I Grandi Racconti, una presentazione del ciclo

L’opera che chiude un ciclo

Presentare un’uscita come La Caduta di Gondolin non è certamente cosa facile. Partirò da un’esperienza personale per farvi capire il perché presentare quest’opera sia allo stesso tempo difficile e necessario.

Come ogni anno, anche in quello passato ho lavorato al Meeting di Rimini, come volontario, stavolta in libreria, nella Jaca Book che apre lì ogni anno per tutta la settimana. E come ogni buona libreria che si rispetti aveva il suo “reparto Tolkien”.

Quel che ho vissuto lì in prima persona è stato il rendermi conto dal vivo quando Tolkien non sia un autore facilmente abbordabile dal grande pubblico, ed anzi, come sia tra i più complessi della storia della letteratura. È molto più facile vendere e spiegare Lewis, per esempio, il suo grande amico e compagno Inkling: ci sono i racconti delle Cronache di Narnia, poi vengono le opere di apologia cristiana, ed infine la trilogia fantascientifica del Pianeta Silenzioso. Ci siamo. Per Tolkien invece è tutta un’altra storia: le opere pubblicate da lui in persona si mescolano alle curatele del figlio Christopher, ed accanto ai grandi romanzi di Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli stanno testi che romanzi non sono, come Il Silmarillion, Beren e Lúthien, I Racconti Incompiuti, I Racconti Perduti… come si può riuscire in poco tempo a far capire a chi sfoglia quei testi la miriade di informazioni che sono necessarie al fine di comprendere cos’hanno in mano?

Certamente il primo passo è capire chi sia questo Christopher Tolkien. C’erano persone, cosa che potrà scandalizzare i tolkieniani più vecchi e incalliti ma che in realtà dovrebbe dare l’indice di quanto l’associazionismo culturale tolkieniano abbia fino ad oggi lavorato davvero male in Italia, che non sapevano chi Christopher fosse. Secondo me è addirittura un po’ sbagliato nei testi scrivere “J.R.R. TOLKIEN a cura di Christopher Tolkien”: Christopher è un vero e proprio co-autore di tanti testi di Tolkien pubblicati sotto la sua curatela e grazie alla sua ricostruzione filologica. Ma qual è l’origine di ciò e perché Christopher si è messo a fare questo grande lavoro? Per soldi? Perché il lavoro del padre gli dava la pappa pronta per vivere?

Christopher è il figlio terzogenito di Tolkien, l’unico dei quattro a condividere col padre quasi tutto: la filologia, la passione per le lingue, l’esperienza della guerra, la partecipazione al gruppo letterario informale degli Inklings (cui Christopher partecipò per una decina d’anni dopo la Seconda Guerra Mondiale), ed infine il lavoro stesso sulla Terra di Mezzo, a partire dalle mappe e dalla ricostruzione di particolari. Senza Christopher ad esempio non avremmo non solo Il Silmarillion, ma anche Il Signore degli Anelli così come lo conosciamo.

Il grande amore padre-figlio tra Tolkien e Christopher ebbe inizio certamente fin da subito, ma crebbe a dismisura durante la Seconda Guerra Mondiale, quando Christopher e suo padre arrivarono a condividere davvero tutto: ne abbiamo ampia traccia nelle Lettere, quanto Tolkien mentre racconta a suo figlio dei problemi che gli danno le galline nel pollaio, gli dice anche a che punto è arrivato nella stesura del Signore degli Anelli e gliene invia i manoscritti. Cosa interessante da notare è che in quel periodo e sotto lo stimolo e col pensiero del figlio in guerra Tolkien stava scrivendo del viaggio di Sam e Frodo, e Gollum, verso la Terra di Mordor. Dobbiamo dunque capire che nel secondo libro delle Due Torri noi non stiamo semplicemente accompagnando tre hobbit verso il Monte Fato, ma anche viaggiando assieme a un padre e a un figlio e alla loro esperienza di vita durante la seconda grande guerra.

Non per nulla poi nel suo testamento Tolkien scriverà che Christopher ha completa e totale libertà di scelta riguardo a cosa fare dei suoi manoscritti: sentiva che non erano solo suoi, ma anche di suo figlio, e penso che già prima di morire avesse capito che solo lui poteva portare a compimento la sua opera e pubblicare finalmente Il Silmarillion. E tuttavia lo lasciò completamente libero di farlo, o di non farlo: nelle opere così come nella vita Tolkien ha sempre accettato il rischio della libertà, e non l’ha mai negato.

È dunque del tutto liberamente e per amore del padre che Christopher si è dedicato al legendarium: ha rinunciato alla sua carriera di filologo, ha rinunciato a una vita sicura e si è posto sotto i riflettori delle critiche ingiuste che negli anni ha ricevuto, e questo solo per realizzare il desiderio di suo padre e soddisfare i tolkieniani e la loro curiosità. Praticamente, si è disinteressato di sé stesso ed ha dedicato la vita agli altri, a noi e a suo padre: nessuno più di lui oggi si meriterebbe come Frodo un passaggio all’Ovest da parte degli Elfi.

Nel tempo, Christopher ha pubblicato innumerevoli manoscritti del padre. Di quelli riguardanti il Beowulf, ad esempio, è riuscito a farne un buon riassunto. Ma per quanto concerne la Terra di Mezzo, ha pubblicato tutto, tra I Racconti Incompiuti e la History of Middle-earth: tra tutti sono tredici i volumi di manoscritti ampiamente annotati e commentati da Christopher.

Ma ciò non ha soddisfatto il grande curatore e critico tolkieniano per eccellenza: il suo amore per il padre era talmente forte da rendersi conto che le principali storie della Prima Era, chiamate Grandi Racconti, erano difficilmente fruibili dall’interno della HoMe, e così si è imbarcato nell’avventura che lo ha portato alla pubblicazione nel 2007 di un’edizione “definitiva” dei Figli di Húrin (ha fatto praticamente qui la stessa operazione che fece per Il Silmarillion del 1977 quarant’anni dopo, ma senza avvalersi dell’aiuto di uno scrittore come Guy Kay), nel 2017 e nel 2018 a due raccolte di manoscritti, con suoi commenti chiarificatori abbreviati rispetti a quelli della HoMe, messi in ordine temporale, quelli di Beren e Lúthien e de La Caduta di Gondolin, col fine di mostrare l’evoluzione delle due storie.

Annoto brevemente qui che, sebbene sarebbe stato preferibile avere altre due edizioni definitive come per I Figli di Húrin, dobbiamo essere concreti e dire che fare di meglio rispetto a quanto realizzato era impossibile, perché le versioni “definitive” degli altri due Grandi Racconti non sono ampie e vicine all’essere complete come quella dei Figli, e soprattutto, almeno per quanto riguarda Beren e Lúthien, era impossibile portare a completamento il racconto in quanto scritto in forma poetica. Il risultato finale che si ha è quindi certamente abbastanza chiaro, rispetto alla HoMe, seppur forse non tanto quanto era negli obiettivi dello stesso Christopher. Ma, conoscendo il materiale a disposizione che aveva, e dopo i novanta anni, ha compiuto l’ennesima delle sue titaniche imprese, e merita solo ringraziamenti e complimenti.

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