di Cristina Casagrande
Questo testo è una parte riveduta e corretta dal libro A Amizade em O Senhor dos Anéis di Cristina Casagrande, che ci ha gentilmente permesso di pubblicarlo in italiano. Nel 2022 inoltre il libro sarà tradotto in inglese per la prestigiosa casa editrice Luna Press Publishing.
Molti dibattono su chi sia l’eroe de Il Signore degli Anelli, generando alcune discussioni che culminano in una serie di conclusioni, dagli studi letterari approfonditi fino ad arrivare a una serie di memes. Ma la verità è che tale ricerca del grande e vero eroe della saga dell’Anello, fino ad ora è arrivata a una sola risposta certa: non c’è. Ovviamente ci sono vari eroi ma non solo uno.
Il filologo e professore di Oxford che tanto eccelleva nel medievalismo e nella conoscenza dell’antichità, aveva anche una serie di caratteristiche moderne – forse addirittura post-moderne – nella sua letteratura, tra cui la molteplicità degli eroi. Nella sua saggezza fondata sul realismo filosofico, Tolkien sapeva che non è possibile incontrare in una sola creatura tutto il potere necessario per salvare il mondo, anche se si tratta di una parte sola di esso delimitata nel tempo e nello spazio come la Terra di Mezzo, alla fine della Terza Era.
Ma nella concezione del lettore di Tolkien più specializzato (cioè l’autore stesso), esiste un eroe principale, non esclusivo, ma che riceve una rilevanza maggiore rispetto agli altri. Non affronta questo argomento in modo molto evidente, ma lo dice en passant nella famosa Lettera 131, indirizzata a Milton Waldman, all’epoca redattore della casa editrice Collins:
Io penso che il semplice amore “rustico” di Sam e della sua Rosa (mai sviluppato) sia assolutamente essenziale per lo studio del suo personaggio (dell’eroe principale), e per il tema della relazione fra la vita di tutti i giorni (respirare, mangiare, lavorare, procreare) e le ricerche, il sacrificio, le cause, il “desiderio di vedere gli Elfi” e la pura bellezza.
(grassetto mio)
Sam porta con sé la praticità della vita legata alla natura e grazie a essa egli si sviluppa dal punto di vista culturale e anche spirituale. Il semplice giardiniere, al servizio di Frodo Baggins, cresce come individuo e sviluppa il suo eroismo durante il viaggio per la distruzione dell’Anello. È giustamente nella semplicità dell’uomo comune, ricoperta di umiltà, che Sam dimostra la sua grandezza, a prescindere dalle posizioni sociali.
Ne Le Due Torri, quando Sam e Frodo sono a Minas Morgul, salendo le scale d Cirith Ungol, gli hobbit hanno un dialogo rivelatore sulla trama stessa, sui loro ruoli in quella storia e sul significato del viaggio. Sam dice:
«Suppongo che accada spesso. Penso agli atti coraggiosi delle antiche storie e canzoni […]. Credevo che i meravigliosi protagonisti delle leggende partissero in cerca di esse, perché le desideravano, essendo cose entusiasmanti che interrompevano la monotonia della vita, uno svago, un divertimento. Ma non accadeva così nei racconti veramente importanti […]. Improvvisamente la gente si trovava coinvolta […]. Penso che anche essi come noi ebbero molte opportunità di tornare indietro, ma non lo fecero. E se lo avessero fatto noi non lo sapremmo perché sarebbero stati obliati. Noi sappiamo di coloro che proseguirono […]. Chissà in quale tipo di vicenda siamo piombati.»
Lo sfogo di Sam porta alla consapevolezza della sua importanza, e allo stesso tempo, alla suscettibilità nella narrazione. Entrando in quella storia e non rinunciando ad essa, Sam fa sì che le sue frasi siano riportate per i posteri, non importa chi ne subisca la sofferenza, con o senza lieto fine. Oltretutto il suo personaggio è soggetto a cambiamenti, nel bene o nel male.
Sam è un hobbit giovane e rustico, ben diverso da Frodo, un po’ più vecchio e che aveva ricevuto un’educazione più erudita, apprendendo buona parte della saggezza degli Elfi. Ma Sam è anche un idealista, incantato dalle storie che ha imparato con Bilbo e Frodo sugli elfi, i draghi e tutto quello che risvegliava la magia al di fuori della Contea. Poiché gli hobbit vivevano separati dal resto della Terra di Mezzo, la loro vita era più vicina alla nostra nel Mondo Primario: banale, mondana, concreta. Dunque uscire dalla Contea significava uscire dal mondo non immaginario e entrare in quello Secondario, della fantasia (che nel contesto della storia, non è una fiaba, ma una realtà sconosciuta agli hobbit) e, se si facesse ritorno, non si sarebbe più gli stessi.
