“La mitologia di Tolkien”: recensione

di Emilio Patavini


Ruth Helen Swycaffer Noel (1947) è nota per aver scritto due libri sull’opera di Tolkien: The Mythology of Middle-earth (1977) e il successivo The Languages of Tolkien’s Middle-earth (1980). Sotto lo pseudonimo di Atanielle Annyn Noël ha pubblicato tre romanzi di fantascienza: The Duchess of Kneedeep (1986), Speaker to Haven (1987) e Murder on Usher’s Planet (1987).

In Italia, Rusconi ha pubblicato nel 1984 La mitologia di Tolkien. I miti antichi nel mondo fantastico della Terra-di-Mezzo, primo libro di Ruth H. S. Noel.

Pietra di Smiss a När

Quest’anno il saggio è stato ripubblicato dalle Edizioni Ghibli, proponendo una copertina basata su quella dell’edizione Thames&Hudson 1977-80; ma il disegno resta praticamente invariato dall’edizione Rusconi. Questa illustrazione si ispira alla pietra di Smiss, trovata a När (Gotland, Svezia), risalente ai secoli VI-VIII d.C. La decorazione raffigura una donna seduta dalla curiosa acconciatura, che reca un serpente in ciascuna mano; sopra di essa si trova un triscele formato da tre serpenti intrecciati con le fauci spalancate.

Struttura dell’opera

Come è facilmente intuibile dal titolo e dal disegno in copertina questo saggio di 209 pagine si prefigge di approfondire gli elementi che Tolkien rielaborò – non senza aggiungervi una buona dose di immaginazione – a partire da preesistenti mitologie (germanica e celtica in particolare), studiate da Tolkien in qualità di insigne filologo; soffermandosi sulle fonti da cui attinse la materia per le sue storie, rese indimenticabili da quel sapore di epicità che solo epopee vere e proprie sanno regalare. Il libro si compone di cinque brevi capitoletti più un glossario:

  1. Introduzione;
  2. I temi dell’opera tolkieniana: il fato, la catabasi, la negazione della morte, il linguaggio, la cronologia;
  3. I luoghi: la Terra di Mezzo, Númenor e il Reame Beato;
  4. Gli esseri viventi: gli Hobbit, Gollum, gli Uomini, “i Vecchi Dei”;
  5. Le cose, che racchiude argomenti molto variegati e apparentemente scollegati tra loro: gli Anelli del Potere, le armi, i tumuli e, curiosamente, i draghi! (qui relegati perché di fattezze non antropomorfe).

Il Glossario si presenta come un utilissimo elenco di nomi propri, arcaismi e parole desuete che si possono incontrare nell’opera tolkieniana; per questo glossario sono stati presi in considerazione i dodici volumi dell’Oxford English Dictionary, l’Anglo-Saxon Dictionary di Bosworth-Toller e l’essenziale Guide to the Names in The Lord of the Rings, lasciata dallo stesso Tolkien in beneficio dei traduttori.

Due precisazioni

A scanso di equivoci è bene porre in chiaro fin da subito alcuni punti senza i quali verrebbe meno la comprensione generale dell’opera. Anzitutto bisogna tenere ben presente che il saggio La mitologia di Tolkien è stato pubblicato per la prima volta nel febbraio 1977, un anno fondamentale per gli studi tolkieniani. Basti pensare a queste date: il 5 maggio sarebbe uscito nel Regno Unito l’unica biografia autorizzata su Tolkien, quella scritta da Humphrey Carpenter; il 15 settembre sarebbe uscito Il Silmarillion, curato da Christopher Tolkien con l’assistenza dello scrittore fantasy canadese Guy Gavriel Kay. Perciò, non potendo basarsi su Il Silmarillion e men che meno sui dodici volumi della History of Middle-earth o sulle Lettere, le fonti del libro trovano un appiglio solo nei testi fino ad allora pubblicati e disponibili: troviamo citazioni da Lo Hobbit, Il Cacciatore di draghi, Il Signore degli Anelli (e le sue Appendici), Albero e foglia e The Road Goes Ever On: A Song Cycle (poesie di J.R.R. Tolkien, musiche di Donald Swann). È per questo motivo che durante la lettura si può incappare in una serie di errori, che tuttavia non è giusto definire tali, trattandosi piuttosto di ipotesi superate o perfezionate dagli studi successivi ma che i lettori di oggi potrebbero percepire come ingenuità.

