Dante e Tolkien a confronto

di Ludovica Fortunato


La tradizione letteraria italiana può vantare uno dei più grandi poeti di tutti i tempi su scala globale, cioè Dante Alighieri (1265-1321).

Dante Alighieri può essere considerato un autore sperimentale, cioè capace in un arco di tempo relativamente breve (più o meno un quarto di secolo), di passare da un genere all’altro e da uno stile ad un altro, e capace di rivoluzionare generi e stili nei quali esprimersi: inventa, in sostanza, l’autobiografia letteraria (La Vita Nova, 1293-1294), scrive il primo trattato filosofico in volgare, (Il Convivio, 1304-1308), strutturandolo come un commento a tre e sue canzoni, e un trattato sulla politica, (La Monarchia, 1310-1315); si cimenta nelle poesie in latino (Le Egloghe, 1319-1321) e crea un’opera poetica che non ha veri precedenti come la Commedia.

Tolkien, da buon medievalista, conosceva e apprezzava Dante Alighieri, infatti, in una delle lettere del Professore possiamo leggere:

Dante […] non mi attira. È pieno di rancore e malizia. Non mi interessano i suoi rapporti meschini con persone meschine in città meschine. Il mio riferimento a Dante è oltraggioso. Non mi sogno nemmeno di essere paragonato a Dante, un sommo poeta. Per un po’ sono anche stato membro della Oxford Dante Society (penso su suggerimento di Lewis, che sovrastimava di gran lunga la mia conoscenza su Dante e dell’italiano). Resta vero che trovo la “meschinità” di cui ho parlato un triste difetto in alcuni punti1.

Da questo passaggio possiamo vedere come Tolkien conosceva Dante e fra i due autori è possibile fare un confronto, andando approfondire determinati temi: quello del concetto di amore, quello del viaggio e del potere.

Sulla tematica dell’amore possiamo evidenziare la concezione dantesca dell’amore, mettendola a confronto con il tipo d’amore che caratterizza gli Elfi in Tolkien.

Per capire e comprendere a pieno la concezione dantesca dell’amore si parte dalla Vita Nova, prima opera composta da Dante dal 1292 al 1293: e si tratta di un prosimetro2 nel quale sono inserite 31 liriche (25 sonetti, 1 ballata e 5 canzoni) in una cornice narrativa di 42 capitoli. In quest’opera si narra il primo incontro di Dante con Beatrice (cioè Bice Portinari): Dante incontra Beatrice, per la prima volta, all’età di nove anni; una seconda volta quando Dante aveva diciotto anni e se ne innamorò, per poi concludersi con la morte di Beatrice.

In quest’opera Dante definisce Amore come un accidente in sustanzia, quindi si ha a che fare con una passione tipica e naturale dell’animo umano, positiva e beatificata. Affinché nasca, occorre che ci sia un cuor gentile ad accoglierlo: la visione di una donna vistosa accende questa passione, che non deve esaurirsi con il passare del tempo.

Nella canzone Donne ch’avete itelletto d’amore3 Dante compie un ulteriore passo avanti, identificando l’Amore con Beatrice stessa e dunque con la Caritas, dono di Dio che permette all’Uomo di elevarsi4. Già da questo concetto possiamo comprendere come per Dante sia importate la concezione dell’amore come relazione con l’oggetto che lo ispira, che lo porta dunque a parlare dell’oggettività e della positiva natura della donna e di Beatrice.

In Dante, l’aspetto erotico è messo in secondo piano rispetto alla dimensione spirituale dell’amore; Tolkien, invece, avvicina sia l’amore spirituale che quello erotico per il fatto che si tratta di un accostamento di tipo naturale, e questo fatto si evidenzia nella razza degli Elfi. L’amore che essi provano è infatti un sentimento nobile e puro; infatti, l’amicizia soverchia decisivamente l’eros: Tolkien sembra rifarsi alla tesi agostiniana per cui occorre indirizzare l’amore solo a quel bene che non tramonterà.

