I Tolkien Society Awards 2021

Miglior Libro

La categoria del Miglior Libro di quest’anno è stata davvero agguerrita: soprattutto possiamo supporre che il duello finale sia stato tra il nuovo libro di John Garth e la nuova edizione dei Racconti Incompiuti. Ecco tutti i candidati.

Fantasies of Time and Death: Dunsany, Eddison, and Tolkien di Anna Vaninskaya

Anna Vaninskaya è docente associato di Letteratura Inglese all’università di Edimburgo. Il suo libro Fantasies of Time and Death: Dunsany, Eddison, Tolkien è stato pubblicato dalla casa editrice Palgrave Macmillan, una delle più prestigiose quanto a saggistica tolkieniana.

Anna Vaninskaya è docente associato di Letteratura Inglese all’università di Edimburgo. Il suo libro Fantasies of Time and Death: Dunsany, Eddison, Tolkien, è stato pubblicato dalla casa editrice Palgrave Macmillan nel 2020 e selezionato nella shortlist dei Tolkien Society Awards 2021 per il Best Book, insieme ad altri quattro.

Come è possibile evincere dal titolo stesso, Vaninskaya presenta tre autori, tra loro contemporanei, ideatori di un più alto genere letterario fantasy, individuando connessioni e parallelismi del loro pensiero, attraverso la perpetua conversazione riguardo ai grandi temi del Tempo e della Morte. Il lavoro dell’autrice, dopo una breve introduzione sul genere fantastico e un sintetico esame dei significati sulla morte e l’immortalità nell’ottica di Hope Mirrels (1887-1978), William Morris (1834-1896) e George McDonald (1825-1905), si divide in tre grandi sezioni:

  1. Lord Dunsany “The Conquering Hours”
  2. E. R. Eddison “Bearing Witness to the Eternal”
  3. J. R. R. Tolkien “More than Memory”

La Vaninskaya sceglie questi autori in particolare, perché sono tutti e tre non solo scrittori fantasy, ma anche costruttori di mondi che, lontano da essere privi di senso e a sé stanti, sono edificati all’interno di una più ampia visione cosmopoietica e vengono sviluppati nelle centinaia di pagine dei loro corposi libri. In essi ricorre il duplice tema del Tempo e della Morte da cui procedono quello della Transitorietà e dell’Eternità.

Nel capitolo su Lord Dunsany, l’autrice ne presenta il pensiero basando la sua ricerca su più di una delle opere da lui scritte, tra cui Time and the Gods (1906), Fifty-One Tales (1915) ma, infine, culmina con lo studio di The King of Elfland’s Daughter (1924). Vaninskaya sottolinea che per Dunsany la transitorietà è una preoccupazione che consuma, poiché conduce alla creazione di una memoria che permette di vivere solo nel passato, ma dall’altra parte intende l’immortalità come una vita estesa e senza fine in Faerie, un luogo atemporale dove tutto è fermo. «Il passaggio del tempo significa rovina, età e morte, [ma] significa anche nascita e giovinezza, e il ciclo delle stagioni e delle generazioni. Elfland (la terra degli elfi), al contrario, è stasi». A questo punto è chiaro che la narrazione proposta da Dunsany oscilla tra il trionfo e la sconfitta del tempo. Il tempo vince nella terra mortale portando ogni cosa che fa nascere alla rovina in un cerchio continuo che, per grande o piccolo che sia, ritorna su se stesso e vince anche sull’uomo, obbligandolo a vivere di quell’arte che immobilizza il ricordo. È vinto, o così appare, nelle terre eterne degli elfi, da un’atemporalità che però conduce, in definitiva, a una stasi.

Le pagine dedicate a E. R. Eddison sono le più numerose e complesse di tutto il volume. Vaninskaya espone il pensiero dell’autore attraverso l’opera particolare del Zimiamvia Trilogy. Qui, ai temi del Tempo e della Morte sono annessi aspetti degli istinti umani più primordiali e, scrive la studiosa, «‘La sazietà è morte. Il desiderio è vita’ è il principio di funzionamento dell’universo di Eddison». Eddison concepisce l’immortalità come una seriale reincarnazione. Se nella sua opera precedente The Worm Ouroboros (1922) l’eterno ritorno alla vita è riservato ai morti delle devastanti guerre globali perché questi possano combattere le loro battaglie di nuovo e da capo, nel Zimiamvia è destinato agli amanti (Zeus e Afrodite) che si reincarnano in diverse coppie mortali e creano variazioni nel tema del loro eterno amore. Anche qui appare un’immortalità descritta come un cerchio, che sconfigge la linea del tempo curvandone la transitorietà, allo scopo di unire la fine all’inizio. L’aspetto che più differenzia Eddison dagli altri autori analizzati in questo libro dalla Vaninskaya è probabilmente questo: non solo per gli uomini, la cui esistenza ha una fine e la mente un limite, la morte è vista come una porta alla vita e alla conoscenza, ma lo è anche per gli dèi. Nel suo mondo le divinità sono cadute, alla pari dei mortali e ne consegue che gli attributi di onnipotenza e onniscienza sono per loro dei pesanti fardelli.