Ad esempio, Noel nel testo può solo ipotizzare che la Terra di Mezzo fosse stata concepita prima de Il Signore degli Anelli, ipotesi poi confermata da Christopher Tolkien nei Racconti Ritrovati: «Le “Grandi Terre” sono le terre a oriente del Grande Mare. Il termine Terra di Mezzo non è mai usato nei Lost Tales, e in effetti non compare fino agli scritti degli anni Trenta»1, alcuni anni prima delle prime bozze de Il Signore degli Anelli.

Inoltre, senza il Silmarillion non era ancora chiara la gerarchia di Valar e Maiar: quindi si dice che Gandalf riesce a sconfiggere il Balrog, «quasi suo eguale» (p. 108), e che Sauron «era quasi certamente un Vala cattivo» (p. 143).

Infine, come nella Biografia di Carpenter, Noel descrive Tolkien come uno «scrittore appartato, quasi del tutto estraneo all’influenza dei contemporanei» (p. 12). Anche questa tesi è stata superata nel tempo ed è un campo di ricerca particolarmente vivace, si veda il saggio Tolkien’s Modern Readings di Holly Ordway (qui la nostra intervista con lei da poco uscito per Word on Fire, che dimostra le influenze letterarie successive al 1850 che ebbero presa su Tolkien.

Il secondo appunto a questa pubblicazione riguarda specificamente questa nuova edizione Ghibli: la mancata revisione. Vari elementi concorrono a farmi pensare che il passaggio dell’opera da Rusconi a Ghibli sia avvenuto senza alcuna revisione del testo. Il fatto che il numero di pagine delle due edizioni coincida, che la bibliografia – tolkieniana e non – segua l’edizione Rusconi (anche quando i testi di Tolkien sono ora editi Bompiani o la traduzione di Gianna Chiesa Isnardi dell’Edda di Snorri da Garzanti) e che si trovino ancora le traduzioni “Orchetti” per Orcs e “Vagabondi” per Trolls sempre dall’edizione Rusconi de Il Signore degli Anelli,dimostrano che sarebbe più appropriato parlare di una ristampa che non di una vera e propria ripubblicazione. Sotto questo punto di vista, il libro è poco curato e si sarebbe potuto valorizzare con un aggiornamento.


Un altro aspetto collaterale alla mancata revisione è la questione della traduzione, su cui è bene spendere qualche parola. Anzitutto il traduttore non è proprio menzionato, ma avendo appurato che si tratta di una ristampa dell’edizione Rusconi, sappiamo essere Pier Francesco Paolini, che ha tradotto autori importanti come Kurt Vonnegut, Saul Bellow, Francis Scott Fitzgerald, Charles Bukowski, Joseph Conrad, Terry Pratchett, John Irving, Roald Dahl, Virginia Woolf e Jack Kerouac.

Nonostante il curriculum di Paolini sia rispettabile, a ogni modo anche la sua traduzione de La mitologia di Tolkien risulta in definitiva datata e avrebbe necessitato di un aggiornamento, se non di una ritraduzione ex novo. La traduzione utilizza per esempio termini, forme e significati desueti come “scaturigine”, “adoprare”, “lumeggiare”, il regionalismo “scarsella” per indicare la tasca in cui Bilbo infila l’anello, il raro “Gobelino” per tradurre l’inglese goblin noto ai lettori italiani.

Più gravi sono le imprecisioni lessicali: l’Old English viene chiamato “inglese arcaico” anziché “antico inglese / inglese antico”; il Middle English viene reso con “inglese medievale” anziché “medio inglese”e il Norse diventa “norvegese” anziché “norreno”.

