In difesa di Vittoria Alliata di Villafranca

E vissero per sempre felici e contenti?

La Fiaba de “la principessa e il Professore” è, senza ombra di dubbio, una delle più belle della nostra Italia. È una Fiaba vera, realmente accaduta, e che tutt’ora non conosce epilogo. Ha in sé bellezze infinite, grandi protagonisti e mostri terrificanti, nonché minacce tali o presunte, elaborazioni teoriche ed impegni morali: morali, sì, perché la realtà viene presa sul serio.

È di noi che in tutte le Fiabe si parla, anche in quelle vere. E ci viene richiesto sempre, in una Fiaba, soprattutto quando è così bella, di parteggiare, di schierarci di qui o di là. Eppure, stavolta è la principessa stessa che chiede di non farlo, perché non esistono due parti, ma una sola: quella di Tolkien.
Per tanto tempo ci siamo nascosti dietro la destra e la sinistra, non solo in campo politico ma anche in ambito tolkieniano, ed alla fine nessuno si è preso l’impegno di fare le cose come avrebbero dovuto essere fatte da tempo, dal 1970 magari.

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Ma oggi, riprendendo le parole della principessa su Sicilia Terra di Mezzo, non possiamo più rispondere per blocchi: il muro di Berlino è caduto, per quanto ancora le nostre coscienze facciano fatica ad accettarlo, e forse nell’inconscio collettivo di tutti gli italiani (utilizzo questo termine junghiano solo metaforicamente, per intendersi) il muro è ancora in piedi.

Questo è il giorno in cui abbatterlo: questo è il giorno in cui aprire gli occhi, liberarsi di quell’Ombra cieca della modernità e seguire quello che secondo la principessa è l’invito di Tolkien, e cioè riscoprire sé stessi e la nostra interiorità dopo che per tanto tempo ne siamo stati privati dal Grande Occhio della politica e della destra e della sinistra.

È giunto il tempo di rispondere alla domanda, dunque, “e vissero per sempre felici e contenti?”, mettendo la parola fine alla Fiaba della principessa e il Professore. Sta a noi farlo, saremo noi a decidere il finale. Certamente non esclamando, come i bravi del Manzoni, “una nuova traduzione non si dovrà fare, né domani né mai!”, ma piuttosto affermando con una pacata fortezza che Tolkien e le sue volontà vanno rispettate, che non si può attaccare in modo gratuito, insensato, infondato ed ingeneroso il lavoro di altri in luoghi pubblici di grande rilievo culturale come il giornale Repubblica o il Salone Internazionale del Libro di Torino, e che, infine, un lavoro di traduzione va portato avanti non per dare una nuova veste ad un testo né per modernizzarlo, ma per farlo conoscere ancora di più nel rispetto e nella valorizzazione di quanto già fatto in passato, senza calpestare nessuno ma con umiltà, umiltà che non è mai stata dimostrata né da Wu Ming 4, né dall’AIST, né da Fatica, né da Bompiani stessa, mentre ne è un esempio il recente lavoro che sta portando avanti la Harper Collins in Brasile.

Concludendo sinteticamente, ritengo che, forse, si sarebbe dovuto usare più rispetto nei confronti della principessa Alliata, e che, forse, è tempo per la casa editrice di lavorare assieme a lei ed ai curatori che sceglierà per perfezionare la traduzione già esistente. Inoltre, voglio essere chiaro su questo punto, non penso che ci si possa opporre “a prescindere” a una nuova traduzione: anche in questo caso però sarebbe preferibile essere più umili e rispettosi, tanto della precedente traduttrice che delle scelte dell’autore, consultandosi tanto con lei che con gli eredi dello stesso. Proviamo solo a immaginare quanto di più e di più bello avremmo costruito in Italia a livello tolkieniano se solo si pensasse così, armonicamente, e non sempre per blocchi contrapposti.

Se questa umiltà fosse stata usata fin dai tempi di Rusconi e di Principe non sarebbe mai nato nessun discorso destra-sinistra nelle questioni tolkieniane, e le letture ideologiche ed i partitismi sarebbero rimasti lì dove sono, nel passato. Forse è ora di seguire l’esempio e l’invito fatto alla Sicilia dalla principessa Alliata: guardiamo avanti e rifacciamo nostra quella centralità e quella bellezza culturale proprie dell’Italia.

Per quanto non sembrerebbe, ce lo meritiamo: per citare Thorin, in noi c’è più di quanto crediamo.

Giuseppe Scattolini

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