In Tolkien bellezza, purezza e verità hanno la meglio su bassezza e desideri turpi, che sono propri di Melkor e Sauron5.

Andando nel dettaglio sul concetto dell’amore, vediamo come in Dante l’amore è assolutamente monogamo e dura per tutta la vita: infatti, come Dante amò solo Beatrice, anche gli Elfi scelgono una sola compagna, ben consapevoli dell’importanza di una scelta che sarà per la vita intera. In questo caso anche nella vita di Tolkien stesso, che si innamorò giovanissimo di Edith Bratt riuscendo a sposarla solo dopo molte difficoltà. Così come molto spesso accadeva che gli Elfi scegliessero il loro compagno già in tenera età, similmente Dante vive il primo folgorante incontro con Beatrice all’età di nove anni, e afferma che da lì in poi Amore abbia preso pieno possesso della sua anima. Questo passaggio lo si evidenzia in questo passo della Vita Nova:

Appare vestita di nobilissimo colore e onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia. In quello punto dico veracemente che lo spirito de la vita, […] tremando disse queste parole: “Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur michi”. […] D’allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima6.

Anche in Tolkien il primo incontro tra Beren e Lúthien si ripresenta in modo simile:

Aggirandosi d’estete tra i boschi di Neldoreth, si imbatte Lúthien. […] Ed ecco il ricordo di tutte le sue sofferenze abbandonò Beren, ed egli cadde in preda a un incantesimo, poiché Lúthien era la più bella di tutti i Figli di Ilúvatar. Azzurro era il suo abito come il cielo senza nubi, ma grigi i suoi occhi come la sera stellata; il suo mantello era contesto di fiori dorati, ma i capelli erano scuri come le ombre del crepuscolo. Simili alla luce che resta sulle foglie degli alberi, alla voce di acque chiare, alle stelle che stanno sopra le brume del mondo, tali erano il suo splendore e la sua grazia; e il suo volto era luminoso.[…] Allora Beren fu liberato dall’incantesimo del silenzio, ed egli chiamò, invocando Tinúviel. […] Lúthien si arrestò meravigliata e più non fuggì, e Beren venne da lei. Ma, non appena gli posò gli occhi addosso, cadde preda della sorte e si innamorò. (IS Qu. XIX)

Per entrambi gli autori l’attimo dell’innamoramento è un momento sconvolgente: non c’è corteggiamento, ma si tratta di un evento inaspettato che nasce da un’irresistibile attrazione visiva. Una simile vicenda accade anche fra Aragorn e Arwen, che si incontrarono per la prima volta a Gran Burrone quando Aragorn aveva vent’anni.

Queste due donne appaiano dunque molto simili tra di loro, sia per le modalità con le quali si manifestano, sia per effetti che hanno sugli uomini che le osservano, i quali non possono far altro che soccombere alla potenza dell’amore. La caratteristica principale di queste donne è la bellezza ultraterrena che per Dante è segno diretto di una connessione con il cielo, per Aragorn acquisisce invece i tratti di un sogno. In Tolkien si può cogliere un riflesso del cielo nella bellezza degli elfi femmina, che viene evocato per Lúthien sia nel colore dell’abito che in quello degli occhi; c’è anche un forte richiamo alla luce delle stelle, in particolare per la figura di Arwen è evocata dalle gemme che porta in fronte.

Di Beatrice sappiamo che la sua pelle appare candida e da un accenno nel Purgatorio è possibile supporre che i suoi occhi fossero verdi.

Ma sia Dante che Tolkien vanno oltre alla bellezza puramente estetica, passando dal piano retorico a quello metafisico: la Bellezza è infatti riflesso diretto della Grazia divina. Già da questo possiamo vedere come per Dante, Beatrice sia in effetti una grazia e una rivelazione celeste, poiché è dotata della capacità divina di suscitare amore, differenziandosi dalle altre donne descritte dagli stilnovisti.