Sam è presentato nella prima parte del libro, ne La Compagnia dell’Anello, in un contesto molto quotidiano nella Contea, durante una conversazione con i suoi colleghi nella taverna “il Drago Verde”. Nel dialogo, dimostra il suo fascino per il mondo fuori dalla Contea, permeato di esseri magici. In questa discussione gli si contrappone Ted Sabbioso, tipico hobbit dalla mente limitata.
Sam Gamgee sedeva in un angolo vicino al fuoco e di fronte a lui stava Ted Sabbioso […]
«Quante cose misteriose si sentono di questi tempi, vero?» esclamò Sam.
«Certo che si sentono, se si vogliono ascoltare. Ma si possono anche sentire fiabe, favole e storie per bambini rimanendo in casa se si vuole.”
«Senza dubbio.» Replico Sam «e scommetto che alcune di esse contengono più verità di quanto comunemente non si creda. Chi ha inventato tutte queste storie, in ogni modo? Prendi i draghi, per esempio.»
«No, grazie non mi interessano», disse Ted; «me ne parlavano quando ero ragazzino, ma non ho nessun motivo al mondo per crederci, oggi come oggi. C’è un solo drago a Lungacque ed è verde!», disse tra le risate generali.
In questo passo già si possono intuire alcune caratteristiche notevoli del nostro giardiniere. In primo luogo, una considerazione in ambito simbolico: l’hobbit appare vicino al fuoco, un elemento carico di molto significato oltre il piano fisico. Il fuoco porta la luce e con essa la conoscenza; ed anche il calore e con esso, l’amore. In Il fuoco e il racconto, Giorgio Agamben traccia un parallelismo tra il fuoco – come prima fonte di conoscenza- e l’arte letteraria, una specie di parafrasi derivata da un’interpretazione di tale fuoco, fondamentalmente la funzione della mitologia in tempi antichi. Dice Agamben:
L’umanità, nel corso della sua storia, si allontana sempre piú dalle sorgenti del mistero e smarrisce a poco a poco il ricordo di quel che la tradizione le aveva insegnato sul fuoco, sul luogo e la formula – ma di tutto ciò gli uomini possono ancora raccontarsi la storia.
Nella mitologia di Tolkien, l’elemento del fuoco è particolarmente significativo. Gandalf, venuto dalle Terre Immortali, porta Narya, l’Anello del Fuoco, ed esclama affrontando il Balrog (anch’esso un Maia di fuoco, ma che non proviene dalla luce, bensì dall’oscurità): «Sono un servitore del Fuoco Segreto e reggo la Fiamma di Anor». Possiamo interpretare, nel nostro diritto di applicabilità del lettore, che Sam, incoscientemente, ha un animo votato alle verità infinite della Fiamma Imperitura, il potere creatore di Eru Iluvatar. E queste verità portano con sé, ben oltre la realtà concreta, l’immaginario, quello che lega la nostra comprensione al mondo extra-mentale.
Un altro punto che sottolineiamo è la considerazione del mondo fantastico che ha Ted Sabbioso: mere «storie per bambini». Queste «cose misteriose» («queer things») nelle parole di Sam, cioè estranee al mondo degli hobbit, sono, per il senso comune della Gente Piccola, tipiche dei bambini, ma non devono essere prese seriamente dagli adulti. Come dice Tolkien nel suo saggio Sulle fiabe:
Le fiabe, nel moderno mondo alfabetizzato, sono state relegate alla stanza dei bambini, così come mobili sciupati o fuori moda vengono relegati nella stanza dei giochi, soprattutto perché gli adulti non vogliono più vederseli d’attorno e non si preoccupano se vengono maltrattati.
Per Sabbioso, queste storie sono graziose invenzioni per distrarre i bambini e tenerli occupati. Ma Sam ha una visione più saggia: “scommetto che alcune di esse contengono più verità di quanto comunemente non si creda”. Gamgee mantiene la mente aperta alle cose pratiche e concrete come Ted e come la maggior parte degli hobbit, ma si cura anche di un mondo che va oltre la realtà in cui vive: ha ascoltato le fiabe di Bilbo quando era piccolo e non è mai riuscito a staccarsene nel suo cuore. Contrariamente al senso comune, uscire di casa alla ricerca degli elfi, per Sam, significa proprio lasciare il suo universo accomodante e andare in cerca della sua crescita personale.
Sam non sapeva che quel desiderio custodito nel suo profondo era, in verità, qualcosa che andava oltre la sua volontà, una missione personale. Il giardiniere ha risposto alla sua chiamata, per così dire, occupandosi di ciò che dentro di lui gli parlava più forte – il fascino dell’avventura e l’immensa ammirazione che aveva per Bilbo e soprattutto per Frodo.
