Beren e Lúthien è l’ennesimo riciclaggio di Christopher Tolkien a fini di mero profitto?

L’annuncio della pubblicazione di Beren e Lúthien il prossimo maggio ha riportato in auge la sempreverde accusa a Christopher Tolkien di speculare sull’opera paterna con operazioni editoriali di dubbia autenticità, al solo scopo di capitalizzare sul suo nome e sul popolare immaginario associato. Queste accuse, per quanto condivise su larga scala, sono però piuttosto deboli alla prova dei fatti.

Rielaborazione grafica di Tolkien Italia. Vietata la riproduzione non concordata.
Rielaborazione grafica di Tolkien Italia. Vietata la riproduzione non concordata.

 

Speciale Beren e Lúthien – Parte 2

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“Ennesimo” è una parola chiave dell’accusa e per un motivo molto semplice. Se anche l’accusatore fosse messo di fronte all’evidenza che di ciò non si tratta, potrebbe obiettare che sia già avvenuto chissà quante volte su autoreferenziale “base empirica”. È chiaro che ciò costituisca un pretesto per poter rivolgere l’accusa a priori. Nella prima pagina abbiamo già mostrato come non esista un particolare motivo per cui il capitolo Beren e Lúthien di Il Silmarillion sia da considerarsi la “versione autentica” da rimaneggiare. Partiamo quindi dal discutere questo “ennesimo“.

Quando sarebbe già avvenuto?

Prendiamo in considerazione la visione d’insieme. Christopher Tolkien abbandona la sua posizione di Fellow in Studi Scandinavi e Anglosassoni al New College della Oxford University nel 1975, a 41 anni. È uno dei filologi più brillanti della sua generazione, come il padre. La sua tesi di secondo livello (B.Litt.) è divenuta l’edizione standard della Hervarar saga ok Heiðreks, la saga islandese leggendaria di Re Heidrek il Saggio del XIII sec.; e lo è ancora oggi. Dal 1949, prima da Lecturer, insegna Antico e Medio Inglese e Antico Islandese nell’accademia più prestigiosa al mondo per il campo. Al contrario del padre non ottenne la cattedra in giovane età, tuttavia con l’amico Inkling Neville Coghill ha prodotto tra il 1958 e il 1969 ben 3 edizioni critiche dei Canterbury Tales di Chaucer. Il Chaucer a cura del padre non era stato portato a termine nemmeno dopo una gestazione ventennale.
Quando il padre muore nel 1973 Christopher sa già di essere stato indicato nelle sue volontà testamentarie come unico esecutore. È difficile dire se si fosse subito reso conto del carico di lavoro che tale posizione poteva comportare. Nell’anno delle sue dimissioni pubblica le traduzioni paterne dei poemi Medio-Inglesi Sir Gawain and the Green KnightPerla Sir Orfeo. Nel mentre è immerso nel lavoro di preparazione di Il Silmarillion ed è sicuramente per questo motivo che decide di abbandonare una promettente carriera accademica. Di recente Andy Orchard, attuale Professore Rawlinson&Bosworth di Anglosassone al Pembroke (la stessa cattedra di J.R.R. Tolkien) ha riconosciuto pubblicamente4 la statura di Christopher Tolkien come anglo-saxonist.

Una rarissima 1a ed. inglese di Il Silmarillion firmata da Christopher Tolkien, in vendita per oltre 1000 € dal sito Tolkienlibrary.com.
Una rarissima 1a ed. inglese di Il Silmarillion firmata da Christopher Tolkien, in vendita per oltre 1000 € dal sito Tolkienlibrary.com.

È proprio con la pubblicazione di Il Silmarillion nel 1977 che Christopher si guadagna le prime accuse di speculare sull’opera del padre. Un discreto successo di vendita (sopra le aspettative) per la grande attesa nata tra le generazioni che si davano il cambio nella lettura di Il Signore degli Anelli; una ricezione della critica a tratti così inclemente da far rimpiangere quella riservata al padre 20 anni prima. Nemmeno la maggior parte degli appassionati gradì, anzi molti ne furono scoraggiati e abbandonarono la lettura (un fenomeno che prosegue oggi; il bacino di partenza è stato comunque sufficiente ampio dal mantenerlo un best-seller per diverso tempo e sempre un titolo solidissimo). L’aspettativa generale era imperniata su un’opera nello stile delle storie degli Hobbit, la sensazione fu trovarsi di fronte ad una collezione dal sapore vetero-testamentario di racconti godibili intervallati da inutili lungaggini cronachistiche, indecifrabili nell’insieme, con personaggi ricorrenti difficili da ricordare. Sensazione in parte giustificata e per la gran parte no, poche furono le voci che accolsero favorevolmente il libro e nessuna senza riserve, con punte di sensibile “fuoco amico” da parte di chi aveva già cominciato a difendere Tolkien negli ambienti accademici5.
Le più accanite non si fecero scrupoli di scagliarsi contro Christopher con l’accusa di aver manomesso gli scritti paterni per sfruttare la popolarità. Probabilmente non si trattava di persone che avevano particolarmente a cuore l’opera, ma è curioso registrare che oggi chi accusa il 92enne Christopher Tolkien di speculare spesso parte dal presupposto che quanto pubblicato in Il Silmarillion costituisca un punto fermo e intoccabile (pretese che, come si è visto nella pagina precedente, non han ragion d’essere), motivo diametralmente opposto a chi lo fece allora.

