La notizia delle le trattative per una serie TV su Il Signore degli Anelli ha infiammato gli animi degli appassionati in tutto il mondo. Tuttavia queste indiscrezioni, se confermate, segnano una svolta ben più epocale nell’impatto del fenomeno culturale nato dall’opera di J.R.R. Tolkien sulla contemporaneità.
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50 anni cancellati in una settimana?
Sarebbe più corretto dire “i contratti”, giacché La Compagnia dell’Anello e Il Ritorno del Re facevano parte di un primo contratto, mentre Lo Hobbit e Le Due Torri vedevano come venditore per l’editore di Tolkien di allora, la Allen&Unwin, il Fondo Sassoon (un’off-shore alle Bahamas, insieme ad una società mediatrice di nome Executor Corporation), il cui acquirente fu la United Artists, dopo circa 2 anni di trattative più volte sul punto di naufragare per proposte che Tolkien considerava offensive, tra cui quella celebre che vide come protagonisti i Beatles. I contratti presentano termini pressoché identici e raccontano di un soggetto concessore, l’editore, che non ha alcuna familiarità con l’industria cinematografica, tanto sono svantaggiosi per loro (Stanley Unwin se ne rammaricherà nelle sue memorie). Le condizioni accettate garantiscono all’acquirente non solo diritti esclusivi ma illimitati in termini di tempo – non hanno scadenza, cosa oggi impensabile a cifre proporzionate – potere di elaborazione su vicende, personaggi, etc., nonché della suddivisione delle vicende in numeri di parti come singoli film. Tra questi diritti, ribadisce Douglas Kane nella mailing list della Mythopoiec Society, autorevole studioso di Tolkien e avvocato che il contratto l’ha visionato in prima persona, «sono certamente inclusi i diritti di realizzare una produzione televisiva». Ovvero, non esiste nessun discrimine sulla distribuzione cinematografica anziché televisiva.
L’accordo nella duplice forma contrattuale non era ad ogni modo così svantaggioso come una certa vulgata cerca di caricaturare, dipingendo l’idea di un Tolkien sprovveduto in difficoltà economiche. Esso prevedeva ad esempio il versamento, oltre alla cifra di $ 160.000 (circa corrispondenti a 3 milioni di $ nel 2009), del 5% degli incassi su ogni film distribuito in sala a lui e ai suoi eredi a seguito della sua morte, percentuale da cui dedurre spese definite in accordo con la produzione, un pretesto questo su cui Hollywood ha costruito una tradizione di elusione di pagamenti dovuti delle royalties. Sarà esattamente sulla base dell’inadempienza parziale di questo termine che nel 2008 la Tolkien Trust (organizzazione caritatevole sussidiaria dell’Estate) e gli editori HarperCollins (da quasi 20 anni avevano acquisito la Unwin) trascineranno a giudizio la New Line Cinema, da 6 mesi proprietà di Warner Bros. Entertainment e bloccando così la produzione di Lo Hobbit, pretendendo stavolta il 7.5% meno deduzioni da concordare. Un rumour mai confermato riportava l’ammontare definitivo concordato con la risoluzione (a settembre 2008) e versato a 150 milioni di $. Considerate le previsioni di profitto di Warner Bros. sulla produzione e la tripartizione della serie annunciata nel luglio del 2012, la cifra non sembra così inverosimile.
Come accennato, però, dalla United Artists ad oggi, sebbene il contratto sia il medesimo il soggetto detentore dei diritti di adattamento è cambiato. È Saul Zaentz, eclettico produttore indipendente 3 volte Academy Award winner, che proprio nell’anno della sua prima vittoria (1976, Qualcuno volò sul nido del Cuculo) e fresco di passaggio dalla discografia della Fantasy Records alla cinematografia con la Fantasy Films, rileva dalla UA il contratto firmato da Tolkien e licenzia immediatamente i film d’animazione di Rankin/Bass e Ralph Bakshi. Nel frattempo con una mossa strategica illuminata – seppur mai chiarita del tutto – acquista dalla stessa Tolkien Estate anche i diritti di registrazione di marchi sui nomi d’invenzione contenuti nei libri oggetto del contratto UA (già nel solo utilizzo parte del contratto), consentendogli così di rilasciare licenze sullo sfruttamento di quei nomi come indipendenti da eventuali film. Non in via esclusiva, però, cosa che convincerà Zaentz a fondare già nel 1978 la Tolkien Enterprises quale divisione della Zaentz Company deputata alla tutela e allo sfruttamento di tali diritti. Sarà l’inizio di una lunga serie di contenziosi circa il diritto di sfruttamento derivato, specialmente merchandise e mercato ludico (ma anche per nomi di attività commerciali e turistiche), tra il produttore e l’editore prima Unwin il cui presidente Stanley sempre lamenterà l’ambiguità del contratto del 1969, poi HarperCollins e gli eredi di Tolkien. Sull’onda della vittoria sulla New Line Cinema, l’Estate ne ottiene un’altra simbolica ma significativa sul rivale di sempre quando nel 2010 la divisione della Zaentz Co. cambia nome in Middle-earth Enterprises, slegandola così direttamente dal nome della famiglia Tolkien. Si immagina non per propria volontà.
Non v’è tuttavia dubbio che la Middle-earth Enterprises (d’ora in poi ME Ent.) sia il soggetto licenziante una serie TV su Il Signore degli Anelli, detenendo quegli esatti diritti inclusi nel contratto del 1969. Il licenziatario (almeno di questo decennio, ignoto con quale scadenza) la Warner Bros. Entertainment che ha tutti gli interessi nel far fruttare ogni licenza pagata. La Tolkien Estate invece (che probabilmente preferisce considerare a maggioranza o unanimità licenziose entrambe) non ha un ruolo competente sulle serie TV in quanto tali. Questo almeno ci comunica la storia documentata e ad effetto legale degli ultimi 50 anni, che nella causa quinquennale svoltasi tra il 2012 e il giugno 2017 sembra aver trovato il suo (provvisorio?) capitolo conclusivo senza mai rimettere in discussione questo specifico diritto.
Continua Kane:
«l’accordo stabilisce specificamente che l’acquirente (il quale ora è ME Ent.) ha l’opzione di acquistare i diritti per la produzione di una serie televisiva basata su Lo Hobbit e/o Il Signore degli Anelli per una minima inezia», nel senso di registrare la licenza alla specifica produzione, per la qual cosa si corrisponde comunque una somma al concessore originale, irrisoria, nel caso, senza che questi abbia voce in capitolo «finché si rimane nell’arco di 5 anni dalla data di prima uscita del più recente dei film basati sui libri».
Quella che poteva essere una condizione vincolante, per cui prima di 5 anni dall’ultima produzione sarebbe necessario un nuovo acquisto dei diritti per una produzione, è in realtà un pro forma in opzione totale dell’acquirente originale (e detentore diritto). La Zaentz co. la soddisfece già all’epoca delle pellicole Rankin/Bass e Bakshi le cui licenze, tra trasmissione TV e proiezione cinematografica nell’arco di un biennio, furono rilasciate quasi contemporaneamente. Virtualmente la ME Ent. ha il potere di licenziare quante produzioni desidera a quanti licenziatari desidera e il fatto che La Battaglia delle Cinque Armate sia approdato in sala meno di 3 anni fa (17 dicembre 2014) non è in nessuna misura un ostacolo all’apertura di nuovi progetti nel pieno diritto di adattamento.