storia degli Antichi Giorni: Il Silmarillion. Il fatto che non fosse riuscito a terminare il lavoro pesava sull’autore e sulla moltitudine dei suoi ammiratori. Clyde Kilby, un professore del Wheaton College che aveva passato l’estate del 1966 ad aiutare Tolkien ad organizzare i manoscritti, annotò nel suo diario: «Una lettera che ho ricevuto oggi (30 luglio) da uno dei miei amici di New York dice: “Tutti noi preghiamo e accendiamo candele votive per una pronta apparizione de Il Silmarillion. Di’ a JRRT che il suo seguito non è più un culto: è uno zeitgeist. Sta delineando lo spirito di un’intera generazione universitaria.»

Chi scriveva la lettera non si era del tutto sbagliato, nonostante il palpabile entusiasmo che traboccava dalla sua penna. Per quanto Tolkien possa essere stato una figura letteraria minore negli anni Sessanta, da allora è divenuto un gigante per reputazione, successo, influenza e seguito di ammiratori. E quel successo lo deve in gran parte al suo terzogenito, Christopher.

Dopo la morte del padre, Christopher divenne l’erede letterario di tutto ciò che riguardava la Terra di Mezzo. Lasciò la prestigiosa cattedra che occupava a Oxford e si dedicò interamente all’eredità paterna. “Le lingue inventate da mio padre, sebbene complicatissime, sono più interessanti del ben esplorato campo dell’anglo-sassone” ammise all’epoca. “Vorrei preparare il materiale che resta, le altre versioni delle storie in prosa e in versi.” Le storie di suo padre e la mitologia espansa (il “Legendarium”) lo accompagnavano sin dall’infanzia, come ebbe meravigliosamente a ricordare. “Tutti noi figli avevamo molta paura di Gollum” riferirono Michael e Priscilla Tolkien nel 1974. Christopher, invece, adorava quel personaggio. I suoi fratelli ricordano che di notte spegneva “le luci e si precipitava in camera tenendo due torce accese sotto gli occhi, spaventando a morte gli altri tre!”

Quando studiava all’università, Christopher (nato il 21 novembre 1924) leggeva orgogliosamente ad alta voce i capitoli de Il signore degli anelli, che il padre stava ancora scrivendo, al formidabile gruppo letterario degli Inklings, composto da C.S. Lewis, Charles Williams e altri. Tolkien glieli aveva mandati uno dopo l’altro mentre prestava servizio come ufficiale nella Royal Air Force durante la Seconda guerra mondiale. Ciononostante, la separazione addolorava profondamente entrambi. “Il mio terzogenito (di nome Christopher) entra nella RAF a marzo” scrisse Tolkien in una lettera privata. “È il migliore dei miei ragazzi. Ciò getta un’ombra di malinconia su di noi.”

Nel 1936 o 1937, quando C.S. Lewis e Tolkien si sfidarono a scrivere ciascuno il tipo di storia che gli piaceva, il primo scelse il tema e l’ambientazione dello spazio, il secondo quelli del tempo. Sebbene Tolkien non concluse mai la sua storia, in quello che ne resta, The Lost Road (N.d.T. inedito in italiano, lett. “La via perduta”), si capisce molto dell’affetto e dell’amicizia che lo legavano a Christopher. La storia narra di un padre e un figlio che riappaiono in moltissime generazioni nella civiltà anglosassone nel corso dei secoli. “Ad ogni modo, sembrava interessato alle stesse cose e faceva le stesse domande, anche se con molta più inclinazione a oggetti e descrizioni che a parole e nomi” scriveva Tolkien ne The Lost Road. “A differenza del padre, sapeva disegnare, ma non era bravo con le ‘poesie’”. Era la verità: fu Christopher, e non suo padre, a realizzare le migliori mappe della Terra di Mezzo. Se si osserva con attenzione la mappa intitolata “L’ovest della Terra di Mezzo”, che accompagna Il signore degli anelli, si leggono le iniziali del cartografo: CJRT, Christopher John Reuel Tolkien.