In ogni caso il “fuoco amico” sortì il suo effetto. Dal dibattito conseguente l’opera di curatela e pubblicazione postuma ripartì fondamentalmente da capo3.1. Christopher Tolkien aveva dedicato 4 anni di lavoro non esclusivo per portare alla pubblicazione Il Silmarillion. Ce ne vollero almeno 4 volte tanti per Racconti Incompiuti The History of Middle-Earth: 16 anni dedicati a questi 13 volumi con minime eccezioni. Il numero di pagine ben più che decuplicato. Eppure, chi avrebbe scommesso che Racconti Incompiuti The History of Middle-Earth si sarebbero ritagliati effettivamente un posto nel mercato librario e che sarebbero stati ristampati con una discreta frequenza?

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Rayner Unwin legge la recensione di Lo Hobbit che fece da bambino, dagli speciali dell’Extended Edition del film La Compagnia dell’Anello.

Con una forma così ostica, racconti brevi incompiuti, abbandonati, abortiti, poemi in metrica allitterativa, annali in Antico-Inglese, riflessioni metafisiche, tutti introdotti, commentati e annotati, tanto l’editore Rayner Unwin quanto Christopher ne dubitavano fortemente; ma il primo aveva acconsentito ad un progetto così apparentemente sconclusionato per l’iniziale successo degli Incompiuti (un banco di prova garantito dal nome “Tolkien”) e per l’affetto che lo legava alla famiglia di Tolkien e alle sue storie: Rayner Unwin altri non era che il bambino che aveva convinto il padre a pubblicare Lo Hobbit. Neanche a dirlo, il progetto non era partito con 1+12 volumi, ma con meno della metà6.

Ci si aspetterebbe che una volta vinti tutti gli sfavori del pronostico un sodalizio editoriale volto solo allo sfruttamento del nome dell’autore e del “brand Terra-di-Mezzo”, non si metta più freni. Quello che si osserva invece è che dal 1996, anno in cui il XII vol. di HME The Peoples of Middle-Earth è pubblicato, fino al 2007 con I Figli di Húrin, Christopher Tolkien non cura nessun altro titolo sulla Terra-di-Mezzo e nessun altro titolo in assoluto. Dal 2007 al 2017 in cui uscirà Beren e Lúthien passano altri 10 anni senza un altro libro di J.R.R. Tolkien sulla Terra-di-Mezzo a cura di Christopher. Per l’impressionante numero di 2 libri negli ultimi 20 anni.

Che ha fatto nel frattempo? Dalle voci che ogni tanto trapelano dai suoi confidenti pare che non passi giorno, pure alla sua venerandissima età, senza ore di studio e preparazione dei manoscritti. Il sottoscritto non può venderla come una certezza provata, ma ne è piuttosto convinto dalla difficoltà con cui queste ammissioni si possono strappare, una riservatezza all’opposto dell’autopromozione. A giudicare dalla continuità con cui si ripetono gli intervalli, si può prendere per buono che si tratta di tempi strutturali. Dieci anni gli ci sono voluti per I Figli di di Húrin, dieci per Beren e Lúthien al netto di La Leggenda Sigurd e Gudrún (2009), La Caduta di Artù (2013) e Beowulf (2014). Canti sul modello germanico e in metro allitterativo, lezioni di traduzione dall’Antico-Inglese… Filologia specialistica e creativa: una manna per chi l’ama, certo, ma una disciplina di cosa poca tendenza che negli ultimi 60 anni si è pure smesso di chiamarla per nome. Non proprio il genere editoriale che sbanca in pochi mesi. Per tacere dell’appetibilità dei titoli che ha affidato ad altri curatori, studiosi che hanno avuto accesso ai manoscritti, compresi i confidenti di cui sopra7.

