di Virginia Cavalli e Sebastiano Tassinari
Il biopic The Most Reluctant Convert. The Untold Story of C.S. Lewis tratta della vita di C.S. Lewis da quando era bambino alla sua conversione al Cristianesimo. Lewis, autore irlandese nato nel 1898 a Belfast, fu il fondatore del gruppo letterario degli Inklings, tra i cui membri ricordiamo J.R.R. Tolkien. In realtà, gli Inklings possono considerarsi un’estensione del club fondato in precedenza (per la precisione, nel 1926) da Tolkien stesso, ovvero i Kolbìtar, la cui traduzione inglese è Coalbiters, una kenning con cui venivano descritti coloro che narravano storie intorno al fuoco, tanto vicino alle fiamme da sembrare dei “mangiatori di carbone”, come vorrebbe la traduzione letterale del termine islandese.
Nei titoli di testa ci viene sin da subito esplicitato che la sceneggiatura di Norman Stone, anche regista del film, è tratta dall’omonimo spettacolo teatrale di Max McLean, a sua volta basato sul libro di Lewis Sorpreso dalla gioia. I primi anni della mia vita (1955) di stampo autobiografico. Inoltre, un ulteriore elemento interessante dal punto di vista cinematografico è il fatto che il lungometraggio sia costruito su di una costante rottura della quarta parete: l’attore Max McLean interpreta il Lewis degli anni ‘50 che si rivolge direttamente al pubblico come egli si rivolgeva ai lettori di Sorpreso dalla gioia, e di volta in volta presenta i passaggi chiave della sua vita accompagnandoci nei luoghi del loro avvenimento. Non solo: è fin da subito possibile notare degli scorci metacinematografici, elemento senz’altro interessante all’interno di un biopic, il cui obiettivo è quello di coinvolgere maggiormente lo spettatore. Vediamo McLean essere truccato e vestito per poi farsi strada tra la troupe e recarsi sul set dove il film può finalmente cominciare, sicuramente un omaggio alla compagnia teatrale di McLean, la Fellowship of Arts.
Sinossi
Le prime scene presentateci sono quelle relative all’infanzia di Lewis e al trauma della morte della madre, avvenuta quando Lewis aveva solamente nove anni. Viene inoltre mostrato il rapporto che questi aveva con il fratello maggiore Warren, detto “Warrie”: entrambi frequentarono il Malvern College, il cui ambiente era ostile e competitivo. Lo stesso antagonista presente nel primo dei romanzi del ciclo di Narnia, ovvero lo zio di Digory Kirke (il protagonista), Andrew, è ricalcato sul folle preside dell’istituto frequentato dai fratelli Lewis. D’altra parte, il nome di Digory Kirke ricalca quello di Kirkpatrick, precettore di Clive Staples, il quale ci viene presentato all’interno del biopic stesso come un uomo ateo ed estremamente pragmatico. In effetti, la descrizione ricalca le parole di Humphrey Carpenter all’interno del libro Gli Inklings (1978). Il rapporto tra Lewis e questa curiosa figura verrà approfondito all’interno del lungometraggio, soprattutto in relazione all’influenza che questi ebbe nella conversione di Lewis stesso.
Il film si concentra, infatti, essenzialmente sulla conversione di Lewis, come si può facilmente evincere dal titolo stesso. Carpenter chiarisce che detta tappa all’interno della vita dell’autore è da ricondurre al 1920. Innanzitutto, è opportuno esplicitare che Lewis veniva da una famiglia puritana, e, da convertito, non si volse mai al cattolicesimo, con rammarico dell’amico Tolkien. Proprio quest’ultimo ci viene presentato all’interno del film stesso, insieme ad altre figure amicali rilevanti per lo scrittore irlandese, quali: Owen Barfield e Hugo Dyson. Tuttavia, relativamente a questi ultimi, non viene narrato granché: solamente che il primo si convertì dal materialismo al teismo, mentre il secondo era un cristiano cattolico come John Ronald. Ma la sbrigativa caratterizzazione e la davvero breve presenza sullo schermo di questi personaggi non sminuisce la loro determinante influenza su Lewis, e vengono drammatizzati dei brevi ma fondamentali passaggi dei loro fecondi dialoghi con Lewis.