Durante la Seconda guerra mondiale, oltre a inviare al figlio i capitoli che completava, Tolkien gli scriveva lettere su lettere, che aprono una finestra sul suo pensiero. In esse J.R.R. parla di tutto: dalle riflessioni sulla fede cattolica al tema della perdita, dall’amicizia alla politica. A questo proposito, in una missiva scrisse: “Il mio orientamento politico tende sempre di più all’anarchia filosoficamente intesa, ossia l’abolizione del controllo (non quella degli uomini coi mustacchi che tirano bombe), oppure alla monarchia ‘non costituzionale’. Arresterei chiunque usi la parola ‘Stato’ per intendere qualcosa che non sia l’inanimato regno d’Inghilterra e i suoi abitanti.

In un’altra lettera, Tolkien padre si preoccupava che gli Stati Uniti e l’U.R.S.S. stessero meccanizzando il mondo a loro materialistica immagine:

Bene! Mi domando (se sopravviveremo a questa guerra) se rimarrà qualche angolino, anche doloroso, per dei pezzi da museo reazionari come me (e te). Più le cose si fanno grandi, più il mondo si fa piccolo e noioso o piatto. Diventerà tutto un minuscolo, dannato sobborgo di provincia. Quando avranno introdotto i servizi igienici, il brio nel morale, il femminismo e la produzione di massa americani nel Vicino, Medio ed Estremo Oriente, nell’U.R.S.S., nella pampa, nel Gran Chaco, nel bacino del Danubio, in Africa equatoriale, ad Astrusolandia Anteriore, Ulteriore e Interna, nel Gondwana, a Lhasa e nei villaggi più sperduti del Berkshire, come saremo felici!

Se Christopher fosse davvero reazionario quanto suo padre, non abbiamo prove per dimostrarlo… o smentirlo.

La prima prova per Christopher (naturalmente dopo il 1973) fu completare Il Silmarillion. “Ho steso davanti a me l’opera omnia di mio padre, lettere, documenti, saggi, come neanche lui ha mai fatto per via del disordine in cui si trovavano le sue carte” spiegò. J.R.R. Tolkien aveva cominciato a creare la mitologia poco prima della Prima guerra mondiale, ma aveva tratto ispirazione e vitalità dal conflitto stesso, quando faticava a ricordare, oltre alla brutalità, la permanenza di bontà e bellezza. Raramente riscriveva usando la stessa copia di una storia, quasi sempre ricominciava da capo, creando pertanto “strati su strati” di manoscritti e idee. Passò gli ultimi quindici anni della sua vita a scrivere delle idee che animavano le sue storie, i personaggi e le trame, era più interessato a spiegare che a narrare. “Col passare degli anni, la mitologia e la poesia presenti nel lavoro di mio padre sprofondarono dietro l’aspetto filosofico e teologico” osservò il figlio.

Christopher assunse un giovane canadese, il futuro scrittore Guy Gavriel Kay, per aiutarlo in quell’enorme impresa. “All’inizio si pensava di produrre un testo accademico piuttosto che un racconto singolo” ricordò quindici anni più tardi. “Un libro del genere sarebbe venuto di circa 1300 pagine e sarebbe consistito in capitoli aventi come testo principale l’ultima versione del brano in questione, seguita da appendici che ne avrebbero dato letture diverse rispetto ad altre versioni precedenti, corredate da un apparato editoriale di note a piè di pagina e commenti su date, incoerenze e via discorrendo.”

Data la reputazione di Tolkien come eccellente narratore, Kay si oppose fortemente a questo approccio, sostenendo che il libro avrebbe dovuto trovare la sua struttura come racconto oppure non esistere affatto. Christopher fu d’accordo e i due procedettero capitolo per capitolo. Kay proponeva sempre soluzioni alle problematiche testuali che si presentavano. Ci volle più o meno un anno per ultimare la prima bozza, che i due finirono entro il 1° febbraio 1975. Kay “e Christopher [si sentivano] come monaci medioevali” ricordò lui. “Fu un atto d’amore per entrambi, un periodo di rigorosa disciplina mentale.”