Tolkien scrive qualcosa sulla costruzione del personaggio Samwise Gamgee in una lettera a una lettrice, la signora Eileen Elgar:
Sam è pensato per essere amabile e buffo. Alcuni lettori lo trovano irritante, si infuriano persino. Posso capirlo. Ma Sam può essere molto “difficile”. Come hobbit è più rappresentativo di tutti quelli che possiamo conoscere bene; e per questo ha una dose molto maggiore di quella qualità che anche alcuni hobbit trovano di tanto in tanto difficile da sopportare: una grossolanità, con cui non intendo prosaicità; una miopia mentale orgogliosa di se stessa, un compiacimento (in misura variabile) e una sicurezza di sé, e una prontezza a misurare e valutare tutte le cose sulla base di un’esperienza limitata, in gran parte tramandata attraverso proverbi di “saggezza” tradizionale.
In questo aspetto Sam eguaglia Ted Sabbioso (che, detto tra noi, si incastra meglio nella descrizione sopra rispetto allo stesso Sam). Il significato del nome, Samwise, lo caratterizza perfettamente: “semplice” e “mezzo saggio”. Il suo sviluppo come personaggio, durante il viaggio per distruggere l’Anello è ciò che colpisce: un individuo di mentalità mediocre diventa saggio e coraggioso. Gamgee non ne aveva idea ma accettando di far parte della Missione, iniziò il suo processo di crescita personale: passa dall’essere un semplice giovane sognatore a qualcuno sicuro di sé, capace di prendere decisioni deliberatamente ed avere un ruolo determinante nella storia. Il giardiniere si rivela non solo un fedele compagno di Frodo ma un individuo complesso e profondo, che Edward Morgan Forster classificherebbe come personaggio a tutto tondo, per la sua «capacità di sorprenderci in maniera convincente».
Inoltre, questa complessità che allontana Sam dall’essere un mero personaggio piatto si mostra come virtù e non come vizio, al contrario di buona parte dei personaggi romanzeschi – specialmente della letteratura fantasy contemporanea. Virtù che, nella concezione di Aristotele, sarebbe la via di mezzo tra eccesso e mancanza. Il filosofo greco la divide in due tipi, intellettuale e morale: quella intellettuale «dipende molto più dall’insegnamento, sia nella sua origine che nel suo sviluppo; […] la virtù morale deriva dalla consuetudine».
La crescita di Sam si deve alla virtù morale più che a quella intellettuale. Sviluppa l’attitudine al coraggio alla generosità e al controllo di sé lungo il percorso, e oltre questo, cresce in qualcosa che ha sempre avuto dentro di sé: la fedeltà. Sam non pensa quasi mai a sé stesso, ma al bene del suo amico Frodo. Vede nel portatore dell’Anello il male che potrebbe attanagliare anche lui, se anche lui ricevesse tale fardello; è comprensivo e paziente, non insorge né si rivolta, ha fiducia e segue la sua missione, portando a termine l’impegno che si è assunto quando era nella Contea.
Da un punto di vista storico, nella sua ricerca, John Garth associa Sam ai soldati attendenti con cui Tolkien aveva contatti. E questo è, infatti, affermato dall’autore stesso in una delle sue lettere, a un lettore di nome Humphrey Cotton Minchin, nel 1956, presentata dallo stesso Garth sul suo sito web:
“In un certo senso il mio Sam Gamgee è una riflessione sui soldati semplici inglesi e sugli attendenti che ho conosciuto durante la guerra del ‘14, un modo per dimostrare come fossero molto superiori a me.”
Da un punto di vista letterario, Samwise si allinea agli scudieri fedeli, un po’ come Sancho Panza in Don Chisciotte. Anche se Frodo non porta nel suo carattere l’idealismo folle della Mancia, l’azione dell’Anello gli fa perdere la presa su se stesso, diventando sempre più delirante man mano che il compimento della Missione si avvicina. Ed è il suo “Sancho Panza”, Samwise Gamgee, che lo riporta alla ragione, anche se non può compiere l’impresa al suo posto.
Tale lealtà spontanea fa sì che Sam segua Frodo dopo lo scioglimento della Compagnia dell’Anello e gli dà coraggio per seguire il portatore dell’Anello, anche nel dispiacere di doversi accompagnare con Gollum sulla strada per Mordor. Ma è davanti a Frodo immobilizzato dal pungiglione velenoso di Shelob che si ha lo spartiacque, da semplice giardiniere a Mastro Samwise.
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© 2020 by Cristina Casagrande. Tradotto con il permesso dell’autore. L’articolo originale in portoghese brasiliano si può trovare qui
Traduzione di Paolo Sonis
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