Númenor e “The Lost Road”

Tolkien e The Lost Road: brillante ma incompiuta

Nonostante Tolkien avesse già scritto e pubblicato Lo Hobbit, egli voleva che il suo racconto sul “viaggio nel tempo” – lo stesso con cui C.S. Lewis lo sfidò a scrivere nel 1936 – fosse qualcosa di diverso e che avesse, possibilmente, legami con il mondo reale così come con il proprio mitico mondo. Lo Hobbit, dopotutto, aveva solo dato uno sguardo sulla sua ben più grande mitologia, quella che egli aveva inaugurato antecedentemente alla Prima Guerra Mondiale:

«Ho iniziato un’approssimativa opera sul viaggio nel tempo, il cui finale avrebbe visto la presenza del mio eroe durante l’inabissamento di Altantide. Questa sarebbe stata chiamata Númenor, la “Terra d’Occidente”. Il filo conduttore sarebbe dovuto  essere la ricorrenza, nelle famiglie umane (come Durin fra i Nani), di un padre e un figlio chiamati con nomi interpretabili come “Amico beato” e “Amico degli Elfi”.»1

Ritratto realizzato da Dave Malan

Nelle proprie memorie del luglio 1964, Tolkien credeva di aver originariamente composto The Lost Road (La Strada Perduta, N.d.T.) come un qualcosa di totalmente distinto dal suo ben più ampio ‘legendarium’: «Così, ho trasferito l’intero materiale da me scritto sulle leggende non correlate, almeno inizialmente, a Númenor nella mitologia principale»2, affermò. Nella sua dettagliata opera sugli scritti del padre, Christopher, tuttavia, divenne convinto del fatto che Tolkien avesse, fin dall’inizio del libro, concepito la sfortunata vicenda di Atlantide come parte integrante della sua mitologia.3 Al di là delle sue origini, la storia di Atlantide lo era, per lo meno, riguardo alla scopo e alle sue più grandi manifestazioni; le implicazioni divennero una parte fondamentale del ‘legendarium’ di Tolkien, fornendo il profilo e l’essenza della sua Seconda Era.

Un’accattivante storia su padri e figli – quasi certamente un’interpretazione autobiografica dello stesso J.R.R. Tolkien e del proprio, per lo più immaginario, padre, così come di Tolkien e di suo figlio Cristopher – The Lost Road inizia con un fanciullo, Alboin, che chiede al padre, Oswin, riguardo all’origine del suo nome. Quest’ultimo afferma in risposta:

«Beh, ti avrei potuto chiamare Ælfwine, certo: è la sua forma in Inglese antico. Avrei potuto chiamarti in quel modo, non solo dopo l’Ælfwine d’Italia, ma anche dopo gli antichi Amici degli Elfi; dopo il nipote di Alfredo il Grande, Ælfwine, il quale cadde nella vittoria del 937, e quell’Ælfwine che morì nella famosa sconfitta a Maldon, e molti altri Inglesi e uomini del nord nella lunga linea degli Amici degli Elfi. Ma io ti ho dato una forma latinizzata, che penso sia migliore. Gli antichi giorni del Nord sono divenuti un ricordo, nonostante siano parte delle cose che essi hanno modellato nella forma a noi nota, nella Cristianità. Così ho scelto Alboin, poiché non è né latino né nordico, ed è la forma di molti nomi dell’Ovest, quella che numerosi uomini portavano.»4

Affascinantemente, il racconto di Tolkien sul “viaggio nel tempo” inizia con una comprensione sia linguistica sia storica del tempo, con un’occhiata al passato. Alboin, come verrà rivelato, ha una grande capacità nell’apprendimento di linguaggi e comincia ben presto a padroneggiare il Greco e il Latino, per poi dedicarsi alle lingue norrene, al Gallese e all’Anglosassone. Oswin, tuttavia, essendo uno storico, ama molto Alboin ma nutre poca simpatia per gli interessi del figlio e lo scoraggia. Eppure, Alboin persiste, realizzando che le «lingue da lui piaciute avessero ciascuna un aroma ben definito – e, per certi versi, un sapore comune. Sembrava, inoltre, in qualche modo correlato all’atmosfera delle leggende e dei miti raccontati attraverso i linguaggi».5 A discapito delle obiezioni del padre e del riconoscere la sua autorità, Alboin sente di essere inesorabilmente “immerso” nelle lingue e nelle leggende, sia reali sia, come crede, immaginarie. I sogni che connettono Alboin ai linguaggi e ai miti vanno e vengono. A volte, essi sono opprimenti, ma, a lungo andare, scompaiono del tutto dalla sua vita.

