Intervista a John Garth sul suo ultimo libro: “I mondi di J.R.R. Tolkien. I luoghi che hanno ispirato la Terra di Mezzo”

Domani, 17 febbraio 2021, esce in Italia l’ultimo libro di John Garth, intitolato I mondi di J.R.R. Tolkien. I luoghi che hanno ispirato la Terra di Mezzo. Lo pubblica per i lettori italiani la casa editrice Oscar Mondadori all’interno della sua collana Oscar Draghi, nella quale figurano l’edizione in volume unico de Le Cronache di Narnia del 2014 e i libri di Catherine McIlwaine. Come per i due libri di McIlwaine dedicati a Tolkien, anche questa volta la traduzione è stata affidata a Stefano Giorgianni, e analogamente al caso precedente e a quello della nuova edizione dell’Atlante della Terra di Mezzo, è stata adoperata la traduzione e la nomenclatura della nuova edizione Bompiani de Il Signore degli Anelli a cura di Ottavio Fatica.

Per presentare ai nostri lettori questo libro, abbiamo pensato di proporre la traduzione integrale di una intervista fatta all’autore. L’intervista è disponibile sul canale YouTube del Marion E. Wade Center, il centro fondato da Clyde S. Kilby presso il Wheaton College, in Illinois, e risale al maggio 2020, poco prima che nel mese di giugno il libro fosse pubblicato in lingua inglese dalla Princeton University Press.

Ringraziamo infinitamente il Wade Center per averci dato la possibilità di pubblicare la nostra traduzione della video-intervista in questa occasione, con un grazie speciale a Laura Schmidt, archivista del Wade Center dal 2005 e intervistatrice in questo evento online, che ci ha aiutato per portare a voi questo testo.


Laura Schimdt: Benvenuti a tutti! Questa è la presentazione del libro con John Garth sponsorizzata dal Marion E. Wade Center e dalla Wheaton College Tolkien Society. Il mio nome è Laura Schmidt, sono l’archivista del Wade Center e la consulente del personale per la Tolkien Society. È con piacere che vi presento l’ospite di oggi: John Garth. John Garth è uno scrittore freelance, ricercatore e divulgatore, e vanta più di 25 anni di esperienza nel campo del giornalismo. Ha studiato lingua e letteratura inglese presso il St. Anne’s College ad Oxford. Si è formato come giornalista lavorando per 5 anni in giornali locali londinesi e per 13 anni al London Evening Standard. Sul suo sito afferma che «è particolarmente interessato a come le vite personali si intersecano con i grandi eventi della storia». Egli ha avuto un grande impatto nel mondo degli studi su Tolkien nel 2003 con la pubblicazione dell’acclamatissimo libro, Tolkien e la Grande Guerra (ho la mia copia proprio qui), che ha vinto il Mythopoeic Award per gli studi nel 2004. Ha anche pubblicato uno studio nel 2014 sulla vita da studente universitario di Tolkien, intitolato Tolkien at Exeter College.

Siamo qui oggi per conoscere il suo nuovo libro, I mondi di J.R.R. Tolkien. I luoghi che hanno ispirato la Terra di Mezzo. In quest’ultima pubblicazione, John spiega la verità sulle affermazioni comunemente fatte su quali siano i luoghi nel mondo reale che hanno ispirato Tolkien, proponendo anche nuove asserzioni. Personalmente, non vedo l’ora di leggere questo libro, e questo è vero per tutti i libri di John Garth, caratterizzati da una prosa chiara e accessibile nelle ricerche e negli studi dettagliati, con approfondimenti coinvolgenti e stimolanti. 

Inizierei parlando un po’ di più del Suo background e su come ha cominciato a fare ricerca su Tolkien in particolare.

John Garth: Tolkien per me era irrinunciabile dall’età di nove anni, cioè da quando ho letto Il Signore degli Anelli. Ho riflettuto molto su quel momento e ho raccontato abbastanza spesso la storia di come ho iniziato a leggerlo. La cosa rilevante è che in realtà all’inizio erano le mappe e i nomi dei luoghi ad avermi davvero attratto, prima ancora di leggere il libro. Mia madre aveva una copia molto grande dell’edizione degli anni ’60, con la copertina di Pauline Baynes – che aveva la costa grossa e gialla e con “Tolkien” scritto in lettere rosse sul retro – la aprivo ed era di gran lunga il più grande libro di narrativa che avessi mai visto. Guardavo la mappa e pensavo: «Voglio andarci, voglio viaggiare in questo libro, voglio viaggiare in questo mondo», e l’ho fatto. 

