di Emilio Patavini
L’11 maggio è uscito nelle librerie il quarto volume de La storia della Terra di Mezzo curato da Christopher Tolkien, La formazione della Terra di Mezzo. La traduzione, sinora inedita in Italia, è di Stefano Giorgianni e Edoardo Rialti, mentre l’edizione italiana è stata curata dai consulenti della Associazione Italiana Studi Tolkieniani. Pubblicato per la prima volta nel 1986 con il titolo di The Shaping of Middle-earth, questo quarto volume presenta i materiali intermedi tra il legendarium del Libro dei Racconti Perduti e la forma finale che assumerà Il Silmarillion, pubblicato da Christopher Tolkien nel 1977. Il volume contiene inoltre altri testi riguardanti la forma geografica e la cronologia di Arda, come l’opera cosmologica Ambarkanta (“forma del mondo”), i primi Annali di Valinor, i primi Annali del Beleriand, oltre a mappe, grafici e diagrammi della Terra di Mezzo.
Bodleian Library, MS. Tolkien S 2/X, fol. 3r. © The Tolkien Estate Limited 1986
Sui risguardi della prima e della quarta di copertina è riprodotta, a colori, la prima mappa del “Silmarillion”, una mappa da lavoro del Beleriand (allora chiamato ancora Broseliand, in riferimento alla foresta di Brocéliande della leggenda arturiana), vale a dire di «[t]utte le terre bagnate dal Sirion a sud di Gondolin» (p. 273). Spesso modificata e rimaneggiata, è stata realizzata sulla pagina inutilizzata di una carta da esame dell’Università di Leeds negli anni ’20. La mappa era accompagnata da due cartine supplementari corrispondenti alle estensioni ovest ed est, anch’esse riprodotte all’interno del volume. Le voci presenti nella mappa e nelle due cartine sono fittamente annotate nel quarto capitolo del volume, La prima mappa del “Silmarillion”.
Il primo capitolo, Brani in prosa successivi ai Racconti perduti, raccoglie tre brevi testi anteriori all’“Abbozzo della mitologia”, primo dei quali è il frammento, poi abbandonato, di Turlin e gli Esuli di Gondolin (il nome Turlin fu cambiato poi in Turgon). Come sempre, gli accurati commenti del curatore Christopher Tolkien, volti a chiarire le diverse versioni di nomi, eventi, situazioni e luoghi geografici, sono stampati in caratteri diversi, per distinguerli dagli scritti originali di J.R.R. Tolkien.
Il secondo capitolo contiene la prima versione in prosa del Silmarillion (o “Abbozzo della mitologia”), scritta tra il 1926-30 e destinata a R.W. Reynolds «allo scopo di spiegare lo sfondo della “versione allitterativa” di Túrin e il Drago» (p. 17), cioè del Lai dei figli di Húrin. Il testo viene presentato nella sua forma originale, ed è corredato da un apparato di note esplicative che mostrano le varie modifiche apportate da Tolkien e da nutrite sezioni di commento. In questo “Abbozzo” si può notare come la storia progredisca sempre più verso la forma poi pubblicata. Basti pensare all’uso dei nomi: alcuni mantengono le forme presenti nei Racconti perduti e nei Lai del Beleriand, altri si avvicinano invece alle loro versioni definitive. Per esempio: il nome gnomico di Varda, Bridhil, rimane invariato dalla Fuga dei Noldoli da Valinor e dal Lai del Leithian; Yavanna Palúrien è Ifan Belaurin; il monte Taniquetil è detto in inglese Timbrenting o Tindbrenting. Il drago Glaurung passa dal Glórund dei Racconti perduti a Glórung (> Glómund nel Quenta Noldorinwa); il nome della fortezza di Morgoth nei Racconti perduti, Utumna, passa a Utumno. Cambiano anche i nomi delle tre schiere degli Elfi: se nei Racconti perduti abbiamo Teleri, Noldoli e Solosimpi, nell’“Abbozzo” diventano rispettivamente Q(u)endi, Noldoli (o Gnomi) e Teleri (o Solosimpi o Pifferai della Costa), mentre la loro versione definitiva nel Silmarillion sarà Vanyar, Noldor e Teleri. Un altro punto interessante è la sezione 18 dell’“Abbozzo”, in cui leggiamo: «Gli Elfi salpano da Lúthien (Gran Bretagna o Inghilterra) per Valinor. Da Lúthien, di tanto [in tanto], partono ancora lasciando il mondo prima di sbiadire» (p. 49). Una nota segnala che in seguito Lúthien è stato corretto in Leithien, probabilmente per evitare confusioni con il nome della figlia di Thingol, che a quello stadio era appunto Lúthien. La connessione di Lúthien al nome elfico dell’Inghilterra era presente anche in testi precedenti, come nella storia di Eriol o Ælfwine contenuta nella seconda parte dei Racconti perduti, dove appariva già la forma Leithian in alternativa a Lúthien. Il termine gnomico Luthany (“amicizia”) era il nome con cui si indicava l’Inghilterra nelle prime versioni del legendarium, perciò Lúthien significava originariamente “amico”. Nell’“Abbozzo della mitologia” e nel successivo Quenta, Lúthien è la terra da cui gli Elfi delle Grandi Terre salpano per Tol Eressëa.