La terza e ultima parte è dedicata all’analisi del pensiero che è fondamento del mondo di J. R. R. Tolkien. Anche in lui, come nei primi due autori, è presente la costante conversazione riguardo al Tempo e alla Morte. La Vaninskaya prende in considerazione The Lord of the Rings focalizzando la sua indagine, quasi esclusivamente, sulle razze di Elfi e Uomini e intende spiegare come l’immortalità e la transitorietà degli uni e degli altri, a un certo punto, collimano. Gli Uomini sono destinati a morire e a lasciare Arda, gli Elfi a svanire, affievolirsi fino a che la storia del mondo sarà completa. L’autrice scorge anche in Tolkien ciò che ha visto in Dunsany ed Eddison: la mortalità e l’immortalità come un crudele destino. Gli Elfi sono esuli nel tempo, la loro arte è un tentativo di salvare i detriti rimasti dal naufragio della storia e questa memoria nostalgica li trattiene dal ritorno a Valinor; gli Uomini vivono in un’incertezza esistenziale che li spinge a guardare indietro con nostalgia invece che avanti, perché il loro futuro è breve e finisce con l’accettazione del dono amaro della morte. La sostanziale differenza con gli altri autori risiede, afferma la Vaninskaya nella visione teocentrica dell’universo di Tolkien. Sebbene la morte per gli Uomini e l’immortalità per gli Elfi siano destini stabiliti dall’Unico per i suoi figli, Primogeniti e Secondogeniti, dai quali, per entrambe le razze, deriva la sofferenza, permane una speranza di fondo. L’eternità per Tolkien non è quella di Dunsany, una vita estesa, come un «pezzetto di burro spalmato su troppo pane», e non coincide nemmeno con la reincarnazione di Eddison, non è la linea di un cerchio che ripercorre se stessa. È una vita dopo la morte che trascende il mondo e il tempo creati, ed esiste nel regno dell’unico Dio. La vita sulla terra termina davvero e la sua conclusione coincide per gli Uomini con la dipartita, per gli Elfi con la fine del mondo. La morte e la fine sono dunque inevitabili, seguono il piano dell’Uno, per tutti ignoto, ma proprio perché procedono dalla musica di Dio, rimane la speranza. Anche la storia, di cui gli Uomini vedranno solo pochi anni e gli Elfi tutte le ere susseguirsi, morirà, finirà, cadrà. Come e quando lo deciderà il suo Autore che quindi è garante di una più ampia realtà al di là dei confini delle cose finite.

Vaninskaya si avvia alla fine del suo libro facendo una considerazione sul racconto fantastico, un genere letterario che, attraverso la sua evoluzione, non dà una risposta certa e definitiva, ma è più che altro un mezzo per esplorare la realtà. Questa ricerca conduce alla sola scoperta del potere delle parole. Servendosi della riflessione già usata da Shakespeare, l’autrice conferisce ad esse la stupefacente capacità di rendere eterna la transitorietà ed immortale la mortalità, in definitiva, di imprimere un carattere imperituro a quelli che sono gli aspetti, altrimenti caduchi, della vita dell’uomo e del mondo. Il genere fantastico dà al momento fuggente una forma di durata e non può essere capito se isolato dalla lunga storia dell’arte e della filosofia che si stende sotto di esso creandone le solide fondamenta. La realizzazione di questo tipo di letteratura dipende interamente, non tanto dall’espressione fantastica della sua narrativa ma, dal perenne desiderio e dall’incessante paura con cui dall’inizio dell’esistenza l’essere umano guarda a questo duplice tema del Tempo e della Morte. Attraverso questo, il timore della transitorietà tira le fila del fato e la speranza dell’eternità forgia il destino. Secondo Vaninskaya ciò che lega gli autori da lei presentati, escludendo il fascino che su di essi esercitano la morte e il tempo, è una sorta di equilibrio che deriva dalla consapevolezza di far parte, tutti quanti, di un più grande disegno. L’autrice termina la sua indagine affermando che nessuno dei tre, Dunsany, Eddison o Tolkien, giunge a una vera conclusione ma ognuno evoca la Morte e il Tempo all’interno dello scenario del proprio mondo e dei propri racconti lasciando un sapore dolce e amaro a un tempo, quello che, in definitiva, gustiamo nella nostra vita.

Gleanings from Tolkien’s Garden di Renée Vink

Renée Vink è una scrittrice e traduttrice olandese. Nel 1981 la sua passione per Tolkien spinse lei e l’amico Theo de Feber a fondare Unquendor, la società tolkieniana dei Paesi Bassi, sul modello della Tolkien Society inglese.

Da allora Vink ha contribuito molto allo sviluppo della società da lei fondata. Per quasi quattro decenni ella ha studiato il legendarium di Arda e scritto saggistica su di esso. Tra la sua produzione ci sono numerosi contributi alla rivista della Società, una lista crescente di saggi scientifici pubblicati in diverse raccolte e la monografia Wagner and Tolkien: Mythmakers (Walking Tree Publishers, 2012). Inoltre, ha curato diversi numeri di Lembas Extra, la rivista biennale di Unquendor ed è la traduttrice di diverse opere di Tolkien in lingua olandese: Lo Hobbit, Il Cacciatore di Draghi, Le Avventure di Tom Bombadil, La leggenda di Sigurd e Gudrún, La Caduta di Artù, Beowulf, La storia di Kullervo, Beren e Lúthien e La Caduta di Gondolin.

