di Giuseppe Scattolini
Il libro di Fabrizio Ricci Le gemme e lo spirito è un testo di facile lettura, ma di difficile comprensione. Infatti, per quanto il sottotitolo del libro sia Commento teologico al Silmarillion, è arduo definire tale il testo.
Fabrizio Ricci è un prete diocesano di Cesena dal 2014 e nel 2017 è diventato parroco di due parrocchie della città. È anche delegato del Vescovo per la Pastorale Universitaria e Assistente del settore giovani dell’Azione Cattolica Diocesana. Come lui stesso scrive nella Premessa, “scopo della presente opera è quello di cogliere nel racconto tolkieniano alcuni tratti e dinamiche proprie della spiritualità cristiana”. Dice poi anche: “Ho lasciato pertanto che queste storie mi sollecitassero e guidassero nell’itinerario spirituale cristiano con libertà e creatività. Ciò che scrive J.R.R. Tolkien in una delle sue lettere ci può aiutare in questo cammino di interpretazione”. A seguito di queste parole egli cita un passo della lettera 131 in cui Tolkien si dice contrario all’allegoria, per quanto le storie debbano utilizzare un certo linguaggio allegorico.
Il lettore, dunque, non appena uscito da questa premessa, si aspetterebbe che Ricci ne faccia uso nel suo libro. Purtroppo, egli se ne dimentica completamente, scrivendo un testo dai contenuti molto interessanti, ma con un metodo che lascia il lettore nella confusione. Chiunque legga questo libro, dopo aver apprezzato la Premessa, non potrà fare a meno di chiedersi per tutto il corso del testo se gli accostamenti tra racconto tolkieniano e racconto biblico siano delle letture allegoriche, simboliche o catechetiche.
Personalmente, sono un lettore tolkieniano accanito: di Tolkien ho letto molte cose (non farò mai il classico errore di dire che ho letto tutto), mi sono approcciato a della critica secondaria, conosco un po’ le tematiche e i problemi che il testo tolkieniano porta con sé. Il libro di Ricci mi ha messo in seria difficoltà: ciò che ho dovuto cercare di capire è a chi fosse indirizzato il testo e se Ricci avesse voluto scrivere un libro di critica tolkieniana in cui lui abbia proposto una sua interpretazione di Tolkien o se piuttosto abbia voluto mettere nero su bianco delle sue riflessioni personali che poi un editore ha deciso di pubblicare.
Il mio primo approccio è stato quello di cercare in Le gemme e lo spirito un libro in cui l’autore proponesse la sua interpretazione degli scritti tolkieniani. Questo approccio si è rivelato fallimentare in quanto l’autore è molto difficile da seguire nei passaggi dal testo tolkieniano ai Salmi o ai Vangeli: non si spiega quasi mai quali sono gli elementi in comune e quali invece sono di contrasto, perché quegli elementi sono in comune e perché esistano elementi di contrasto. Non viene mai discusso se il testo tolkieniano possa essere cristiano ed in che senso, anzi, questo viene dato per scontato in modo acritico.
Sempre nella Premessa, Ricci dice che si farà guidare da Tolkien e dalle sue parole: cita la lettera 131 nel passo in cui il Professore afferma che nelle storie stanno disciolti elementi di verità (ed errori) di natura morale e religiosa. Ricci prende questa affermazione e la usa per, in sostanza, giustificare tutte le affermazioni del suo libro, senza però constatare che Tolkien in quel passo che lui cita della lettera 131 non si riferisce precipuamente alla religione cristiano-cattolica né alla sua morale, né, a parer mio, ne autorizza un uso indimostrato per l’interpretazione dei testi.
Non si può nemmeno dire che Ricci ricostruisca le fonti di Tolkien perché, per fare un’operazione simile, sarebbe necessario avere delle citazioni dirette di Tolkien in cui egli dica “per a mi sono ispirato ad x”, ed allora avremo una fonte. Pena il considerare qualsiasi testo della sconfinata cultura tolkieniana una sua fonte: questo porterebbe tutti i testi conosciuti da Tolkien ad essere una sua fonte per tutto, e quindi più nessuna sarebbe una fonte. È necessario, dunque, rimanere nel campo dell’interpretazione e non delle fonti.
Ho iniziato ad apprezzare veramente questo testo quando ho cambiato approccio chiedendomi, appunto, quale fosse il pubblico ideale del libro. Secondo me questo non è un testo per tolkieniani. Essi all’interno vi troveranno anzitutto i riassunti delle storie del Silmarillion di Tolkien, che potevano essere utili in un testo di critica di mezzo secolo fa, ma non oggi, in cui il lettore conosce i racconti di riferimento quando va ad acquistare un testo che li commenta. In seconda battuta il lettore tolkieniano troverà nel libro di Ricci degli accostamenti ai passi biblici che solo sporadicamente riuscirà a seguire e a comprendere, ad esserne interessato ancora meno. Ecco perché, secondo me, il lettore ideale di questo libro sono i parrocchiani di don Fabrizio stesso e i credenti della Chiesa Cattolica.
Un credente troverà in questo testo un sicuro rinnovamento della sua fede e tanti spunti. Troverà un invito alla lettura di un autore che non conosce, Tolkien, e una piccola guida al suo testo cardine, Il Silmarillion. Chi potrà sicuramente giovarsi, sopra tutti gli altri, di questo libro, sono proprio i parrocchiani di Cesena, che potranno rivolgersi a don Fabrizio di persona per organizzare catechesi e campi scuola parrocchiali attraverso questo libro e le storie di Tolkien, che trova in questa dimensione tanto il lettore quanto il migliore uso possibile. La stessa struttura dei capitoli, con un breve riassunto iniziale del racconto di riferimento e le parole chiave alla fine, sono strumenti fondamentali per la catechesi, cosa che posso dire in prima persona essendo io stesso catechista nella mia parrocchia.
In conclusione, il libro è consigliato ai credenti cattolici e in special modo alle persone impegnate nella propria parrocchia ai fini dell’organizzazione di incontri catechistici e ad altre attività per i fedeli. Dimensione, per altro, di tutto rispetto, lo sottolineo. Suggerisco di leggerlo anche ai tolkieniani perché bisogna leggere tutto, ma con la consapevolezza che non troveranno quello che di solito un tolkieniano si aspetta da un libro del genere.