Successivamente, sono andato a Oxford e lì ho studiato Lingua e Letteratura Inglese, ma non con i risultati di Tolkien. Devo ammettere che ero abbastanza bravo, ma non ho seguito il percorso medievale, così la mia conoscenza, che in generale era più ampia in campo moderno rispetto a quella di Tolkien, è stata attivamente e costantemente coinvolta. Non possiedo una conoscenza approfondita nel campo medievale e linguistico, dei quali lui era un esperto assoluto. Mentre gli anni passavano, ero sempre infastidito dall’idea che Tolkien fosse solo letteratura di evasione e non riuscivo a capire perché. Pensavo che fosse un grande scrittore, il solo che mi facesse commuovere intimamente e mi facesse pensare a tante cose molto profondamente: in modo particolare alla guerra, che era qualcosa molto presente nella mia mente. Leggendo le parole di Tom Shippey in La via per la Terra di Mezzo ho realmente capito le motivazioni del lavoro di Tolkien.

Più tardi, ho fatto un lavoro sull’elfico, il quale mi ha coinvolto in un attento esame dei Racconti Perduti – opera curata e pubblicata da Christopher Tolkien nel 1983, che è la prima versione del Silmarillion. Stavo studiando in modo approfondito la cronologia della composizione e ho notato che c’erano dei riferimenti alle poesie sugli elfi scritte nei campi di addestramento militare in Francia e in Gran Bretagna. Questo mi ha acceso una lampadina perché, nel mentre, stavo leggendo anche altre storie sulla Prima Guerra Mondiale: Il canto del cielo di Sebastian Faulks e Rigenerazione di Pat Barker. Questi sono ottimi libri ma hanno una visione implacabilmente realistica e cupa del tempo specifico che esaminano. Tolkien invece, che ha realmente partecipato alla Grande Guerra come soldato, scriveva di elfi, e ciò mi sembrava molto intrigante. Volevo capirne la ragione così ho scritto Tolkien e la Grande Guerra, cominciato come un articolo per una fanzine ma sviluppatosi poi come qualcosa di molto più importante.

Tolkien e il Suo interesse per la guerra erano per Lei argomento di studio all’Università oppure dedicava loro il Suo tempo libero per approfondirli? E come si concilia con i Suoi trascorsi giornalistici?

Dedicavo loro il mio tempo libero: a quell’epoca Oxford – parliamo della metà degli anni ’80 – non sembrava particolarmente fiera di Tolkien: credo che fosse una persona che difficilmente gli accademici avrebbero elogiato, anzi, molti di loro lo avrebbero criticato quanto più spesso potevano. C’era un suo busto, voluto dalla sua nuora Faith, nella biblioteca della Facoltà di Inglese, ma si trovava il più lontano possibile da qualsiasi passaggio e sembrava terribilmente isolato.

Ce n’è un altro nascosto nella cappella dell’Exeter College.

Veniamo al giornalismo: Oxford mi ha insegnato come scrivere dei saggi letterari sufficientemente decenti. Non mi ha insegnato come scrivere per comunicare con altri esseri umani, ma lo ha fatto il giornalismo. Così ho dovuto disimparare diversi insegnamenti di comunicazione ricevuti da studente. Il giornalismo mi ha insegnato a scrivere per catturare l’attenzione, mantenerla e – cosa della stessa importanza – scrivere con accuratezza e controllare le fonti, non esagerare nell’espressione dei fatti. Quando ho dovuto scrivere Tolkien e la Grande Guerra, che è stata ancora una volta una grande esperienza di apprendimento, ho trascorso circa sei mesi solo cercando di trovare la mia voce… suona terribilmente vano ma, sai, scrivi e scrivi e scrivi e pensi: «Questo non mi sembra giusto, non mi suona bene».

Ogni autore deve fare questo tipo di esperienza, non è affatto qualcosa di vano!

Esatto! E finalmente raggiungi un punto in cui ti rendi conto che stai scrivendo, che sei soddisfatto di ciò che stai scrivendo. E sento che questo concilia ciò che ho imparato come studente e ciò che ho imparato come giornalista in termini di scrittura; in più, la mia ricerca, composta in parte da giornalismo, ma in maggiore misura da ciò che avevo fatto nel tempo libero quando avevo 20 anni, curiosamente era uno studio di storia familiare. Sono sempre stato la persona più giovane di questi archivi, frequentati da pensionati…

Mi fa piacere che Lei ci sia stato da giovane. Adoro vedere le persone più giovani venire all’archivio del Wade!

E ciò mi ha insegnato che avevo un buon intuito per scovare i fatti, avevo una grande pazienza per fare ricerche con materiale che portava risultati una volta ogni due giorni; ma sapevo di avere questo desiderio incontenibile di definire i fatti e, per quanto fosse possibile, di immedesimarmici. In questo risiede una mia frustrazione per gli studi di storia famigliare, perchè la mia famiglia si è impoverita nel XIX secolo e non ha lasciato testimonianze scritte, cosicché una persona non può entrare nel loro mondo, nelle loro menti, se non leggendo la storia generale. Scrivendo su Tolkien avevo molte più risorse per penetrare nella sua mente, anche se non così tante come mi sarebbe piaciuto, perché egli non teneva un diario delle sue esperienze sulla Prima Guerra Mondiale e le sue lettere a Edith sono rimaste inedite. Nonostante ciò, è stato comunque possibile mettere insieme abbastanza informazioni da permettere a ognuno di mettersi nei suoi panni.