Questo volume, pubblicato nel settembre 2020, contiene tredici dei suoi articoli, incentrati su vari argomenti delle opere di Tolkien: la traduzione dei libri del Professore, i libri di autrici con legami con le opere di Tolkien, gli elfi e gli aspetti ebraici dei suoi nani, fino alla fan-fiction e un altro parallelo wagneriano assente nella monografia dedicata. Nove di questi saggi sono stati pubblicati in precedenza in varie riviste o atti di conferenze, e anche scorrendo il precedente elenco generico si possono riconoscere i principali contributi di Vink a Tolkien Studies e Lembas Extra, mentre i restanti quattro saggi sono nuovi.

Come Jan van Breda, presidente di Unquendor dal 2013, ha ricordato nell’introduzione del volume «i membri di Unquendor hanno conosciuto Renée come una scrittrice perspicace, una pensatrice acuta e (se necessario) un’accanita dibattitrice sulle opere di J.R.R. Tolkien», e questo libro ha sicuramente il pregio di raccogliere tanti suoi pensieri che hanno guidato la comunità e gli studi tolkieniani, olandesi e non.

Hither Shore 14: Literary Worldbuilding, a cura di Thomas Fornet-Ponse

Annualmente la Deutsche Tolkien Gesellschaft, la Società Tolkieniana Tedesca organizza un seminario su Tolkien, e le varie relazioni vengono raccolte in un volume della collana Hither Shore. Il libro candidato per i Tolkien Society Awards di quest’anno è l’ultimo pubblicato al momento, il numero 14 contenente gli atti del seminario del 2017, il cui tema era il ‘worldbuilding’ letterario.

I lettori di Tolkien sanno che il termine più adatto per il processo di scrittura di Tolkien è la «sub-creazione», come la definiva lui stesso, ma è stato scelto «worldbuilding» proprio perché il seminario del 2017 è stato particolarmente aperto a interventi su altri autori: nell’indice troviamo G.R.R. Martin, Gaiman, Lovecraft e Borges, per esempio. Tra i contributi strettamente tolkieniani risalta quello di Padre Guglielmo Spirito: Eucatastrophe and Tolkien’s Worldbuilding. A Theological Reading.

Una novità del Tolkien Seminar del 2017 è stata l’introduzione di due borse di studio per i giovani ricercatori per presentare due conferenze, e anche queste sono state introdotte nell’opera, pur trattando di argomenti non appartenenti al tema principale del seminario:

  • The Voice of Nature in Middle-earth through the Lens of Testimony, di Andoni Cossio,
  • Discourses of Knowledge and Power: Invisibility and Seeing in The Lord of the Rings, di Laura Selle.

Chiude il volume una sezione di recensioni di libri e numeri di riviste appartenenti agli studi tolkieniani.

The Worlds of J.R.R. Tolkien di John Garth

È stato uno dei libri più attesi del 2020 per poi essere rapidamente tradotto in numerose lingue, incluso l’italiano. The Worlds of J.R.R. Tolkien nasce dal progetto di Garth di esplorare l’ispirazione delle opere di Tolkien, un campo di studi nel quale ha esordito con l’acclamato Tolkien e la Grande Guerra (qui la nostra recensione) e sul quale è tornato a lavorare come ha spiegato in questa intervista che ha rilasciato durante il Tolkien 2019, per poi concentrarsi su un aspetto principale esplicitato dal sottotitolo dell’ultimo libro: i luoghi che hanno ispirato la Terra di Mezzo.

Il grande entusiasmo attorno a questa nuova uscita di un abile biografo di Tolkien non ne ha però determinato la vittoria. Per conoscere meglio quest’opera potete consultare i seguenti articoli presenti sul nostro sito:

VINCITORE: Unfinished Tales (40th anniversary edition)

L’uscita principe del 2020 di HarperCollins è stata senz’altro lei, l’edizione dei Racconti Incompiuti per i 40 anni dalla pubblicazione.

I Racconti Incompiuti rappresentano è la prima raccolta di manoscritti di Tolkien sulla Terra di Mezzo pubblicata da Christopher Tolkien, con numerose note e ampi commentari che possono scoraggiare chi di Tolkien conosce solo i romanzi, eppure la casa editrice ha avuto il coraggio di lanciare proprio con questo libro complesso un nuovo progetto editoriale, dimostrando che HarperCollins non si adagia sui bestseller de Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli ma investe su tutta la produzione di Tolkien, e questo coraggio è stato evidentemente premiato dai lettori della Tolkien Society.

Il volume ha raccolto molto successo grazie anche alle preziose illustrazioni realizzate appositamente: per l’occasione HarperCollins ha infatti radunato il prestigioso triumvirato formato da John Howe, Alan Lee e Ted Nasmith, dando lustro a questa pubblicazione in modo davvero ambizioso.

(segue a p. 5)