Questo dà adito a parecchie contraddizioni: per esempio, a p. 187 non avrebbe senso la distinzione dell’Indice tra le abbreviazioni arc per “arcaico” e IA per “inglese arcaico”, visto si riferiscono entrambe alla lingua inglese (quando si sarebbe dovuto tradurre “arcaismo” e “antico inglese”). Tornando ai due stadi della lingua, non è molto sensata neanche la denominazione di “inglese medievale”, dato che sia l’Old English (450 d.C. – 1150 ca.) che il Middle English (1150-1475 ca.), seguendo le coordinate temporali fornite dall’autrice stessa nell’Indice, sono due stadi linguistici entrambi collocabili nell’alveo del periodo medievale.

L’Introduzione

Chiariti questi punti, non si può non riconoscere di trovarsi di fronte un saggio seminale, che per la prima volta prendeva in considerazione un aspetto tutt’altro che marginale nella mitopoiesi tolkieniana: in alcune osservazioni anticipa sorprendentemente teorie riprese successivamente in acclamati studi, come l’indispensabile saggio di Tom Shippey, The Road to Middle-earth. Perché mitologia e lingue sono i caratteri fondanti del legendarium.

Certo, questo saggio non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza, che sarebbe bene conoscere, e capire nel suo contesto, se si vuole approfondire l’aspetto mitologico nelle fonti di ispirazione di Tolkien e farne un’analisi critica, ponendo così le basi dei tanti collegamenti che oggi sembrano quasi scontati; anche se, come vedremo, non mancano eccezioni molto originali.

In quest’ottica, le parole dell’autrice suonano particolarmente adatte nel voler definire senza timori l’opera del Professore come un complesso sistema di miti, credibile e coerente al tempo stesso:

Due sono i livelli del mito nel Signore degli Anelli. Non soltanto il romanzo si configura come un’epica mitica in sé e per sé, ma presenta anche, al suo interno, i vari miti dei popoli della Terra-di-mezzo. […] L’opera di Tolkien costituisce un proseguimento della tradizione mitica all’interno della letteratura moderna. Per questo motivo fa genere a sé stante. In nessun’altra opera letteraria si verifica un così accurato equilibrio fra tradizione mitica e fantasia individuale […] Nel combinare queste due teorie letterarie, Tolkien diede vita a un mito coerente e leggibile da un punto di vista moderno, e ad un’opera di letteratura fantastica resa concreta dal fatto di basarsi sull’antico e universale linguaggio del mito.

(pp. 11-13)

Queste parole possono essere elette a vero e proprio manifesto di chiunque ponga le fonti di ispirazione e la mitologia tolkieniane come campo di ricerca sul Professore. Ci ricordano inoltre quanto Tolkien costituisca un unicum letterario che non ha paragoni e non tiene confronti, nonostante i suoi molti emuli. Ma continuiamo con la disanima dell’Introduzione, che assieme al Glossario, è a mio avviso la parte più interessante di questo libro:

Sebbene filologo in primo luogo, Tolkien studiò mitologia per gran parte della sua vita. Fu una delle maggiori autorità mondiali per quanto concerne l’inglese arcaico e medievale [da intendersi come Old English “inglese antico” e Middle English “inglese medio”; nota mia]; nonché esperto di folclore teutonico e celtico. Con le sue opere è riuscito a rinfocolare l’interesse per la mitologia. Ai miti teutonici e celtici che più interessarono Tolkien non era mai stata data quella rilevanza attribuita invece ai miti greci e romani [corsivo mio]. Le opere di Tolkien hanno contribuito a suscitare interesse in questi settori: lo si può desumere dal numero di recenti studi sui miti nordici.

(pp. 9-10)

L’impatto che il “caso Tolkien” ha avuto sugli studi di mitologia – soprattutto germanica –, e non solo sul genere fantasy, è innegabile. A p. 40, l’autrice scrive che «[p]arte del puzzle [l’uso differenziato della lingua; nota mia] nasce dal fatto che Tolkien ammicca ai suoi colleghi filologi, parte dal suo desiderio di suscitare interesse per la linguistica, ma per lo più dal suo puro e semplice godimento della lingua».