Questa è una delle ragioni per cui apprezzo sinceramente la Sua scrittura e capisco come i Suoi trascorsi da giornalista si conciliano con essa nel fatto che Lei comunichi qualcosa e che voglia essere un efficace comunicatore, ma anche che voglia basarsi molto su fatti e ricerche. Mi piace quando qualcosa è così accessibile, ma allo stesso tempo così penetrante. I miei studiosi preferiti fanno sempre entrambe le cose, ma è una cosa difficile da fare: avere grandi pensieri, intuizioni e ricerche, ma anche comunicare chiaramente. Ho notato questo parlando della Grande Guerra e, anche se non ho ancora visto il Suo nuovo libro, sono certa che tutto questo valga anche per esso. Ci dica qualcosa a riguardo di questo libro, I mondi di J.R.R. Tolkien, e in cosa esso si differenzia dagli altri libri esistenti sull’argomento. È da un po’ che le persone scrivono su questo tema e ci sono un sacco di dicerie su cosa abbia influenzato Tolkien.

I libri già pubblicati su questo soggetto sono interessanti: sono utili, in qualche modo. Ci sono tre libri di Robert Blackham, a partire da The roots of Middle-earth, che parla delle Midlands Occidentali, per l’area di Oxford c’è Tolkien’s Oxford e infine Tolkien in the perils of war. Sono libri tascabili con moltissime fotografie d’archivio in bianco e nero ed essi, direi, peccano in credulità. Blackham è molto desideroso di creare connessioni con l’area in cui egli stesso è cresciuto, la sua Terra di Mezzo, come la chiama, e penso che sia un po’ troppo disposto a credere che qualcosa del genere possa aver influenzato Tolkien. Infatti nel retro di uno dei suoi libri, il primo mi pare, si trova una fotografia di una delle cosiddette “due torri” di Birmingham, che erano un serbatoio d’acqua a torre e una ‘folly’, una torre senza scopo reale, che sorgeva in una strada nelle vicinanze di una delle case dell’infanzia di Tolkien. E questo tipo di pensiero ha portato all’idea, quasi ufficiale sembra, che queste due torri abbiano ispirato le due torri di Tolkien. In realtà, ci sono diversi problemi riguardanti quest’idea e ne parlo nel libro. È fondamentale notare che Tolkien creò il titolo Le Due Torri dopo aver inventato tutte le torri ne Il Signore degli Anelli, dopo aver finito di scrivere il libro e dopo che fu presentato dal suo editore con questo problema: «Dobbiamo dividere quest’enorme opera in tre volumi e abbiamo bisogno di un titolo per il corpo centrale»; così Le Due Torri fu creato come titolo e Tolkien non sapeva nemmeno a quali torri si riferisse all’inizio, grazie alla presenza di Minas Tirith, Minas Morgul, Barad-Dûr…

I tre libri di Blackham

C’è un altro libro, il cui autore è Matthew Lyons, intitolato There and Back Again: In the Footsteps of J.R.R. Tolkien. È un libro molto diverso: è una specie di pensiero esteso in cui l’autore visita vari luoghi che ritiene possano aver ispirato Tolkien e spiega come avrebbero potuto farlo. Di nuovo, credo che, anche se è una lettura molto interessante e ha alcune intuizioni corrette, l’autore sia troppo disposto a credere che una cosa specifica possa aver influenzato un certo numero di temi. Scrive, ad esempio, di una visita a Lydney Park nel Gloucestershire, dove sappiamo che, nel 1920, un archeologo di nome R.E.M. Wheeler fece uno scavo. Dopo la pubblicazione, da parte sua, del rapporto sullo scavo di questo tempio romano, Wheeler convinse Tolkien a scrivere una breve analisi del nome di un dio, Nodens, che appariva nelle iscrizioni. Matthew Lyon ricava da ciò che Tolkien abbia visitato il posto, il quale poi avrebbe ispirato nani, orchi, hobbit e varie altre cose, ma non ci sono prove che lo abbia visitato. Sappiamo che ebbe una corrispondenza con Wheeler ma nient’altro da cui possa aver ricavato tutto questo. Mi sembra assurdo. Inoltre, alcune di queste cose erano già state inventate da Tolkien, prima della sua analisi sul nome che c’era al Lydney Park.

