Credit: Prime Video; Photo: Description: Morfydd Clark (Galadriel), Charlie Vickers (Halbrand)

Il nocciolo dell’originale. Riflessioni a partire dalla serie Amazon “Gli anelli del potere”

di Emanuele Cappella


Introduzione

Dopo le prime settimane trascorse dall’uscita della nuova serie Prime Video “The Lord of the Rings: The Rings of Power” le aspettative, le ansie e le polemiche legate alla nuova serie tv crescono a dismisura. 

A ormai più di 100 anni dalla genesi della saga, un parto iniziato nelle trincee della Somme [1], l’universo ideato da Tolkien si rivela attuale e vivo. Capace di scatenare dibattiti, di farci ragionare sul nostro mondo e, cosa che credo Tolkien avrebbe apprezzato, sul processo mitopoietico e la relazione tra mondo reale e l’universo sub-creativo della Terra di Mezzo [2, 3].

Il tema che mi sembra al centro della disfida, ovvero quali siano le caratteristiche di un buon adattamento, è in effetti già stato affrontato da Tolkien stesso più volte nel corso della vita, come numerose delle sue lettere possono testimoniare [4]. Partiamo allora da questo spunto: “il fallimento di alcuni film va individuato spesso proprio nell’esagerazione, e nell’intrusione ingiustificata di argomenti dovuta al fatto di non aver percepito il nocciolo dell’originale” [4 – Lettera 210]. 

Morte & Potere

Sorge allora spontanea la domanda: qual è il senso dell’opera di Tolkien? E più specificamente qual è il tema che Tolkien aveva intenzione di esplorare nella storia che Amazon cercherà di adattare sul piccolo schermo? Partiamo da Il Signore degli Anelli: “Direi che il racconto non tratta in realtà del potere e del dominio: due cose che si limitano ad avviare gli avvenimenti; tratta della morte e del desiderio di immortalità” [4 – Lettera 203]. 

Ed ecco ora una citazione sui progenitori di Aragorn, che abbiamo già imparato a conoscere nella terza puntata della serie tv: “I Numenoreani cominciarono ad avere sete della città eterna che scorgevano da lungi, e il desiderio di vita imperitura, capace di sottrarli alla morte e alla fine della felicità, si fece più forte in loro; e, a mano a mano che ne aumentavano il potere e gloria, più forte si faceva la loro inquietudine” [9].

Non solo dunque una lotta tra bene e male, a cui troppo spesso viene ridotta l’opera. Potere. Paura della morte e desiderio di immortalità. 

Peter Jackson names his favourite scene from the LOTR trilogy, what's  yours? | Page 5 | ResetEra

What the world actually looks like

Se questi sono i temi dell’opera di Tolkien, quali sono le dimensioni su cui sembra giocarsi l’adattamento? Abbiamo già come punto di riferimento le prime puntate, ma vista l’estensione e l’ambizione del progetto credo che sia altrettanto importante rifarsi alle dichiarazioni degli strateghi del progetto, ovvero i suoi showrunner. 

A questo punto passiamo la parola allo showrunner Patrick McKay [5]. Qual è secondo lui il tema della serie tv? “Anelli per gli anelli, anelli per i nani, anelli per gli uomini, e poi l’unico anello che Sauron ha usato per ingannarli tutti. È la storia della creazione di tutti questi poteri, le loro origini, e cosa fecero ad ognuna delle razze”. Per quanto mi riguarda centra il tema del potere, meno quello del desiderio di immortalità, ma la ritengo comunque una base valida. Fin qui direi che c’è margine per ben sperare (e anche entusiasmarsi nel mio caso), anche se mi sembra un riassunto un po’ scontato, quasi scolastico.

Più intriganti le parole della produttrice esecutiva Lindsey Weber: “Tolkien è per tutti. Ci è solo sembrato naturale che un adattamento del lavoro di Tolkien riflettesse ciò a cui il mondo assomiglia veramente (what the world actually looks like nella dichiarazione originale)” [6].