Complessivamente, le recensioni iniziali attaccarono con ferocia Il Silmarillion, ma le vendite e il tempo hanno dimostrato che il libro è un classico, pari per importanza e bellezza a Il signore degli anelli.

Con diligenza e senza mai aspettarsene un guadagno, Christopher continuò la revisione delle opere inedite del padre: ImmaginiRacconti incompiutiIl medioevo e il fantastico (saggi accademici); The History of Middle-earth (N.d.T. lett. “La storia della Terra di Mezzo”, 12 volumi in inglese di cui solo due editi in italiano, Racconti ritrovati e Racconti perduti); I figli di HúrinLa leggenda di Sigurd e GudrúnLa caduta di ArtùBeowulfBeren e LúthienLa caduta di Gondolin.

Un anno fa, sulle pagine di questa gloriosa rivista American Conservative, scrivevo questo su Christopher, suo padre e la pubblicazione de La caduta di Gondolin, l’ultimo dei tre grandi racconti sulla Prima Era della Terra di Mezzo:

Come sempre, Christopher offre non solo la cronologia, ma anche un’analisi approfondita dei motivi per cui suo padre scelse questo o quello invece di quello o questo. La caduta di Gondolin sarà presumibilmente l’ultima opera del figlio, anche se non tutte le opere del padre sono state date alle stampe. Christopher, che ora ha 94 anni, dev’essere grandemente lodato in tutti i modi per il servizio reso non solo al genitore ma, onestamente, anche a tutta la civiltà occidentale. Dopotutto, non sarebbe troppo eccessivo paragonare la mitologia di suo padre a quella di Omero, Virgilio e Dante. Ed è superfluo ripetere che, sebbene J.R.R. Tolkien disprezzasse l’allegoria formale, la mitologia da lui creata, avviata intorno al 1913 e non del tutto ultimata nonostante il lavoro di padre e figlio, riflette tutte le nostre ansie e desideri nel mondo moderno e postmoderno. Commettiamo un grosso errore se, in rapporto alla mitologia della Terra di Mezzo, parliamo esclusivamente di J.R.R. Tolkien. In verità è dei Due Tolkien che si deve parlare: J.R.R. e Christopher.

Con mio immenso e assoluto piacere Christopher rispose alla recensione tramite il mio buon amico Carl F. Hostetter, eccelso studioso tolkieniano e ingegnere NASA:

Ti prego di ringraziare il signor Birzer per i suoi riferimenti straordinariamente (ma, bisogna dirlo, eccessivamente!) generosi al mio lavoro. Per come la vedo io, mi definisco un “archeologo letterario”. Non sono mai stato niente di più di uno scopritore e interprete delle mie scoperte. Sono incline a ritenere che il mio scopo implicito primario fosse dimostrare la pienezza e la ricchezza dei racconti della Prima Era e che Il Silmarillionera parte fondamentale del Mito. “Una lunga saga dei Gioielli e degli Anelli” diceva mio padre, “Volevo trattarli come una storia unica, a prescindere dal modo in cui sarebbero stati pubblicati.”

Be’, Christopher Tolkien, la finezza non è cosa di cui mi abbiano mai accusato e non posso fare altro che ripetere e affermare quel che scrissi un anno fa. Eri e sei un grande uomo, un modello di devozione ed erudizione. Eguagliato solamente da tuo padre, comprendevi e vivevi il mito come pochi nella storia. Grazie a te siamo un popolo e una civiltà migliore. Hai sicuramente dimostrato pienezza e ricchezza, in questo mondo e in qualunque altro.


Bradley J. Birzer è autore di J.R.R. Tolkien’s Sanctifying Myth: Understanding Middle-earth e di The Inklings: Tolkien and the Men of the West (N.d.T. entrambi inediti in italiano).

Traduzione di Francesca Montemagno

Link all’articolo originale: https://www.theamericanconservative.com/articles/now-residing-in-the-blessed-realm-christopher-tolkien-1924-2020/

Altri articoli

One Reply to “Ora risiede nel Reame Beato”

  1. Sono perfettamente d’accordo con Vittoria Alliata di Villafranca ! Il nefasto sincretismo universale !

Comments are closed.