Un’osservazione puntuale, concorde con gli approfondimenti di altri studiosi, per esempio l’aneddoto esemplare riportato da Douglas A. Anderson ne Lo Hobbit Annotato, che qui riportiamo:

Tolkien disse una volta che la sua tipica reazione alla lettura di un’opera medievale non era quella di imbarcarsi in uno studio critico o filologico su di essa, ma piuttosto di scrivere un’opera moderna in quella stessa tradizione.

(D.A. Anderson, Lo Hobbit annotato, Bompiani, Milano 2000, p. 11)

Pare che il Professore avesse fatto questa osservazione al pubblico che era venuto a sentire una sua conferenza di filologia a Oxford, ma a cui Tolkien lesse invece un poema scritto di proprio pugno.

O ancora, Noel scrive: «Per apprezzare appieno l’opera di Tolkien occorre capire la mitologia» (p. 10), che non è diverso da quanto sostengono ancora oggi numerosi studiosi Tolkien, come Leo Carruthers, professore emerito di Lingua e Letteratura Medievale Inglese dell’Università della Sorbona, che nel documentario Tolkien – il professore, l’anello e il tesoro spiega: «Per apprezzare Lo Hobbit, Il Signore degli Anelli, e anche Il Silmarillion, che è un testo molto più complesso, non serve essere specialisti dell’antico anglosassone, non serve sapere nulla della letteratura germanica, non serve leggere il Beowulf, e sono certo che milioni di persone che hanno apprezzato i romanzi di Tolkien, a parte coloro che li hanno studiati a fondo, non si siano resi davvero conto del contesto medioevale in cui sono inseriti. Dirò di più: nemmeno gli interessa poi tanto. Certo, se una persona ha studiato la letteratura inglese antica e magari la linguistica, indubbiamente potrà godere di un ulteriore piacere. Per quanto mi riguarda, se me lo chiedete, sì, la mia conoscenza mi regala un piacere in più: riconosco le parole antiche presenti nel testo, e capisco che uso ne ha fatto Tolkien, capisco da quale parola è stato ispirato per sviluppare un personaggio e per creare la storia intorno a lui.»

Nella sua Introduzione, Noel affronta anche la dimensione religiosa in Tolkien, tema largamente dibattuto, soprattutto in Italia, ma su cui l’autrice spende parole ben ragionate:

Pur essendo un devoto cristiano, Tolkien dà un resoconto pieno di simpatia del mondo pagano. Tale amalgama ricorda, di nuovo, il maloriano Le Morte Darthur, in cui temi, motivi ed umori pagani si intersecano con gli ideali cristiani.

(pp. 16-17)

Secondo Noel, nella visione di Tolkien del mondo, convivono assieme «fatalismo pagano ed etica giudaico-cristiana» (p. 17). Questa definizione si riferisce ai due ruoli da lui affidati alla giustizia, in senso pagano e giudaico-cristiano, ma può essere allargata a tutta la sua opera. E per tornare su questo concetto, mi è parsa particolarmente degna di nota una metafora dell’autrice:

Il mondo del Signore degli Anelli possiede quell’atemporalità che gli Hobbit attribuiscono a Lórien: “come se fosse dentro una canzone” – una canzone medievale su musica pagana.

(pp. 14-15)

Le fonti e i collegamenti

Come anticipato in precedenza, i collegamenti dell’autrice sono condotti principalmente sulla base di due mitologie: quella germanica e quella celtica. Talvolta si fa riferimento alle usanze degli uomini primitivi e alle culture greca e finnica (e anche ad alcune fiabe), ma le fonti più citate in assoluto, da cui pare che Tolkien abbia attinto maggiormente, sono:

  • dal versante “celto-britannico”, la Morte Darthur di Malory e il Mabinogion gallese;
  • da quello “germanico-scandinavo”, i testi eddici (Edda in prosa e Edda poetica) e il Beowulf anglosassone.

