“Barlumi di cose più alte”: recensione

di Maria Laura Piro


Barlumi di cose più alte, più profonde o più oscure della sua superficie. L’opera di Tolkien dalla critica accademica al legendarium. Chi mai sceglierebbe un titolo così lungo e particolare? Eppure i Tolkieniani Italiani hanno dato questo nome non solo ad un libro, ma anche al convegno da cui è nata questa pubblicazione. La tre giorni, naturalmente su Tolkien, si è tenuta all’Università di Macerata nel Dicembre del 2019 e la maggior parte degli interventi ivi tenutisi sono confluiti (insieme a qualche novità) in una pubblicazione uscita un anno e mezzo dopo. Leggere Barlumi (d’ora in poi lo chiameremo semplicemente così) è un’esperienza di continua di meraviglia, stupore e conoscenza: meraviglia e stupore, le stesse emozioni dipinte sul volto di Lucy Pevensie quando, entrando in un armadio, si ritrovò a Narnia; e poiché (come diceva Aristotele) è dalla meraviglia che nasce la conoscenza, quando il piccolo tolkieniano in erba pieno di stupore prova ad avventurarsi ulteriormente nella Terra di Mezzo scopre un mondo molto più vasto e profondo di come poteva apparirgli ad una prima occhiata. Barlumi prende per mano il lettore per accompagnarlo in questo viaggio.

«È come nelle grandi storie, padron Frodo […] Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che significavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire il perché. Ma credo, padron Frodo, di capire, ora».

Molti di noi hanno scoperto l’immenso legendarium tolkieniano leggendo Il Signore degli Anelli o Lo Hobbit da bambini, magari era stato un regalo del papà o un vecchio libro trovato a casa in un momento di noia; qualche altro invece ha conosciuto la Terra di Mezzo tramite i film usciti ormai vent’anni or sono… e l’esperienza è proprio quella che descrive Sam nella versione cinematografica de Le Due Torri (che parafrasa le parole del libro presenti nel capitolo Le scale di Cirith Ungol). Le storie narrate da Tolkien “restano dentro” anche se la prima volta in cui le hai conosciute eri troppo piccolo per capire il perché… leggendo Barlumi hai la possibilità di comprendere un po’ meglio cosa c’è dietro a quelle storie e perché ti erano “rimaste dentro” da bambino, ed è un viaggio pieno di sorprese.

«È pericoloso e impegnativo uscire di casa, Frodo” […] “cammini per la strada e, se non fai attenzione, chissà fin dove sei trascinato».

Così, leggendo i diversi saggi che trattano della concezione linguistica di Tolkien, scopriamo quanto egli fin da bambino amasse giocare con le parole e inventare lingue. Lui stesso chiamerà questo bizzarro passatempo «a secret vice», un vizio segreto, titolo di una discorso del 1931 successivamente pubblicato sotto forma di libro. Come ci spiega Francesca Chiusaroli (docente all’Università Statale di Macerata, come buona parte degli autori di Barlumi) fra Ottocento e Novecento la Linguistica era diventata una vera e propria scienza di stampo positivista che non ammetteva fra i suoi campi di indagine né le origini del linguaggio (in quanto risalenti ad epoche pre-storiche non indagabili) né le lingue inventate e non storiche. Tolkien, filologo e professore universitario, si era formato proprio in quel periodo, e tuttavia fu in grado di seguire la sua propria via, non conforme a quella che andava di moda in quel tempo1, divenendo glottoteta e mitopoieta. Questi due paroloni indicano il creatore di lingue e di miti, e nel caso di Tolkien il secondo discende dal primo, poiché prima viene l’invenzione linguistica e solo in seguito la creazione di una storia per quel linguaggio. Nel suo saggio Gianluca Comastri ci accompagna nel mondo della glossopoiesi tolkieniana mostrandoci quali lingue inventò Tolkien nel corso della sua vita, e in particolare come nacquero e si strutturarono le lingue della Terra di Mezzo, soprattutto quelle degli Elfi. È interessantissimo notare come lo sviluppo di queste lingue somigli a quello delle lingue indoeuropee, che il Tolkien filologo conosceva bene (come ci spiega il saggio di Diego Poli). Luisa Paglieri aggiunge un elemento molto interessante a questo discorso sul logos in Tolkien approfondendo il legame tra la parola e il misterioso personaggio di Tom Bombadil, il cui episodio è un commento a tutto Il Signore degli Anelli (come afferma lo stesso Tolkien nelle Lettere2). Anche il saggio di Luca Manini si occupa del ruolo della parola, in particolare del suo potere di riportare armonia in un mondo segnato dal Caos e dalla Caduta nelle opere di Tolkien e di William Morris (artista e scrittore britannico del 1800).

