Recensione: “Alla scoperta della Terra di Mezzo. Mito, linguaggio e potere nell’opera di J.R.R. Tolkien” di Paolo Nardi

di Emilio Patavini


Paolo Nardi, Alla scoperta della Terra di Mezzo. Mito, linguaggio e potere nell’opera di J.R.R. Tolkien, prefazione di Claudio Antonio Testi, Fede & Cultura 2023, 256 pp., €22

Nota: si ringrazia l’autore per aver gentilmente inviato una copia del libro al recensore.

Il primo settembre è uscito Alla scoperta della Terra di Mezzo. Mito, linguaggio e potere nell’opera di J.R.R. Tolkien, edito dalla casa editrice Fede & Cultura e scritto da Paolo Nardi, divulgatore tolkieniano sul suo canale YouTube e già autore di Leggiamo insieme Il Signore degli Anelli (2020) e Leggiamo insieme Lo Hobbit (2021). 

Alla scoperta della Terra di Mezzo è una raccolta di saggi brevi su diverse tematiche del legendarium tolkieniano, che ripropone molti dei contenuti del canale YouTube di Paolo Nardi e delle conferenze da lui tenute. Tutte queste riflessioni hanno come filo conduttore, scrive l’autore nella sua Introduzione, «il fantastico come chiave per affrontare la realtà che ci circonda e la Terra di Mezzo come universo reale perfettamente compiuto ed esplorabile» (p. 8). In particolare, il saggio si sofferma su questioni di primaria importanza per comprendere appieno il pensiero e l’opera del Professore: il ruolo del linguaggio e il suo rapporto con il mito, la riscrittura creativa delle fonti letterarie da cui Tolkien attinse per elaborare la propria mitologia, l’invenzione di pseudobiblia e la questione della traduzione all’interno della finzione narrativa tolkieniana ma anche nel mondo reale, come vedremo.

Ma andiamo con ordine e seguiamo gli argomenti del saggio.

La prima parte è dedicata a fiaba, mito e linguaggio: Tolkien scrisse espressamente che una lingua, per vivere, ha bisogno di storie scritte in quella lingua; è per questo che, per esempio, «[v]olapük, esperanto, ido, novial, ecc. ecc. sono morti, molto più morti delle antiche lingue non più usate, perché i loro autori non hanno mai inventato leggende in esperanto»1. Si passa poi a indagare il gioco filologico, fatto di rimandi testuali, fonti fittizie e pseudobiblia (come il Libro Rosso dei Confini Occidentali o il Libro di Mazarbul) e la questione della riscrittura creativa delle fonti di ispirazione di Tolkien: dalla saga norrena dei Volsunghi al poema anglosassone Beowulf, dal Kalevala finlandese al ciclo bretone di Re Artù, passando naturalmente per Sir Gawain e il Cavaliere Verde. È interessante notare come tutte queste fonti che Tolkien studiò in qualità di filologo abbiano poi ispirato rielaborazioni all’interno del legendarium o vere e proprie riscritture creative: si pensi alle traduzioni del Sir Gawain e del Beowulf, all’opera giovanile La storia di Kullervo, ai poemi de La leggenda di Sigurd e Gudrún e de La caduta di Artù, o anche al dramma in versi Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm, ispirato alle riflessioni sull’eroismo nordico e sul concetto di ofermod suscitate dal poema anglosassone La battaglia di Maldon. Come riportato da Douglas A. Anderson ne Lo Hobbit Annotato, «Tolkien disse una volta che la sua tipica reazione alla lettura di un’opera medievale non era quella di imbarcarsi in uno studio critico o filologico su di essa, ma piuttosto di scrivere un’opera moderna in quella stessa tradizione»2. Pare che il Professore avesse fatto questa osservazione al pubblico che era venuto a sentire una sua conferenza di filologia a Oxford, ma a cui Tolkien lesse invece un poema scritto di proprio pugno.

Il capitolo dedicato alle fonti di ispirazione è un’ottima rielaborazione di quanto già espresso dalla critica tolkieniana (Shippey in primis), e quindi il lettore non vi troverà nulla di particolarmente originale, ma – come si dice – repetita iuvant. A seguire, Nardi riflette sugli echi dell’esperienza di Tolkien nel primo conflitto mondiale e come essi abbiano influenzato opere come Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli, sulla scia dell’indispensabile saggio di John Garth, Tolkien e la Grande Guerra. Ampio spazio viene dedicato poi a una approfondita analisi della nuova traduzione de Il Signore degli Anelli di Ottavio Fatica, che secondo l’autore ha avuto il merito «di averci fatto recuperare il testo originale e capire come Tolkien scriveva e soprattutto ragionava, cioè da filologo, partendo dagli etimi e dalle lingue che lui amava e studiava e riplasmando la sua materia di studio: la filologia e la letteratura medievale» (p. 8). In questo capitolo vengono proposte interessanti osservazioni sullo stile letterario di Tolkien (come la differenziazione dei registri linguistici sulla base dell’interlocutore) e una rassegna di alcuni dei nomi più controversi (come i tanto chiacchierati Samplicio, Forestale, Cavallino Inalberato, Aragne) che offre l’occasione per ragionare sulle loro etimologie.