Inoltre, l’autrice cita molto spesso nelle note a piè di pagina Il ramo d’oro di Sir James G. Frazer e la Deutsche Mythologie di Jakob Grimm: due testi di fondamentale importanza, l’uno per gli studi di antropologia, l’altro per quelli di mitologia comparata e germanistica.

Tutto questo sta a testimoniare che Noel è stata tra i primi a introdurre un metodo nuovo e per certi versi pionieristico, che per la prima volta trovava applicazione nel campo degli studi tolkieniani: quello cioè di approcciarsi al legendarium come a un vero e proprio corpus mitologico del Mondo Primario, e che va quindi analizzato secondo le teorie della mitologia comparata.

Un campo, tuttavia, che può destare molte interpretazioni soggettive: per esempio, a p. 39 Noel conferma la mia ipotesi interpretativa in merito all’origine del nome Mordor (che ho discusso qui), mentre poco prima afferma: «Di tanto in tanto Tolkien si avvale, per le lingue della Terra-di-mezzo da lui inventate, di vocaboli che hanno una affinità di significato con parole di altre antiche lingue. Ne conseguono bisticci linguistici. Per esempio: Vala sta ad indicare, in lingua Quenya, un potere angelico, e, in antico scandinavo [cioè in norreno, nota mia], significa “veggente, profetessa”».

Ora, vala è una variante letteraria del norreno vǫlva “veggente, sibilla”, la protagonista della Vǫluspá che apre l’Edda poetica, ma credo che l’origine del termine Vala – posto che Tolkien non lo abbia inventato di sana pianta – vada cercata nel finlandese, lingua su cui Tolkien si basò per la fonologia, parte del lessico e alcuni aspetti morfosintattici del Quenya. Infatti, una delle «forme volutamente importate»2 dal finnico potrebbe essere proprio quella di Vala “dio, potere”: infatti in in finlandese vala significa “giuramento”.

Approfondito e interessante è lo studio del personaggio di Aragorn. Come suggerisce il titolo del terzo volume de Il Signore degli Anelli, egli è il re che ritorna, al pari di re mitici (come Artù; cfr. p. 60) e re storici (come Federico Barbarossa e Carlomagno, di cui è presentato l’inedito e curioso parallelismo con Aragorn; cfr. p. 79: «Aragorn ricorda, anche, il Carlomagno leggendario, quello dei poemi cavallereschi»). Per Noel, Aragorn «impersona l’eroe mitico» (p. 75), e continua scrivendo che «dei tanti eroi che possono venirgli accostati, Aragorn è quello che più assomiglia a Re Artù» (p. 78), ma a mio avviso potrebbe essere paragonato anche al norreno Sigurðr.

Aragorn è infatti orfano di padre e viene adottato da Elrold il Mezzelfo, così come Sigurðr, anch’egli orfano del padre Sigmundr, viene allevato dal nano Reginn. Inoltre, Aragorn riceve i frammenti di Narsil, la spada che si ruppe in due pezzi quando il suo antenato Elendil morì nello scontro con Sauron, similmente a quanto accadde a Sigmundr, padre di Sigurðr: in una sua battaglia, Sigmundr colpì Odino sotto mentite spoglie con la sua spada, Gramr, che si spezzò in due; i pezzi della spada vennero raccolti, e da essi venne riforgiata, per poi essere consegnata a suo figlio Sigurðr.

Questa storia conduce anche al parallelo Odino-Sauron, trattato in questo saggio (cfr. p. 145: «Fra tutti i personaggi della mitologia, quello cui Sauron più rassomiglia è Odino»), ma in termini che ho trovato forzati e poco convincenti, e non lo credo, come invece afferma Noel, un collegamento voluto, benché nel suo saggio Sulle Fiabe, Tolkien chiami Odino «il Negromante»3.

Tuttavia, curiosamente, il punto di contatto più evidente tra i due non è citato: mi riferisco alla storia di Sigmundr-Elendil, che abbiamo già riferito.