Oltre alla parola e al linguaggio, ricorre in diversi articoli il tema dell’invenzione di storie come sub-crezione: come ci spiega Davide Gorga nel suo saggio su Realtà e Fiaba, per Tolkien scrivere storie è creare un Mondo Secondario le cui regole sono simili a quelle che governano il Mondo Primario. Come le Fiabe, le storie di Tolkien hanno perciò una «intima consistenza della Realtà»3: queste storie sono vere, anche se in modo diverso rispetto alle realtà del Mondo Primario. Tutti i personaggi, dall’epico Silmarillion al più fiabesco Lo Hobbit, fanno parte di un’unica grande Storia e, come illustrato da Martina De Nicola, hanno bisogno di fare memoria del passato per poter compiere la loro missione nel presente: «Non terminano mai i racconti» disse Frodo. «Sono i personaggi che vengono e se ne vanno, quando è terminata la loro parte». Fiabe, miti ed epica sono i generi che alimentano la Fantasia Tolkieniana (molto interessante a tal proposito il saggio di Andrea Ghidoni) e questi generi letterari richiedono un’interpretazione più simbolica più che allegorica (vedi l’articolo di Chiara Nejrotti). Non manca un saggio sulla trasposizione cinematografica di Peter Jackson (a firma di Anton Giulio Mancino) e uno sui problemi legati al mondo della traduzione (di Costanza Bonelli). Un bellissimo articolo di Chiara Bertoglio indaga un argomento forse ancora poco esplorato, quello della musica nell’opera di Tolkien. L’autrice espone una lettura dell’Ainulindalë, il mito della creazione con cui si apre il Silmarillion, dal punto di vista musicale, letterario, filosofico, teologico: Arda infatti viene creata da Ilúvatar tramite la musica. Il saggio si chiude con la traduzione e il commento (a opera di Greta Bertani e Chiara Alberghini) di una poesia inedita di Tolkien, La Battaglia del campo orientale, scritta quando egli aveva solo diciannove anni ma che presenta già in nuce molti tratti del futuro mitopoieta. Senza dubbio, Barlumi ha rispettato l’invito fatto dal Professor Maurizio Migliori all’inizio sia del convegno che del libro stesso, invito a non impoverire la lettura di un’opera come Il Signore degli Anelli scegliendo di approfondire solo una delle facce che essa mostra. Un’opera va considerata un classico perché supera i dettami delle mode del momento, resiste nel tempo e parla allo spirito di ogni uomo, cogliendo la complessità e la ricchezza del realtà.

Possiamo finalmente comprendere cosa significhi il titolo Barlumi di cose più alte, più profonde o più oscure della sua superficie, tratto dalla prefazione di Tolkien alla seconda edizione de Il Signore degli Anelli:

Il processo era iniziato scrivendo Lo Hobbit, nel quale c’erano già alcuni riferimenti ad argomenti più antichi: Elrond, Gondolin, gli Alti Elfi e gli Orchetti, insieme a scorci di cose più alte, profonde od oscure rispetto alla superficie di quel libro, che si erano presentate inaspettate: Durin, Moria, Gandalf, il Negromante, l’Anello. La scoperta del significato di questi scorci e delle loro relazioni con le storie antiche svelò la Terza Era, ed il suo culmine nella Guerra dell’Anello.

Questa raccolta di saggi è scaturita e sostenuta dall’amore per Tolkien (come afferma nella prefazione il curatore, Giuseppe Scattolini) e non fa altro che accompagnare il lettore alla scoperta di cosa si celi dietro la superficie dei libri del Professore: spazi ben più profondi di quanto possa intuire chi ne ha visto solo i barlumi.


SCHEDA LIBRO
Casa Editrice: L’Arco e la Corte
Collana: Le Vie dell’Anello;
Autore: AA.VV.
Uscita: 15 Aprile 2021;
Prezzo: € 20,00;
Formato: 15×21 cm;
Pagine: 340;
ISBN: 978-88-31447-12-6.

Il libro si può ordinare, con spedizione gratuita e sconto del 5%, dal sito della casa editrice, qui


Note

1 La concezione tolkieniana di linguaggio, secondo Tom Shippey, è addirittura eretica (heresy) rispetto alla linguistica contemporanea (da De Saussure a Chomsky)

2 Lettera 147

3 Saggio di Tolkien Sulle Fiabe

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