Nel pensiero teologico medievale l’amore è lo spirito umano nella sua più intima essenza, è la imago divina che vi risplende: la facoltà amorosa è quindi creata a immagine e somiglianza di Dio, la cui essenza è amore. Dante, chiamando Beatrice Amore7 , sostiene che in lei si esprima compiutamente la carità creata. Nel dono all’uomo di questo tipo di amore si manifesta la Grazia divina, che gli permette di elevarsi e avvicinarsi a Dio.

Tolkien riprende dalla teologia medievale questa concezione della bellezza come riflesso divino che ne favorisce la percezione; questa bellezza è presente come grazia, in opposizione al male. Gli Elfi amano la bellezza e ne sono ricolmi: tutte le loro creazioni tendono al bello, e il loro più grande desiderio è quello di mantenere inalterata e pura la bellezza della creazione.

Un esempio che possiamo citare è quello di Galadriel, che con la sua bellezza stupisce coloro che l’ammirano e con la sua gentilezza consola e risolleva tutti i membri della Compagnia dell’Anello.

Per Tolkien l’amore porta a elevarsi: quest’aspetto traspare nella sua opera nella forza inaspettata che gli innamorati trovano, proprio in virtù dell’amore, per compiere grandi imprese, come accade a Luthien e Beren nell’impresa per la conquista del Silmaril.

Questi due autori hanno anche delle differenze, prima fra tutte è la totale assenza della realizzazione dell’amore fisico in Dante, mentre in Tolkien è presente: infatti, il Professore afferma che per gli Elfi sia l’unione fisica a sancire il matrimonio8. Si tratta sempre di un amore molto al di sopra del semplice erotismo, nel quale la componente spirituale è decisivamente preponderante.

Un’altra differenza sostanziale tra i due autori sta anche nella concezione della donna quanto compagna. tra i personaggi tolkieniani compare un solo esempio di vero e proprio amore cortese, ed è quello accennato tra Gimli e Galadriel, quando la Compagnia dell’Anello si appresta a lasciare Lothlórien: il nano, sollecitato dalla dama, chiede per se soltanto uno dei suoi capelli, lodandone lo splendore che «eclissa l’oro della terra, come le stelle eclissano le gemme delle miniere» (LOTR II. VIII), per poterlo incastonare e poter venerare così il ricordo della sua bellezza.

In Dante tutto questo non lo ritroviamo, anzi Beatrice è posta chiaramente su un altro piano, superiore a quello del poeta, idea che chiaramente si stacca molto da quella dell’amore costruito quotidianamente insieme da entrambi i membri della coppia. Quindi per Dante la dimensione dell’amore e del matrimonio sono completamente staccate, fatto all’epoca molto comune.

Quindi, un confronto fra loro è senza dubbio interessante poiché permette di osservare un aspetto degli Elfi generalmente poco approfondito, anche dallo stesso Tolkien, il quale ci mostra un tipo di Amore profondo e indissolubile che ben dialoga con l’dea dell’Amore che Dante esprime.

Un’altra tematica che permette di creare un parallelismo fra i due autori è quello del viaggio, in particolare con le opere la Commedia e The Lord of the Rings dove si possono ravvisare somiglianze di carattere storico, tematico e retorico.

La Commedia è una delle opere letterarie più importanti del Medioevo occidentale proprio per il fatto che la poesia che vi troviamo al suo interno ha riferimenti storici, filosofici, teologici e scientifici.

L’inizio del poema è drammatico: Dante, si è perduto in una selva oscura fino a che Virgilio, mandato da Beatrice, lo salva e lo conduce nei tre regni ultraterreni, Inferno, Purgatorio e Paradiso. In questo viaggio Dante non è mai solo, ha sempre una guida che lo indirizza sulla retta via e intercede per lui: nell’Inferno e nel Purgatorio viene guidato da Virgilio, che non può andare oltre per il fatto che è un pagano che non ha conosciuto Dio. Virgilio consiglia e protegge Dante dai pericoli che i due incontrano nel cammino e risponde ai suoi dubbi circa la natura dei luoghi attraversati, il significato e lo scopo delle pene, l’identità dei peccatori incontrati lungo la strada.