Tornando al personaggio di Aragorn, sappiamo come egli compia la propria catabasi percorrendo il Sentiero dei Morti, similmente alle discese agli inferi di molti eroi: da Odisseo a Beowulf, da Orfeo a Enea, da Eracle a Teseo, da Odino a Hermóðr (cfr. p. 80).

A p. 82 del suo saggio, Noel tratta «[u]n tema tradizionale che, nella vicenda di Aragorn, ha un posto significativo», cioè quello del re taumaturgo, figura medievale su cui si concentra il famoso saggio dello storico francese Marc Bloch4, e che si ritrova anche ne Il Signore degli Anelli in tre occorrenze, attraverso le parole dell’anziana Ioreth: «Le mani di re sono mani di guaritore, in tal modo si può riconoscere il vero re»5.

Conclusione

Il libro di Ruth Noel si distingue per uno stile divulgativo e un’ottima capacità di sintesi, essenziali per seguire i parallelismi presi in esame dall’autrice per ipotizzare alcune fonti di Tolkien. Purtroppo il saggio è datato non solo per ragioni cronologiche, ma anche perché questa nuova edizione del 2021 è praticamente identica alla precedente edizione Rusconi: gli errori di traduzione sono purtroppo gli stessi di trentasette anni fa.

Si tratta in generale di un testo che ha gettato le basi di molti studi successivi, e anche oggigiorno può capitare di trovarlo citato nella saggistica dedicata a Tolkien, motivo per cui, nonostante le sue evidenti limitazioni che abbiamo già riferito, merita ancora di essere letto, soprattutto dagli studiosi per i suoi molti spunti. Un plauso va dunque alle Edizioni Ghibli (che ci ha gentilmente inviato una copia, si ringrazia l’Ufficio Stampa della Meltemi Editore) per aver scelto di far tornare sul mercato un libro che è stato a lungo fuori catalogo, e a questo proposito ci auguriamo che la ripubblicazione di questo saggio sia solo un primo passo verso un’edizione italiana dell’opera per cui Noel è maggiormente ricordata, The Languages of Tolkien’s Middle-earth (1980), rimasto inedito in Italia.


Ad uso dei lettori, divulghiamo un documento che contiene una lista esaustiva degli errori di vario genere contenuti ne La Mitologia di Tolkien, Ghibli, 2021


Note:

1 J.R.R. Tolkien, C. Tolkien (a cura di), Racconti Ritrovati, Bompiani, Milano 2013, p. 38.

2 E. Danese, La creazione linguistica in J.R.R. Tolkien, Università La Sapienza, Roma A.A. 2005/06,p. 43 (tesi di laurea).

3 J.R.R. Tolkien – C. Tolkien, Il medioevo e il fantastico, cit., p. 192.

4 Cfr. M. Bloch, I re taumaturghi. Studio sul carattere sovrannaturale attribuito alla potenza dei re particolarmente in Francia e in Inghilterra, Einaudi, Torino 1973.

5 J. R. R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, Bompiani, Milano 2014, p. 933.

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Emilio Patavini (Genova, 2005). Appassionato lettore di fantasy, fantascienza, weird e horror, si interessa di letterature medievali germaniche, mitologia comparata e di studi sulla vita e le opere di J.R.R. Tolkien. Si occupa in particolare delle fonti di ispirazione mitologiche, letterarie e linguistiche di Tolkien e le loro influenze sul legendarium, e del rapporto tra Tolkien, il fantasy e la fantascienza. Nel 2019 ha tenuto una conferenza su Tolkien dal titolo “Tolkien Ritrovato”. È stato membro della Tolkien Society inglese e ha scritto articoli e recensioni per Amon Hen: Bulletin of the Tolkien Society, LibriNuovi (http://librinuovi.net/) e Liberidiscrivere (https://liberidiscrivere.com/). È intervenuto in varie puntate della web-radio “La Voce di Arda”. Nel dicembre 2020 è entrato a far parte della redazione di Tolkien Italia.