Procedendo con ordine: dopo l’excursus relativo all’infanzia del protagonista, e di come la fede venne da questi abbandonata a seguito del lutto per la madre, la voce di Max McLean narra della vita del giovane Lewis (interpretato da Nicholas Ralph) nell’arco temporale in cui venne istruito dal suo precettore Kirkpatrick, periodo che lo scrittore stesso descrisse come uno tra i più belli della sua vita, trascorso a studiare le lingue straniere e i classici. Ci viene anche riportato dell’interesse di Lewis per l’occulto, il quale nasce dalla lettura di William Yeats.
Di fondamentale importanza è l’episodio relativo alla fortuita scoperta del romanzo Phantastes di George MacDonald, in quanto vera e propria rivelazione agli occhi dell’autore. A partire da questo momento (l’anno 1916, per l’esattezza), qualcosa cambia, nella vita del giovane Lewis: l’ateismo che lo caratterizzava sin dall’infanzia inizia a vacillare. All’interno di detto romanzo, si trova una concezione simile a quella di Tolkien a proposito delle fiabe: attraverso queste ultime, troviamo consolazione dalla crudeltà del “mondo primario”. Non solo, Phantastes venne messo sullo stesso piano de Lo Hobbit da parte di Lewis all’interno del numero datato 2 ottobre 1937 di The Times Literary Supplement, insieme a Il Vento tra i Salici di Kenneth Grahame. Relativamente alla scoperta di Phantastes, abbiamo una citazione estrapolata dall’autobiografia di Lewis:
Quella sera la mia immaginazione ricevette, in un certo senso, il battesimo; per il resto di me, e non senza ragione, ci volle di più. Non avevo la più pallida idea in che cosa mi fossi addentrato comprando “Phantastes”.
Il capitolo successivo della vita di Lewis che viene preso in considerazione è quello trascorso all’Università di Oxford. Tuttavia, a soli diciannove anni dovette arruolarsi per la guerra, rincasando dopo solo cinque mesi a causa di una ferita riportata e della febbre da trincea. Durante la sua permanenza presso l’ospedale, vediamo Lewis avvicinarsi soprattutto alle opere di Gilbert Keith Chesterton, le quali saranno fonte di ispirazione lungo l’intero arco della sua vita.
A soli venticinque anni, Lewis divenne assistente di lingua e letteratura inglese presso il Magdalen College. Clive Staples soggiornava presso lo stesso college, ed i suoi appartamenti erano uno dei luoghi prediletti delle riunioni degli stessi Inklings.
Altro spunto interessante che viene preso in considerazione all’interno del biopic è l’opinione di Lewis in merito al paganesimo. Dal punto di vista dello scrittore «il paganesimo è l’infanzia della religione». In effetti, è appurato che l’autore irlandese non si sentisse, in gioventù, attratto dalla narrazione biblica: ciò che egli leggeva con maggiore piacere erano le storie relative alle mitologie pagane del Nord Europa. In questo senso, è bene ricordare che lo stesso Tolkien (o “Tollers”, appellativo utilizzato da Lewis stesso nel rivolgersi al filologo) si definiva «un pagano convertito».
In ultima istanza, viene esposto il dubbio che più attanagliava Lewis in merito alla sua stessa conversione: come poteva la morte di un qualcuno vissuto in un passato tanto remoto aver redento l’umanità intera? Tolkien non si fece trovare impreparato neanche di fronte a tale quesito: come i miti pagani erano l’espressione di Dio attraverso la mitopoiesi umana, il cristianesimo era l’idea di qualcuno, che tuttavia si dimostrò essere Dio stesso. Dunque, il mito sarebbe divenuto realtà.
Il lungometraggio termina con una messa a cui Lewis partecipa finalmente con un coinvolgimento spontaneo e solido. Fuori dalla chiesa parrocchiale di Lewis, cade nuovamente la quarta parete, durante cui si palesa il regista che quale si rivolge direttamente all’attore principale, il già citato Max McLean, ed il film si chiude con un poetico ultimo omaggio a Lewis che non sveliamo.
Un confronto tra biopic
Inevitabilmente, durante la visione non potevamo che riflettere su somiglianze e differenze tra The Most Reluctant Convert e Tolkien (2019), e pensiamo che tale confronto possa rivelarsi utile ai nostri lettori per farsi un’idea della pellicola dedicata a Lewis. Entrambi i film infatti sono accomunati dal narrare la gioventù dei due amici docenti e scrittori.