Credo che valga la pena ragionare su queste due righe. Personalmente la trovo una dichiarazione programmatica molto esplicita e coerente che si gioca, stando anche a quanto riflesso nello show, su una tematica di inclusività che trova due principali declinazioni [8]:

  • Empowerment femminile. Il personaggio chiave in questo senso è chiaramente la protagonista di questa prima stagione, Galadriel. Non qua in versione di maga e politica, bensì forte di spada e pugnale, irruenta, impulsiva e determinata nella vendetta. Non dimentichiamo però Miriel, che è facile prevedere emergerà ancor di più nel corso dell’opera come esempio di donna forte e piena di risorse. Come dimenticare poi la principessa dei nani Disa, che curiosamente ha fatto a lungo discutere una buona fetta del fandom per il particolare a mio avviso largamente ininfluente, considerata la vastità del progetto e di quanto c’è in gioco, per la mancanza della barba. Infine, menzione speciale per il personaggio di Nori, un Harfoot o proto-hobbit che lo show sembra indicare come possibile mentore di uno pseudo-Gandalf (non è uno spoiler ovviamente, solo la mia sensazione). 
  • Attenzione all’inclusività nel casting, da qui in particolare il personaggio di Arondir, il primo elfo di colore incluso nell’Universo Tolkien, che ha già impressionato per destrezza nel combattimento – benchè a onor del vero ancora gli manchi un Mumakil da abbattere per pareggiare con Legolas.
Arondir e Galadriel ne Gli Anelli del Potere;: Credit: Prime Video
Arondir e Galadriel ne Gli Anelli del Potere;
Credit: Prime Video

Su questi temi mi permetto di fare alcune osservazioni:

  • Sull’empowerment femminile è da rilevare come dato di fatto che, per quanto Tolkien ci abbia regalato personaggi femminili di incredibile spessore, come appunto Galadriel, solo il 18% dei personaggi del Signore degli Anelli è costituito da donne [8]. Sfruttare la serie tv per allargare la prospettiva della Terra di Mezzo mi sembra una missione lodevole. Detto questo, imperniare la serie su Galadriel è una scommessa molto forte, vista la complessità del personaggio e l’affetto dei fan storici, me compreso. Come diceva Tolkien stesso nella [4 – Lettera 209] “Mi risentirei per i cambiamenti dei personaggi […] molto di più che per i cambiamenti in peggio della trama e dello scenario”. Non potrei essere più d’accordo, ma aspetterei che l’arco del personaggio sia concluso prima di tirarne le somme.
  • Sull’inclusività del casting ricordiamo la [4 – Lettera 211] di Tolkien: “I Numenoreani di Gondor erano orgogliosi, particolari e strani, e penso che la cosa migliore sia raffigurarli come (diciamo) Egizi. Assomigliano agli Egizi sotto diversi aspetti”. Certo, Tolkien si riferiva plausibilmente alla cultura egiziana più che al colore della loro pelle, però chiediamoci: cosa conta davvero in una storia? Meglio Numenoreani egizi, coerenti dal punto di vista culturale con l’universo di Tolkien, oppure Numenoreani bianchi che però non esprimono quell’orgoglio, quella forza e quella eccentricità che Tolkien gli attribuisce? 

Per trarre delle conclusioni su questi due temi ripartirei dal Silmarillion: “Pure, il cristallo era, per i Silmaril, null’altro che ciò che il corpo è per i Figli d’Ilúvatar: la dimora del suo fuoco interiore, che è in esso e insieme in ogni parte di esso, e che ne costituisce la vita” [9]. Ciò che più importa in un personaggio, così come per i Silmaril, è il suo tema esistenziale, la sua storia, il suo nocciolo. 

Galadriel per esempio nella saga esprime la sua forza nel rifiuto di quel potere che ere prima l’aveva spinta ad abbandonare le terre immortali. La sua forza nel rifiutare l’anello è l’accettazione dei propri limiti, una forza che la accomuna a Gandalf, nientemeno. Che poi porti armatura e spada e combatta in prima linea a me personalmente fomenta moltissimo, ma è un’evoluzione del personaggio che non può venire al costo del fuoco interiore di cui Tolkien l’ha animata.