A queste analisi mi permetto di aggiungere qualche osservazione. Per esempio, a p. 126, l’autore scrive che nel mondo reale l’etimologia del cognome Baggins potrebbe collegarsi «al termine antico norreno baggi, “borsa”, che si ritiene essere la fonte del termine medio inglese bag (finito anche nell’inglese moderno, “borsa”)» (p. 126). Una possibile ipotesi è che Baggins abbia qualcosa a che fare con bæggin, una parola usata nelle contee settentrionali dell’Inghilterra (Lancashire in particolare) per indicare un pasto pomeridiano o il tè del pomeriggio, e secondo Tom Shippey il cognome di Bilbo deriverebbe proprio da questa parola che si collega peraltro a una delle attività preferite dagli hobbit. Questo termine compare in A New Glossary of the Dialect of the Huddersfield District (1928), un vocabolario del dialetto (ricco di termini di origine norrena) di Huddersfield, nello Yorkshire, per cui Tolkien scrisse una prefazione. A p. 6 viene fornita la seguente definizione: «bæggin: un pasto, ora comunemente il tè, ma anticamente qualsiasi pasto […]. Probabilmente così chiamato perché in genere i lavoratori si portavano a lavoro i pasti in una borsa di qualche tipo». O ancora, è interessante notare un curioso parallelo tra il Mondo Primario e il Mondo Secondario: il nome dello hobbit Meriadoc «è una parola gallese che deriva da mawr (“grande”) e udd (“signore”), quindi significa “gran signore”» (p. 123), e questo nome apparteneva al condottiero Conan Meriadoc, considerato il mitico fondatore della Bretagna. Ne Il Signore degli Anelli Merry stringe amicizia con re Théoden e il popolo di Rohan, tanto da essere nominato Cavaliere del Mark da Éomer per i suoi servigi e per la fedeltà dimostrata al re. Nella Lettera 297 dell’epistolario Tolkien scrive che «Rohan è un famoso nome bretone, portato da un’antica famiglia orgogliosa e potente»3, ovvero la Maison de Rohan, che si ritiene essere stata fondata proprio da Conan Meriadoc. Sempre in riferimento al capitolo sulla nuova traduzione, mi trovo meno d’accordo con l’autore sull’utilizzo del termine «anacronismi» (p. 104) in riferimento a un’opera come Il Signore degli Anelli, che per stessa ammissione dell’autore è ambientata in un’epoca storica immaginaria. Questo termine, che ho già sentito utilizzare da Fatica in una intervista durante l’edizione 2020 del Salone del Libro, entra in contraddizione con il «carattere diastorico del legendarium» (p. 128) di cui parla Nardi; se si aggiunge il fatto che l’uso delle parole in Tolkien non è mai casuale, l’uso di questo termine mi sembra piuttosto fuorviante.

Procedendo con i contenuti del libro, l’autore passa ad analizzare il sistema magico della Terra di Mezzo, che è più complesso di quanto si possa immaginare. Per prima cosa Nardi opera una distinzione tra l’arte elfica, l’elvish craft di cui Tolkien parla nel saggio Sulle fiabe4, e «gli inganni del Nemico» (p. 144), simboleggiati dalla Macchina. Per Tolkien, la Macchina è sempre sinonimo di coercizione, è per lui uno strumento di dominio e di sopraffazione. Come viene spiegato perfettamente in questo capitolo, la magia elfica (che coincide con l’Arte) ha come scopo la bellezza, la Macchina (che coincide con il Potere) ha come scopo la riduzione in schiavitù, «l’assoggettamento delle volontà altrui tramite la meccanizzazione» (p. 145). In una intervista, Christopher Tolkien disse che suo padre «ha più volte affermato che uno dei temi portanti de Il Signore degli Anelli era la Macchina. Si dovrebbe pensare a qualcosa di più di quello che la parola “macchina” ci suggerisce naturalmente: treni, automobili, aerei. Egli la usava molto concisamente per racchiudere un significato, quasi – si potrebbe dire – una soluzione alternativa allo sviluppo dei poteri innati e intrinseci e dei talenti degli esseri umani. La macchina significa per lui, significava per lui, la soluzione sbagliata, il tentativo di concretizzare i nostri desideri, come il desiderio di volare. Significava coercizione, dominio, il grande nemico per lui: coercizione di altre menti e di altre volontà – la tirannia».