Il terzo capitolo è dedicato a un ulteriore sviluppo dell’“Abbozzo della mitologia”, il Quenta Noldorinwa (1930 circa). Quest’ultima versione presenta molti punti di somiglianza con quella pubblicata «nella forma e nella cadenza delle frasi, persino di interi brani» (p. 5), nota il curatore Christopher Tolkien, benché il Silmarillion dato alle stampe risulti da tre a quattro volte più lungo. Il Quenta Noldorinwa era inoltre «l’unica versione completa del “Silmarillion” mai realizzata» (p. 5) da Tolkien, poi seguita dal Quenta Silmarillion, rimasto a sua volta interrotto verso la fine del 1937 perché in quel periodo il Professore si dedicò alla stesura del seguito de Lo Hobbit, ovvero di quello che sarebbe diventato Il Signore degli Anelli. Il testo è seguito da una prima appendice che riporta il frammento della traduzione del Quenta in antico inglese (fittiziamente) redatta da Ælfwine (Eriol), seguito da un interessantissimo elenco di nomi elfici con equivalenti in antico inglese, utile a comprendere il significato e l’origine dei nomi elfici. Nell’elenco troviamo giochi di parole come rese fonetiche, definite da Christopher Tolkien come «ingegnose corrispondenze fonologiche»: la traduzione di Angband (“prigione di ferro” in Sindarin) nell’anglosassone Engbend (“vincolo crudele”) imita il suono del termine elfico ma conferisce anche un nuovo significato. Lo stesso vale per Balrog (“demone di potenza”), reso con Bealuwearg (“mostro maligno”) o Silmaril (“bagliore di pura luce”) con Sigelmǽrels, composto da sigel “sole, gioiello” – un termine ben noto a Tolkien1 –, e mǽrels “corda”. In realtà, secondo Christopher Tolkien, Sigelmǽrels si riferiva alla Collana dei Nani, Nauglamír. La seconda appendice è costituita da I corni di Ylmir (dove Ylmir sta per Ulmo), poema di cui sopravvivono tre versioni e cinque testi, la prima delle quali è datata 4 dicembre 1914 (in seguito alla visita alla penisola di Lizard, Cornovaglia, nell’estate 1914). Tuttavia, secondo Christopher Tolkien, l’origine del poema risale a un periodo ancora precedente.