Lo stesso direi vale per i nuovi personaggi: bello e interessante che ci sia una principessa dei nani o un elfo di colore. Ma quello che più mi interessa è cosa esprimono e come. E soprattutto se queste aggiunte hanno colto il nocciolo dell’originale, pur rielaborandolo secondo nuove sensibilità e idee.

Proprio qui, temo, può cascare l’asino nel corso della serie. Tolkien ha scritto una saga “Da dedicare semplicemente all’Inghilterra, alla mia terra.”[4 – Lettera 131], cercando di esprimere quello che definisce nella stessa lettera una “Bellezza celtica”. Un mondo che dunque si è ispirato al nostro e ha tratto forza dalle passioni dell’autore ma, come tutti gli universi narrativi ben riusciti, ha acquisito una sua coerenza interna e una totale indipendenza, tanto che Tolkien odiava l’allegoria e si prodigava in battute molto gustose sul tema – la mia preferita è senz’altro “Chiedere se gli orchi sono i comunisti per me è come chiedere se i comunisti sono orchi” [4 – Lettera 203].

Torniamo ora alla dichiarazione di Lindsey Weber, e al suo “What the world actually looks like”. Non vorrei leggerci troppo, ma il mio timore è che possa significare che quello che conta non è tanto il mondo di Tolkien, la sua coerenza e originalità, quanto piuttosto il mandare un messaggio, fruibile nel nostro mondo, attraverso Tolkien. È uno scenario che per me di fatto significherebbe sposare una visione allegorica di Tolkien, dove la Terra di Mezzo si riduce a un semplice specchio del nostro mondo. O peggio, una Terra di Mezzo che ha senso solo in quanto riflesso e veicolo di significato del nostro mondo.

Nonostante queste considerazioni, voglio restare positivo e aspettare la conclusione dell’arco con fiducia. Penso che dichiarare programmaticamente di voler rivisitare Tolkien con una nuova sensibilità sia un’opera meritevole, e auguro alla serie con tutto il cuore di riuscire ad estendere l’universo Tolkeniano, essere più inclusivi e al tempo stesso preservare il nocciolo originale dell’opera. E se il desiderio sembra troppo ambizioso, ricordiamoci che Tolkien stesso sognava da ragazzo che la sua opera potesse diventare un ciclo epico a cui altri artisti avrebbero potuto lavorare: “Avrei quindi delineato interamente alcune delle narrazioni maggiori, lasciando molti altri racconti semplicemente abbozzati, e inseriti nello schema generale. I suoi cicli sarebbero stati collegati in un insieme grandioso e tuttavia avrebbero lasciato campo libero affinché altre menti e altre mani vi potessero aggiungere colori e musica e drammatizzazioni.” [4 – Lettera 131]”. 

Citazioni

[1]: Il Silmarillion – Prefazione di Christopher Tolkien, pag. 2, Bompiani Edizioni (2000)

[2]: Albero e Foglia, Bompiani Edizioni (2001)

[3]: https://annalidellaterradimezzo.blogspot.com/2020/08/luniverso-di-jrr-tolkien-la.html

[4] La realtà in trasparenza – Lettere, Bompiani Edizioni (2001)

[5] https://twitter.com/lotrupdates/status/1491773257942511616

[6] https://www.vanityfair.com/hollywood/2022/02/amazon-the-rings-of-power-series-first-look

[7] http://lotrproject.com/statistics/

[8] https://fortune.com/2022/02/19/jeff-bezos-lord-of-the-rings-show-diversity/

[9] Il Silmarillion, Edizioni Bompiani (2000)

Altri articoli

Emanuele Cappella. Dottore di ricerca in psicologia, lavoro come data analyst nel settore bancario. Lettore onnivoro, sono appassionato del Legendarium tolkieniano da quando, a 11 anni mio papà mi ha portato dalla biblioteca una vecchia edizione de “Lo hobbit”. Il mio personaggio preferito è Galadriel.