È Tolkien e vende comunque, non ci piove. Ma se davvero fosse una strategia editoriale di sfruttamento intensivo del “brand” a dispetto dell’autenticità delle opere, be’, bisogna ammettere che o Christopher e il suo editore sono dei pessimi strateghi oppure la copertura è, come dire… sofisticata. Un nuovo libro sulla Terra-di-Mezzo ogni 10 anni non è la rappresentazione ideale di una macchina da soldi. L’eventuale speculatore avrebbe piuttosto un rendimento di un nuovo libro sull’immaginario originale ogni 2, 3, 5 anni se particolarmente pigro.

Christopher nel documentario J.R.R. Tolkien: a film portrait del 1992.
Christopher nel documentario J.R.R. Tolkien: a film portrait del 1992.

Quando è successo, dunque?

Apparentemente mai, anzi una simile dovizia e pazienza può rispondere solo ad un’ideale artistico-letterario sulla forma in cui queste pubblicazioni debbano venire alla luce. Alcuni progetti di curatela hanno occupati interi decenni nella vita di Christopher, da 44 anni interamente dedicata all’opera di suo padre. È opinione condivisa tra chi ha avuto il privilegio di lavorare con lui che nessuno sembra avvicinarsi tanto alla prospettiva che si potrebbe immaginare di suo padre sull’opera quanto lui, che intenda dall’opera elementi inattingibili ad altri che non fosse l’autore stesso, come se queste storie fossero altrettanto sue. Potrebbe sembrare un rilievo superfluo, ma si tratta di un caso con pochi analoghi e che non si comprende senza considerare la vita di Tolkien padre e figlio separate e insieme. In un’intervista a LeMonde balzata agli onori della cronaca come la più radicale dichiarazione di distanza dagli adattamenti cinematografici di Peter Jackson, Christopher ha espresso con grande chiarezza la propria appartenenza alle storie del padre. Qui rivelava, non solo Lo Hobbit, ma i ricordi più antichi che possiede lo vedono ascoltare il padre che gli racconta proprio di quei Tempi Remoti.

«Per quanto strano possa sembrare, io sono cresciuto nel mondo che lui ha creato.
Per me, le città del Silmarillion sono molto più reali di Babilonia
».
— Tolkien, l’anneau de la discorde, Raphaëlle Rérolle.

Sono considerazioni estremamente semplici quelle che portano a rigettare senza mezzi termini l’idea che Christopher Tolkien e la Tolkien Estate pianifichino le proprie pubblicazioni principalmente in base al potere di vendita di un titolo (che sarebbe magari il lavoro dell’editore, non del curatore). Considerazioni comprensibili a chiunque abbia a portata di mano un altrettanto semplice elenco bibliografico e condivisibili da chiunque abbia una qualche cognizione della realtà testuale degli scritti di Tolkien, della storia di Christopher, ma anche semplicemente del mercato librario. Certo, a chi preferisce alimentare un preconcetto basato sull’ignoranza dello storico dei fatti basterà non aprire le pagine che mettano in discussione tale preconcetto. Ciò non renderà più verosimile la sua visione del mercato editoriale, ma almeno si troverà a suo agio nell’ameno immaginario di un erede profittatore (e magari pure parassita) che rappresenta il nemico comune contro cui il fan può permettersi di favoleggiare battaglie sull’autenticità dell’arte. Non è il Christopher Tolkien che interessa a noi.

Quello c’interessa è colui che da 45 anni si alza la mattina per lavorare alla scrivania e, forse, non ha bisogno di scrivere qualcosa di proprio perché sa che le storie di suo padre sono anche sue. Ci interessa perché quello è il Christopher Tolkien che decennio dopo decennio rende le storie di suo padre sempre più nostre. A giudicare dell’effetto, costui è il Christopher Tolkien reale.

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Grafica di Tolkien Italia. Vietata la riproduzione non concordata.

