La visione ecologica di Tolkien

Di recente pubblicazione è il volume a cura di Lorenzo Pennacchi Oltre il reale. Lovecraft, Machen, Meyrink, Smith e Tolkien: cinque scultori di universi, in cui, ad opera del curatore, è presente un saggio dal titolo La visione ecologica di J.R.R. Tolkien.

Tale scritto tratta in modo ampio e documentato la visione di Tolkien riguardo l’ambiente, ovvero, il suo amore per la natura, testimoniato dai suoi scritti attraverso gli Hobbit, gli Ent e le Entesse o gli Elfi, nonché dalla sua stessa vita. Nel Signore degli Anelli scrive:

è stato supposto da alcuni che “Percorrendo la Contea” rifletta la situazione in Inghilterra nel periodo in cui stavo finendo il mio racconto. Non è così. E’ una parte essenziale della trama, prevista dall’inizio, anche se in effetti modificata mentre il personaggio di Saruman si evolveva con la storia, e devo dire che non ha per nulla alcun significato allegorico né alcun riferimento politico contemporaneo. Ha in effetti qualche fondamento nell’esperienza, anche se esile (dato che la situazione economica era completamente differente), e in avvenimenti molto antecedenti. La campagna in cui vivevo da bambino era indecorosamente in rovina già prima che io avessi dieci anni, in giorni nei quali le automobili erano oggetti rari (io non ne avevo mai vista una) e gli uomini stavano ancora costruendo le ferrovie suburbane. Recentemente ho visto in un giornale una fotografia delle ultime rovine del mulino che un tempo prosperava accanto al suo laghetto e che a me sembrava così importante. Non mi è mai piaciuto l’aspetto del Giovane Mugnaio, ma suo padre, il Vecchio Mugnaio, aveva la barba nera, e non si chiamava Sabbioso. (Prefazione alla Seconda Edizione)

Il popolo hobbit è discreto e modesto, ma di antica origine, meno numeroso oggi che nel passato; amante della pace, della calma e della terra ben coltivata, il suo asilo preferito era una campagna scrupolosamente ordinata e curata. Ora come allora, essi non capiscono e non amano macchinari più complessi del soffietto del fabbro, del mulino ad acqua o del telaio a mano, quantunque abilissimi nel maneggiare attrezzi di ogni tipo. Anche in passato erano estremamente timidi; ora, poi, evitano addirittura con costernazione «la Gente Alta», come ci chiamano, ed è diventato difficilissimo trovarli. Hanno una vista ed un udito particolarmente acuti, e benché tendano ad essere grassocci e piuttosto pigri, sono agili e svelti nei movimenti. Sin dal principio possedevano l’arte di sparire veloci e silenziosi al sopraggiungere di genti che non desideravano incontrare, ma ora quest’arte l’hanno talmente perfezionata, che agli Uomini può sembrare quasi magica. Gli Hobbit, invece, non hanno mai effettivamente studiato alcun tipo di magia; e quella loro rara dote è unicamente dovuta ad una abilità professionale che l’eredità, la pratica, e un’amicizia molto intima con la terra hanno reso inimitabile da parte di razze più grandi e goffe. (Prologo)

La dimensione ecologica che gli scritti di Tolkien assumono è, dunque, riconosciuta dallo stesso autore, e la vediamo emergere con grande evidenza dai suoi scritti. Il testo di Lorenzo Pennacchi è una buona guida alla scoperta di tale dimensione, in quanto pone attenzione agli studi esteri, oltre a quelli italiani, e la sua analisi ha uno spessore filosofico che si nota nella ricostruzione del quadro d’insieme. Infatti, il testo non si dedica solo a Il Signore degli Anelli, ma anche alla vita dell’autore e agli altri suoi scritti, come Il Silmarillion. È secondo me questo un fatto molto importante perché in Tolkien vita ed opere sono profondamente legate e mostrano come sia letteralmente vero quello che lui stesso ebbe a scrivere in occasione della pubblicazione de Il Signore degli Anelli: “Ho rivelato il mio cuore perché lo prendessero a fucilate” (lettera 142).

Il saggio, pur rimanendo facilmente leggibile, riesce a cogliere i molteplici sguardi sul mondo naturale che le opere di Tolkien propongono, come la natura selvaggia, la terra coltivata, nonché la rovina stessa della natura, operata da Isengard e Mordor e dal male in generale. Concludendo, Pennacchi giunge a problematizzare un tema certamente non di poco peso: Tolkien era un ecologista?

Tralasciando come nel testo tale domanda venga proposta, comprendiamone la rilevanza. Certamente questo ci porta a un confronto diretto con uno scottante tema di attualità, l’ambientalismo e la difesa del nostro pianeta. Sicuramente Tolkien non era un ambientalista come potremmo definirlo noi nel 2020, essendo morto nel 1973 e non avendo conosciuto, dunque non potendo né condividere né rigettare, l’ambientalismo e l’ecologismo contemporanei. Inoltre, dobbiamo sempre tenere a mente che egli non amava la politica né la scesa in campo personale (di sé stesso) in tale agone.

Per capire quale potesse essere il suo approccio, facciamo un confronto con un altro tema di forte attualità, quello della democrazia. Tolkien scriveva:

Io non sono un <<democratico>> solo perché l’<<umiltà>> e l’eguaglianza sono principi spirituali corrotti dal tentativo di meccanizzarli e formalizzarli, con il risultato che non si ottengono piccolezza e umiltà universali, ma grandezza e orgoglio universali, finché qualche orco non riesce a impossessarsi di un anello di potere, per cui noi otteniamo e otterremo solo di finire in schiavitù. (lettera 186)

Tolkien si dice contrario alla democrazia formalizzata, alla democrazia portata a livello di un sistema di potere. Egli sostiene, invece, che la democrazia sia un fatto spirituale, perché concerne l’umiltà, la piccolezza e, dunque, il sentirsi eguali gli uni agli altri delle persone. Ritengo che per la questione ecologica possa dirsi lo stesso: egli non avrebbe apprezzato il suo elevarsi a sistema, ma avrebbe continuato ad affermare quello che in realtà ha sempre detto e che traspare dai suoi scritti, cioè che è un fatto spirituale, un atteggiamento nei confronti di quello che lui, da cattolico, avrebbe definito il Creato.

Sono questi i due aspetti che, secondo me, mancano nella riflessione di Pennacchi: la Macchina e il rapporto con Dio dell’ambiente, e dunque l’elevazione del problema ecologico a questione teologica. Infatti, seppure nel saggio si parli molto delle macchine e della modernità nonché della fede cattolica di Tolkien, manca una vera definizione della Modernità e della Macchina in relazione all’amore di Tolkien per la natura ed il riconoscimento che essa è il Creato, ed è in quanto tale che va amata: perché in essa si riflette il Creatore. In questo modo, il saggio di Pennacchi rimane un testo introduttivo, ben curato e documentato, in grado di trasportare il lettore entro la visione ecologica di Tolkien, che egli esprimeva tanto come uomo che come autore e letterato, e che ad oggi ci richiama in modo spirituale ad amare l’ambiente naturale.

Nel testo curato da Pennacchi, oltre al suo saggio sono presenti altri saggi su Lovecraft, Smith, Machen e Meyrink, a cura rispettivamente di Andrea Scarabelli, Francesco La Manno, Marco Maculotti e Roberto Cecchetti. Chiude il volume una postfazione di Adriano Monti Buzzetti dal titolo Oltre il Reale: La letteratura fantastica tra magia e modernità.

Giuseppe Scattolini

Altri articoli