Non spendo molto tempo a sfatare queste dicerie nel mio libro ma, facendo parte di quelli che trattano questo argomento, c’è un appendice sul Lydney Park in cui demolisco queste credenze. Nell’insieme, lo scopo del libro, per me, è studiare più approfonditamente la natura dell’ispirazione, con un metodo simile a quello usato in Tolkien e la Grande Guerra, nel quale osservo Tolkien nella storia. Qui osservo Tolkien e la geografia, legata alla cultura, alla storia e all’amore appassionato di Tolkien per il mondo naturale e per certi temi culturali. Per esempio, parlo dell’influenza del movimento Arts and Crafts a Birmingham: penso sia facile non notare questa cosa ora che ci troviamo un centinaio di anni dopo quel movimento e Birmingham è cambiata moltissimo in tutto questo tempo.

E questo è un ottimo punto di partenza per un’altra domanda collegata a ciò. Potrebbe sembrare ovvio ad alcune persone in che maniera questo libro possa essere utile agli studiosi, ma vorrei che Lei commentasse specificamente come pensa che esso avrà impatto sugli studi su Tolkien. Oppure, quale aiuto fornirà come risorsa agli studiosi che stanno analizzando Tolkien, ma anche ai lettori comuni, coloro che leggono Il Signore degli Anelli solo per piacere personale o a quelle persone che lo scoprono per la prima volta come ha fatto Lei da bambino? Cosa aggiunge questo libro come aiuto alla loro esperienza nella lettura delle opere di Tolkien?

Leggerò brevemente un passo o alcuni passi che lo spiegheranno. Uno di loro è utile a mostrare come il mondo fantastico di Tolkien non sia una vasta astrazione elaborata nello studio di un professore. Si lega strettamente con la sua esperienza, o con parte di essa. Si lega strettamente alle sue passioni per la storia e la filologia, ovviamente trattati di più da altre persone, ma che si ritrovano anche in questo libro. 

Perché sarà utile? Allora, uno dei problemi che si affrontano in una discussione sui luoghi che hanno ispirato Tolkien è che tutto quello che si aspira a ottenere è una specie di rapporto di tipo “da A a B”, “questo luogo ha ispirato quest’altro luogo”, e basta. Cosa ne ricaviamo? Non molto, credo. Devo ammettere che il libro mi è stato suggerito da un amico, che non è affatto un appassionato, e quando ho sentito l’idea ho pensato «E se lo scrivessi?». Sa, tutti parlano di questo argomento su internet e, spesso, ciò che si dice sono sciocchezze. Poi ho iniziato a dedicarmici e mi sono reso conto che c’è un vasto intreccio di idee ed è un po’ come il meraviglioso modo in cui Tolkien dispone i dettagli nei suoi scritti sulla Terra di Mezzo, quindi è incredibilmente ricco.

Le “due torri” di Birmingham

Potrebbe essere una risorsa per gli studiosi? Io spero che lo sia. Penso che lo studio del processo creativo sia immensamente affascinante e penso che dovrebbe essere un focus di studio accademico più di quando ero uno studente. Una cosa che non facevamo era guardare alla vita degli autori: non discutevamo affatto sull’intenzione dell’autore. L’abbiamo vista come così sfuggente che l’intera idea era quasi un tabù e naturalmente Tolkien ha fatto a riguardo lo stesso genere di commento e C.S. Lewis ha scritto un saggio sull’argomento, The personal heresy. Comunque, indipendentemente da quello che lo stesso autore dice, io ritengo che sia un valido argomento di studio, quindi gli ho dedicato particolare attenzione. Purtroppo non ho potuto riservare più spazio a certi argomenti. Ad esempio, l’anno scorso ho tenuto un discorso di 45 minuti, all’annuale convention della Tolkien Society – la convention di Birmingham del 2019 – sulle due torri di Birmingham, e lo spazio di questo argomento appare molto più compresso nel libro, ma sono stato molto rigoroso, credo, nel citare le fonti. Ho esaminato l’indice molto attentamente, quindi sarà uno strumento utile per le persone che vogliono dedicarvisi.

Beh, mi piace il fatto di avere questo ora come libro di riferimento al Wade Center per aiutarmi con le ricerche che affronterò. Quando ho visitato l’Inghilterra, appena un paio di anni fa, ho ritenuto abbastanza estenuante avere guide turistiche che mi dicessero cose che sapevo non essere basate sui fatti: quali dettagli architettonici di Oxford avessero influenzato C.S. Lewis e Tolkien… quindi sono davvero grata di avere qualcosa di accuratamente studiato e che sta per essere reso disponibile alla gente sia per curiosità personale sia per ragioni di studio. Credo che questo libro contenga moltissimi benefici per le persone che lo leggeranno. Quindi La ringrazio per il Suo lavoro.

(segue a p. 2)