Il quinto capitolo consiste nell’Ambarkanta (“La forma del mondo”), un breve testo di carattere cosmologico (attribuito all’elfo Rúmil) composto negli anni ’30, in un’epoca posteriore al Quenta. Strettamente connessi all’opera sono tre diagrammi e due mappe, accuratamente commentati da Christopher Tolkien. Si tratta indubbiamente di un’opera «di interesse capitale» (p. 283), come scrive il curatore. L’uso del femminile per riferirsi al Sole e del maschile per riferirsi alla Luna all’interno di questo testo merita una riflessione. Come precisano anche i traduttori nella nota di p. 285, «nel presente volume si è deciso di mantenere questa caratteristica nell’uso dei pronomi personali»: perciò il Sole è «ella» e la Luna «egli». Questa scelta linguistica di Tolkien non è casuale: contrariamente a quanto accade nelle lingue romanze, nelle lingue germaniche il sole è di genere femminile e la luna maschile. Nel mito norreno, un uomo di nome Mundilfǿri chiamò il figlio Máni (“luna”) e la figlia Sól (“sole”), ma gli dei, indignati dal suo atto di tracotanza, rapirono i due fratelli e li posero nel cielo a guidare i carri del sole e della luna. In norreno, infatti, il termine máni (“luna”) è maschile, mentre sól (“sole”) e la sua variante poetica sunna sono di genere femminile. Mentre nell’uso poetico dell’inglese moderno le personificazioni del sole e della luna seguono i generi delle lingue romanze e della mitologia classica, Tolkien si rifà alla mitologia norrena e all’uso anglosassone. Nell’antico inglese, infatti, sunne (“sole”) è di genere femminile, mentre móna (“luna”) è principalmente maschile, benché sia attestata la forma femminile móne. Questo uso si può ritrovare anche ne Il Signore degli Anelli: per esempio, in una nota alla canzone The Man in the Moon Stayed Up Too Late, improvvisata da Frodo a Brea, Tolkien afferma che «Elves (and Hobbits) always refer to the Sun as She» (“per gli Hobbit e gli Elfi il Sole è di genere femminile”), o ancora, nel capitolo “L’Anello va a Sud”, Legolas dice: «I have not brought the Sun. She is walking in the blue fields of the South» (“non ho portato il Sole. Essa sta camminando nei campi blu del Sud”)2.
Gli ultimi due capitoli sono dedicati rispettivamente ai primi Annali di Valinor e ai primi Annali del Beleriand: “primi” perché gli Annali di Valinor furono seguiti negli anni ’30 da una seconda versione e poi, attorno al 1951-52, da una terza intitolata Annali di Aman, mentre gli Annali del Beleriand furono seguiti dagli Annali Grigi, rimasti incompiuti. Gli Annali di Valinor seguono gli eventi che vanno dalla creazione del mondo fino all’arrivo di Fingolfin nella Terra di Mezzo. In appendice al sesto capitolo troviamo le versioni in antico inglese degli Annali di Valinor redatte da Ælfwine, la prima delle quali è forse precedente al testo degli Annali in inglese moderno. I primi Annali del Beleriand cominciano a partire dal sorgere del Sole e della Luna per arrivare alla fine della Prima Era e alla distruzione del Beleriand. Anche nel settimo capitolo troviamo in appendice la versione in antico inglese degli Annali del Beleriand redatta da Ælfwine. In definitiva, i primi annali di Valinor e del Beleriand sono un interessante tentativo di schematizzare la cronologia della Prima Era secondo la visione che Tolkien aveva nei primi anni ’30.
N.d.A.: si ringrazia l’Ufficio Stampa Bompiani per aver gentilmente inviato una copia del libro al recensore.
1Si veda il saggio accademico di Tolkien Sigelwara Land in Medium Ævum Vol. 1 No. 3, dicembre 1932 (parte prima) e Vol. 3 No. 2 (parte seconda). Il saggio si concentra sull’etimologia del termine antico inglese Sigelwaran (forma meno comune di Sigelhearwan, “etiope”), presente in un passo del poema anglosassone Exodus vv. 69-71 (Sigelwara land, / forbærned burh-hleoðu, brune leode, / hatum heofoncolum).
2Sulla questione si veda Yvette L. Kisor, “Elves (and Hobbits) always refer to the Sun as She”: Some Notes on a Note in Tolkien’s The Lord of the Rings, Tolkien Studies, Vol. 4, West Virginia University Press 2007, pp. 212-222.
Emilio Patavini (Genova, 2005). Appassionato lettore di fantasy, fantascienza, weird e horror, si interessa di letterature medievali germaniche, mitologia comparata e di studi sulla vita e le opere di J.R.R. Tolkien. Si occupa in particolare delle fonti di ispirazione mitologiche, letterarie e linguistiche di Tolkien e le loro influenze sul legendarium, e del rapporto tra Tolkien, il fantasy e la fantascienza. Nel 2019 ha tenuto una conferenza su Tolkien dal titolo “Tolkien Ritrovato”. È stato membro della Tolkien Society inglese e ha scritto articoli e recensioni per Amon Hen: Bulletin of the Tolkien Society, LibriNuovi (http://librinuovi.net/) e Liberidiscrivere (https://liberidiscrivere.com/). È intervenuto in varie puntate della web-radio “La Voce di Arda”. Nel dicembre 2020 è entrato a far parte della redazione di Tolkien Italia.