Nell’ascesa attraverso il Paradiso la guida di Dante è invece la donna che ha amato in gioventù, Beatrice, che già nella Vita Nova era stata considerata un’anima eletta, degna di stare, dopo la morte, nel sommo cielo. Nel XXXI canto del Paradiso Dante verrà accompagnato da San Bernardo.

Le tre guide hanno funzioni e autorità diverse: è Beatrice che si è mossa dal Paradiso e ha pregato Virgilio di aiutare Dante a uscire dalla selva in cui si era perduto ed è sempre Beatrice che ha voluto riscattarlo dalla condizione di peccato in cui viveva. Quando Dante e Beatrice si incontreranno, sulla vetta del Purgatorio, Beatrice chiarirà che il doloroso passaggio attraverso l’Inferno e il Purgatorio era necessario per Dante così che potesse pentirsi e salvarsi. Infatti, la Commedia è anche un cammino di purificazione che Dante uomo compie, dallo smarrimento nella selva al pentimento e alla rinascita spirituale. E quando questo cammino sarà compiuto, nel cielo Empirico del Paradiso, Dante si troverà accanto non più Beatrice ma San Bernardo, che intercederà per lui presso Maria e lo scorterà fino al punto in cui potrà contemplare Dio.

In The Lord of the Rings la guida non è una figura così marcata come in Dante: infatti, in Tolkien non è più presente la certezza medievale di una conoscenza certa gerarchicamente trasmessa; infatti, secondo il Professore, ogni uomo deve trovare la propria verità. Questo concetto trova riscontro nel ruolo della guida in The Lord of the Rings: essa non dà certezza, può solo indicare una via e poi ognuno è da solo nel proprio viaggio.

Frodo, a differenza di Dante, non ha mai delle vere e proprie guide a cui affidarsi. Piuttosto egli, almeno nella prima parte del proprio viaggio ha dei compagni con cui prendere delle decisioni. Tra essi spicca una figura di saggezza che può essere considerato una guida, cioè Gandalf. Egli è colui che mostra a Frodo la via e lo sostiene, ma poco dopo l’inizio del viaggio muore, lasciandolo solo.

Dopo la morte di Gandalf, Frodo avrà una seconda guida, Gollum, una creatura che tende fra bene e male che cercherà di portarlo alla rovina.

Come detto all’inizio, Tolkien, da buon medievalista e filologico, conosceva bene Dante, ma anche Omero: come Dante, sceglie di aderire al canone omerico e di rappresentare a sua volta un viaggio ben definito e lineare, con una meta precisa e degli ostacoli lungo il percorso che il protagonista deve affrontare. Anche la tematica della “quest” medievale è molto presente nell’opera di Tolkien, anche se è ribaltata: Frodo parte per distruggere l’Unico Anello, non per guadagnarne uno. La problematicità si risolve se si osserva una delle storie parallele, cioè quella di Aragorn: egli, erede legittimo del Regno di Gondor riconquisterà il proprio regno.

Tolkien usa quindi la tecnica medievale dell’entrelacement per unire le diverse storie. Questa scelta sembra allontanarlo dalla scelta unitaria di Dante. Tolkien vuole mostrare il dispiegarsi della Grazia nell’intreccio tra diverse trame che si completano a vicenda (quella di Frodo e quella di Aragorn), Dante, invece, non ha bisogno di mostrare questo trionfo della Grazia, perché egli mostra nella sua opera l’artefice della Grazie stessa, Dio.

L’intento teologico è il medesimo, tuttavia per le ovvie differenze storiche, gli autori utilizzano strumenti diversi. Tolkien, infatti, non vive più nella monolitica società medievale in cui la cultura è gerarchica.

Una terza tematica che trova dei punti in comune fra i due autori è il concetto di potere.