Il padre muore, Alboin diventa adulto: The Lost Road, a questo punto, ce lo presenta come un professore di mezz’età e padre di un figlio, Audoin. Si scopre che Alboin è diventato un «ottimo insegnante. Solo all’interno di una piccola università, chiaramente, e pensava che non si sarebbe mai più mosso da lì,” spiega Tolkien. «A ogni modo, egli non era stanco di esserlo e la storia, perfino l’insegnamento di essa, pareva tuttavia interessante (e di una certa importanza). Egli faceva il suo dovere, almeno, o così sperava».6 Il rapporto tra Alboin e Audoin riflette in maniera sorprendente lo stesso che Tolkien aveva con Christopher. Come il primo, Alboin ama tutto ciò che riguarda la linguistica e la filologia, ama i giochi di parole e, come se non bastasse, la poesia. Audoin, invece, solo apprezza queste cose, mentre eccelle nelle “descrizioni” e, specialmente, nelle arti figurative.7

I sogni e lo strano linguaggio, una notte, tornano da Alboin ed egli si ritrova a interpretare gli eventi del sogno come un ricordo, come se essi fossero state delle vere e proprie memorie. La parole “Sembrano aquile del signore dell’Ovest sopra Númenor” lo turbano profondamente, ma egli non riesce ad “afferrare” il significato o il contesto. Rimuginando su come ritornare nel passato, si rimprovera del fatto di desiderare una macchina del tempo. «Il tempo non può essere conquistato dalle macchine»8, si ripete. Assieme al sonno torna anche il sogno: Alboin incontra un antico Númenóreano, Elendil, che invita lui e suo figlio a viaggiare nel passato. Quando Alboin domanda al visitatore se il viaggio nel tempo sia una violazione della legge naturale, Elendil gli dice che si tratta di una violazione delle regole, ma non di tale legge: poiché, egli afferma, il mondo del tempo e dello spazio non è regolato come una macchina, ma come un mistero. In quel mistero, ci sono sempre, per certo, delle eccezioni, e ogni persona possiede il proprio fato, unico e irripetibile.

The Lost Road si sposta sul passato, su un’irrequieta Númenor, una terra promessa che è stata, da molti suoi abitanti, data per scontata e, in buona parte, persino odiata. Dall’isola di Númenor si può scorgere ergersi Eressëa, un reame sacro e senza tempo, chiamato anche Avallon, e da qui è possibile ammirare Valinor, il regno degli dèi. Parlando in vece di molti suoi compatrioti númenóreani, uno può proclamare:

«Questo lo sai: siamo giunti nel lontano Ovest per restarvi, non per allontanarci da esso. Per conquistare nuove terre per la nostra razza e allentare la pressione di questa popolosa isola, dove ogni strada è intensamente battuta e ogni albero, ogni filo d’erba è contato. Per essere liberi, e padroni del mondo. Per sfuggire all’ombra dell’uniformità e della fine. Nominiamo il nostro re Signore dell’Ovest: Nauran Númenóren. La morte, qui, giunge lenta e di rado; eppure, essa giunge. La terra è solo una gabbia dorata atta a rassomigliare al Cielo.»9

Roger Garland, The Haven of Morionde

Il vero “Signore dell’Ovest” è il potere angelico, o un dio, Manwë, e il conferire quel titolo a qualcun altro è pura blasfemia. I Númenóreani, a quanto pare, sono divenuti degenerati e desiderosi di ciò che va oltre la loro capacità e volontà di controllare. Essi hanno in odio la loro casa e, allo stesso modo, odiano il fatto che debbano morire, mentre i loro simili, gli Elfi, godono dell’immortalità.

Ogni loro odio è stato catturato, affinato e infervorato dal falso profeta, lo gnostico Sauron, un bugiardo, un manipolatore e un ingannatore. Quando giunse, egli si definì come un vero servitore del re númenóreano, disposto a condividere la sua conoscenza di modo che gli uomini potessero acquisire sia potere sia immortalità. Sauron convince i Númenóreani perfino ad adorare il “vero dio”, Morgoth, ingiustamente accusato e incatenato dalle altre potenze angeliche, presumibilmente invidiosi del suo desiderio di conferire agli uomini conoscenza e potere. Essi innalzarono per lui un tempio, attendendo il suo ritorno dall’esilio. Prima che Morgoth ritorni, tuttavia, Sauron convince i Númenóreani a “dover vincere l’Ovest”: ovvero, invadere e conquistare Eressëa e Valinor. Attraverso le sue azioni e parole, Sauron crea malcontento, lacerando, in tal modo, la cultura e il popolo di Númenor.

Qui, purtroppo, Tolkien abbandona il suo racconto.


Note:

1 J.R.R. Tolkien a Christopher Bretherton, 16 Luglio 1964, in Tolkien, Lettere (1914/1973), Lettera 257.

2 Ibid.

3 C. Tolkien, The Lost Road, pp. 9-10. Vedi anche, H. Carpenter, Tolkien. La Biografia, pp. 173-174.

4 C. Tolkien, op. cit., 37-38.

5 Ivi, p. 39.

6 Ivi, pp. 44-45.

7 Ivi, p. 46.

8 Ivi, p. 47.

9 Ivi, p. 60.


© 2020 by Bradley Birzer. Tradotto con il permesso dell’autore. L’articolo originale in inglese si può trovare qui

Traduzione di Azaria Scavuzzo

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