Dopo essersi confrontato con l’aspetto degli elfi, anche alla luce del recente volume The Nature of Middle-earth (2021), e con il rapporto tra sogno e veglia all’interno delle opere tolkieniane, Nardi riflette poi sulla concezione del potere, inteso sempre come qualcosa «da cui bisognerebbe tenersi alla larga» (p. 187) ed esemplificato dall’Unico Anello, oggetto del potere per eccellenza che si presta a più interpretazioni: allegoria della bomba atomica (interpretazione smentita dallo stesso Tolkien), emblema di corruzione e tentazione o addirittura di vera e propria assuefazione (Shippey), l’Anello rappresenta la realizzazione dei desideri, il dominio della tecnica e l’estensione del controllo (l’Occhio di Sauron) – cosa che Tolkien non sopportava minimamente. Come nota Paolo Nardi, «Tolkien era del tutto antistatalista e avverso allo Stato moderno, etico e ideologico, visto come potere impositivo che pretende di organizzare, burocratizzare, pianificare la vita degli individui» (p. 209). A questo proposito, si pensi a quanto sia moderna e radicata nel contesto novecentesco la critica alla industrializzazione della Contea e alla deriva totalitaria avviata da Saruman nel capitolo Percorrendo la Contea / Il repulisti della Contea.

Altra tematica spinosa affrontata egregiamente dall’autore è la concezione del male nella Terra di Mezzo: gli Orchi sono irredimibili? A cui vengono affiancate questioni apparentemente meno importanti, ma che affascinano comunque l’appassionato: qual è la loro vita media? Come sono nati? Esistono le Orchesse? Tutte queste domande troveranno risposte e argomentazioni, oltre a riflessioni sulla figura del drago all’interno dell’universo narrativo tolkieniano e ad alcune osservazioni sui Nani.

Proseguendo con la lettura troviamo alcune gustose curiosità, per esempio l’avversione di Tolkien nei confronti di Walt Disney o (ahimè) dei gatti, o ancora la presenza o meno delle ali nei Balrog, la reincarnazione degli elfi, le figure dei due Maghi Blu e, come in ogni discussione tolkieniana che si rispetti, una analisi del personaggio di Tom Bombadil. Nell’ultima sezione, infine, vengono approfonditi alcuni personaggi minori del legendarium tolkieniano che meriterebbero più attenzione: da Lobelia Sackville-Baggins a Baccadoro, da Belladonna Tuc a Ghân-buri-Ghân

Alla scoperta della Terra di Mezzo è una lettura nel complesso interessante e piacevole, ricchissima di spunti e contenuti che stimolano l’approfondimento degli aspetti stilistici, linguistici, filosofici e narrativi dell’opera tolkieniana. È un saggio che non mira alla completezza, ma sa essere esaustivo e puntuale nelle tematiche che copre. Nella sua Prefazione Claudio Antonio Testi lo ha definito «il miglior volume di divulgazione tolkieniana mai pubblicato in Italia» (p. 5). Si tratta certamente di un testo che merita di essere letto. La trattazione è chiara e accurata, e soprattutto documentata, cioè basata sulle fonti di studiosi tolkieniani internazionali (Verlyn Flieger, John Garth, Tom Shippey) e nostrani (Wu Ming 4, Claudio Antonio Testi e Roberto Arduini). L’autore è un profondo esperto tolkieniano, ma l’approccio non è mai cattedratico: come scrive Testi, «ogni bravo divulgatore è anche un esperto della materia, mentre un esperto della materia può non essere (e spesso non è) un bravo divulgatore» (p. 5). Ecco, Paolo Nardi è sia un esperto tolkieniano che un ottimo divulgatore. 


  1. J.R.R. Tolkien, H. Carpenter (a cura di), Lettere 1914/1973, Bompiani, Milano 2018, p. 366 ↩︎
  2. J.R.R. Tolkien, D.A. Anderson (a cura di), Lo Hobbit annotato, Bompiani, Milano 2000, p. 11 ↩︎
  3. J.R.R. Tolkien, H. Carpenter (a cura di), Lettere 1914/1973, cit., p. 607 ↩︎
  4. J. R. R. Tolkien, C. Tolkien (a cura di), Il Medioevo e il fantastico, Bompiani, Milano 2004, p. 208 ↩︎
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Emilio Patavini (Genova, 2005). Appassionato lettore di fantasy, fantascienza, weird e horror, si interessa di letterature medievali germaniche, mitologia comparata e di studi sulla vita e le opere di J.R.R. Tolkien. Si occupa in particolare delle fonti di ispirazione mitologiche, letterarie e linguistiche di Tolkien e le loro influenze sul legendarium, e del rapporto tra Tolkien, il fantasy e la fantascienza. Nel 2019 ha tenuto una conferenza su Tolkien dal titolo “Tolkien Ritrovato”. È stato membro della Tolkien Society inglese e ha scritto articoli e recensioni per Amon Hen: Bulletin of the Tolkien Society, LibriNuovi (http://librinuovi.net/) e Liberidiscrivere (https://liberidiscrivere.com/). È intervenuto in varie puntate della web-radio “La Voce di Arda”. Nel dicembre 2020 è entrato a far parte della redazione di Tolkien Italia.