Pur essendo due autori lontani, per entrambi la scelta fra bene e male ha un valore fondamentale perché in questa scelta si annida il male. Sia per Dante che per Tolkien la scelta che corrompe il cuore degli uomini è la brama di potere anche se in The Lord of the Rings il potere non è uno degli aspetti più importanti dell’opera. Nella Commedia, invece, Dante tratta del potere e della politica nei sesti canti delle tre cantiche, ma dove emerge in maniera rilevante è nel XXVII del Paradiso, con la dura accusa di San Pietro contro i papi corrotti, specialmente quella rivolta a Bonifacio VIII. Dante attacca fortemente i papi perché esercitano il loro potere in modo illegittimo disconoscendo, con il loro comportamento, l’autorità suprema da cui tale potere deriva. Ma nella Commedia i papi e i cardinali sono anche presenti tra gli avari e i prodighi nell’Inferno, corrotti dall’avidità di guadagno come anche i mercanti, al tempo classe emergente nella Firenze del Duecento/Trecento, che con il loro denaro esercitavano una forma di potere assoluta, entrando in competizione gli uni con gli altri, annullando i principi di solidarietà e provocando fratture sociali all’interno della città natale di Dante.

Nell’opera di Tolkien abbiamo due idee sul concetto di potere: da una parte Tolkien ha una concezione del potere simile a quella di Dante e un primo esempio lo possiamo trovare con l’Anello del Potere. Come la bramosia di potere e guadagno corrompe i papi nel loro sacro compito, questo piccolo oggetto usurpa il potere divino; nessuno può legittimamente controllarlo, quindi deve essere distrutto.

Un secondo esempio che possiamo fare, e che è più vicino a quanto Dante descrive nella Commedia, è con il personaggio di Denethor, sovrintendente di Gondor che rifiuta il ritorno del Re, cioè di Aragorn. Il parallelismo con il papato descritti da Dante sono molto evidenti, con la brama di potere che corrompe una nobile istituzione; inoltre, Tolkien definisce il potere come corruzione dell’ordine morale e naturale delle cose.


1 J.R.R. Tolkien, Lettere 1914/1973, Milano, Bompiani, 2001, p. 598.

2 Si tratta di un testo in prosa all’interno del quale sono inserite delle poesie.

3  D. ALIGHIERI, La Vita Nova, p. 24  http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_1/t11.pdf (Ultimo accesso ottobre 2022).

4 S. GIANOTTO, Gli Elfi e l’amore stilnovistico, Tolkien e Dante, in Tolkien e i classici, Effatà Editrice, Torino, 2015, p. 93.

5 . Ivi, p. 94.

6  D. ALIGHIERI, La Vita Nova, II 1-9.

7 D. ALIGHIERI, La Vita Nova, p. 39,  http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_1/t11.pdf (Ultimo accesso ottobre 2022).

8 S. GIANOTTO, Gli Elfi e l’amore stilnovistico, Tolkien e Dante, in Tolkien e i classici, Effatà Editrice, Torino, 2015, p. 98.

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Ludovica Fortunato (08/02/1997 Firenze) si è laureata con lode in Drammaturgia Musicale e Storia della Musica per il cinema e della televisione presso l’Alma Mater Studiorum, Università degli Studi di Bologna, seguita dai professori Nicola Badolato e Paolo Noto, il 7 luglio 2022.
Nel 2017 ha frequentato il corso di laurea triennale in Discipline delle Arti della Musica e dello Spettacolo presso l’Università degli Studi di Firenze laureandosi nel 2020 portando come argomento di tesi le influenze di Richard Wagner con Der Ring des Nibelungen su J. R. R. Tolkien per la stesura del romanzo The Lord of the Rings e della colonna sonora della trilogia cinematografica di H. Shore; la tesi è stata seguita dalla prof.ssa Antonella D’Ovidio.
In parallelo agli studi musicologi, Ludovica è flautista, pianista e compositrice professionista, in particolare sul repertorio romantico e colonne sonore di film, serie televisive, videogiochi e cartoni animati giapponesi, esibendosi durante le fiere comics e sul suo canale YouTube.
Attualmente frequenta il corso di laurea triennale in Didattica della Musica (canto e strumento) presso il Conservatorio Luigi Cherubini Firenze ed è docente di lingua italiana volontaria presso il Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira a Firenze.