La prima grande differenza resta senz’altro l’impostazione della narrazione: il lungo monologo autobiografico e riflessivo di Lewis è in contrapposizione con la semplice messa in scena della vita di Tolkien, e sicuramente sarebbe un’impresa ardua portare sullo schermo un Tolkien adulto che racconta la sua vita, dal momento che il Professore non ci ha mai lasciato un testo autobiografico come Sorpreso dalla Gioia. Invece c’è poco di nuovo nelle parole di Lewis e dei suoi affetti che punteggiano il film sulla sua conversione: le opere di Lewis hanno fornito al film abbondante materiale di partenza, e con ammirevole devozione lo produzione ha mantenuto intatti ampi passi originali, una fedeltà gradita che fa emozionare quando un Lewis in carne ed ossa pronuncia sue celebri frasi note anche a chi non ha letto tutta la sua produzione, tratte anche da altre opere come Mere Christianity.
Diversamente, il lavoro di Dome Karukoski è stato necessariamente più creativo e si è basato sull’epistolario di Tolkien e sulle sue principali biografie, soprattutto Tolkien e la Grande Guerra di John Garth, che più di tutte probabilmente ha preparato il terreno. Tuttavia non si può dire che si sia sempre fatta di necessità virtù, alla luce di numerosi aspetti della vita di Tolkien romanzati (uno su tutti, nel film il matrimonio con Edith non ha luogo prima della partenza di Tolkien per la Francia) o addirittura qualche caratterizzazione fuorviante.
Alla base delle differenze tra le due pellicole vi è il fatto che The Most Reluctant Convert, come è facilmente rinvenibile dallo stesso titolo, tratta principalmente della conversione di C.S. Lewis. Chiaramente, il film abbraccia l’intero arco temporale relativo alla vita dell’autore irlandese, ma il punto focale rimane il percorso di fede di quest’ultimo. Per quanto concerne Tolkien, d’altra parte, la pellicola non mette in luce un unico aspetto relativo all’esistenza dell’autore, bensì tenta di abbracciare la biografia di quest’ultimo da molteplici punti di vista. La prospettiva di The Most Reluctant Convert se vogliamo è tematica e parziale, ma è quella proposta da Lewis stesso e per questo capace di soddisfare appieno le aspettative dei suoi appassionati lettori, ed in questo forse supplisce un aspetto mancante nel biopic di Tolkien che è proprio la fede cristiana.
La fede è sì rappresentata in Tolkien e il regista ha dimostrato una sensibilità non indifferente verso il tema (ne abbiamo parlato nella nostra recensione), ma essa appare marginalizzata e in quei pochi riferimenti spesso può essere colta solo da chi già conosce gli antefatti: ad esempio, perché il piccolo Tolkien non partecipa attivamente alla preghiera recitata a scuola? Solo tenendo a mente la formazione cattolica di Tolkien e l’impostazione anglicana della King Edward’s School si può cogliere la scelta raffinata di questa scena. E sul piano della fede non emerge il Tolkien profondamente credente anche nella maturità, che segnava sul suo diario di guerra i giorni in cui aveva partecipato alla messa e che aveva avvicinato alla fede cattolica anche Edith durante il loro fidanzamento.
Ecco, proprio in quei pochi minuti di The Most Reluctant Convert in cui vediamo il Professor Tolkien ci viene restituita la sua profonda fede, riconosciamo proprio quell’insidioso filologo papista che con franchezza e sicurezza incalzava Lewis sulla verità del Vangelo, spiazzandolo nel bel mezzo di una passeggiata sotto un viale alberato o di una cena in compagnia. Un ritratto di Tolkien che completa quello presentatoci dal suo film biografico.
Per queste ragioni crediamo che la visione di The Most Reluctant Convert sia arricchente anche per tutti gli appassionati di Tolkien, motivo per cui ricordiamo che il film è noleggiabile sul sito ufficiale con i sottotitoli in italiano. Inoltre la produzione ci ha comunicato che arriverà un’edizione home video in DVD, anch’essa dotata di sottotitoli.
Ringraziamo di cuore la produzione che ci ha concesso una visione omaggio per questa recensione e infine segnaliamo che potete trovare altre informazioni sul film in questi due nostri articoli precedenti:
– The Most Reluctant Convert”: il nuovo film su C.S. Lewis, in cui abbiamo parlato della produzione del film e degli adattamenti precedenti della vita di Lewis (cinematografici e teatrali);
– “The Most Reluctant Convert”: intervista a Michael Ward, in cui abbiamo potuto parlare con il Professor Michael Ward, celebre studioso di Lewis che ha partecipato alle riprese del film interpretando il pastore della parrocchia di Lewis.