Un ultimo inciso giusto per fargli i conti in tasca, visto che apparentemente chi si sente in dovere di farglieli non manca mai. La Tolkien Estate è una società con solo 3 impiegati, di cui uno è il figlio Adam, che ha dato un importante contributo proprio nella redazione di I Figli di Húrin. Ha più esecutori che impiegati, in un consiglio i cui vertici sono Christopher e la sorella Priscilla e di cui fa parte sua moglie Baillie e il primogenito del terzo figlio di J.R.R., Michael George figlio di Michael. L’Estate gestisce il patrimonio letterario di Tolkien, ma i diritti d’autore della maggior parte delle opere sono affidati all’ente sussidiario Tolkien Trust, un fondo noto al grande pubblico soprattutto per la battaglia legale mossa a Warner Bros. Ent., New Line Cinema e Saul Zaentz Company contro lo sfruttamento di merchandising e materiale multimediale derivato, battaglia di cui è prima parte in causa. Entrambi i soggetti si avvalgono della consulenza e rappresentanza di Cathleen Blackburn dello studio Manches & Co., che dirige tutte le azioni e collaborazioni legali.
Ciò per cui (tristemente) non è nota Tolkien Trust è il motivo per cui l’ente è effettivamente la prima parte interessata dalla causa. Tolkien Trust è un ente benefico che usa i proventi derivati dal copyright delle opere postume di Tolkien per iniziative trasversali e costanti nel tempo, soprattutto focalizzate sul sostegno all’educazione e alle cure per l’infanzia e la vecchiaia (dal regalare libri a finanziare la ricerca sulle malattie terminali), ma anche donazioni d’emergenza in situazioni di catastrofe umanitaria come per il terremoto di Haiti, interventi ambientali e naturalmente investimenti a supporto di progetti e soggetti operanti in campi umanistici ed artistitici. Tolkien Trust è stata fondata pochi mesi prima della stampa di Il Silmarillion, nell’aprile 1977, esattamente in previsione delle pubblicazioni postume di Tolkien da tutti i suoi figli, nella speranza di poter devolvere gran parte dei ricavi delle opere e dello sfruttamento derivato ad attività caritatevoli. Un obiettivo conseguito incessantemente da allora, cui tutta la famiglia Tolkien si è applicata senza mai cavalcare l’attività e senza mai destare grande clamore. Non proprio l’immagine tradizionale degli avidi eredi che cercano di trarre profitto da ogni brandello del lascito paterno.
Un detrattore smanioso di gridare allo scandalo per l’ennesimo abuso a fini di lucro potrebbe partire dal bilancio del 2015 di Tolkien Trust e chiedersi quante ONLUS che gestiscono fondi milionari conosce (o presso le quali effettua personalmente donazioni) che devolvono regolarmente più del 50% degli introiti annuali alle sole iniziative benefiche.

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Beren and Lúthien
J.R.R. Tolkien
edited by Christopher Tolkien
and illustrated by Alan Lee

  • Data di Pubblicazione: 04/05/2017
  • Pagine: 304
  • Formato Hardback
    IBSN-10:0008214190
    IBSN-13: 978-0008214197
  • Formato Deluxe Slipcase
    IBSN-10: 0008214204
    IBSN-13: 978-0008214203
  • Formato Kindle
    ASIN: B01M6YNE52


NOTE

4 L’occasione era il lancio di Beowulf: a translation and commentary together with Sellic Spell per la BBC Radio.

5 Per una panoramica dettagliata si veda l’Introduzione in Schegge di Luce di Verlyn Flieger (Flieger, Verlyn. Splintered Light, 2nd ed. 2002).

6 Rayner Unwin, Early Days of Elder Days in Tolkien’s Legendarium: Essays on The History of Middle-earth a cura di Verlyn Flieger & Carl Hostetter, 2000.

7 Nell’ambito della filologia creativa La Storia di Kullervo (2015) e nel volume di prossima uscita The Lay of Aotrou and Itroun, per il quale ha scritto l’introduzione: entrambi sono curati da Verlyn Flieger (per approfondire l’intero filone si veda l’articolo Tolkien e il Medioevo di Roberto Arduini). Insieme a Douglas Anderson, già curatore di Lo Hobbit Annotato (1988, 2a ed. 2002), Flieger è curatrice di On Fairy-Stories (2008), edizione critica aggiornata del suo saggio seminale; l’altro saggio commentato pubblicato per l’editore ufficiale è A Secret Vice (2016) a cura di Dimitra Fimi & Andrew Higgins. Contemporaneo a I Figli di Húrin è The History of the Hobbit (2007) a cura di John Rateliff, apparato dei manoscritti di The Hobbit presentati sul modello di HME. A Wayne Hammond & Christina Scull sono invece stati affidati i volumi sulla produzione artistica di Tolkien, Artist and Illustrator (1995), L’Arte di Lo Hobbit (2011) e The Art of the Lord of the Rings (2015) e gran parte delle edizioni critiche delle opere brevi di pura invenzione: Roverandom (1998), Farmer Giles of Ham (1999) in Italia tradotto come Il Cacciatore di Draghi e Le Avventure di Tom Bombadil (2014). Fabbro di Wootton Major (2005) è invece stato affidato a Verlyn Flieger. Un semplice elenco del genere (non esaustivo!) dovrebbe pure rispondere all’accusa di gelosia, altro evergreen della percezione pubblica di Christopher Tolkien.

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