In difesa di Vittoria Alliata di Villafranca

“Cinquecento errori a pagina per millecinquecento pagine”

Tutti gli amanti di Tolkien e delle Fiabe sanno che, senza i Mostri, le Fiabe varrebbero poco: lo disse Tolkien stesso in una sua conferenza sul Beowulf nel 1936 (Beowulf: the Monsters and the Critics, in italiano tradotto come Beowulf: mostri e critici, pubblicato nella raccolta Il Medioevo e il Fantastico) che proprio questo era il significato simbolico della presenza dei Mostri nelle opere del passato. Essi sono delle sfide che noi uomini dobbiamo superare armati del nostro solo coraggio, perché questo è ciò che siamo, né dèi, né giganti, solo uomini, ed è questa la vera sfida, tanto per noi che per Beowulf.

Beowulf lotta contro il drago, mostro per eccellenza della mitologia. Autore dell’opera Andreas Mayer https://www.deviantart.com/andimayer

La principessa Alliata tradusse bene Tolkien? La risposta è no secondo Ottavio Fatica, nuovo traduttore de Il Signore degli Anelli scelto da Bompiani dietro suggerimento dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani (come da loro rivendicato tramite i propri canali ufficiali e ribadito sul blog dei Wu Ming). Lo dice in un’intervista rilasciata a Repubblica e pubblicata integralmente e con orgoglio proprio dall’AIST il 29 aprile 2018.

Questo perché è secondo lui evidente quanto la traduzione dell’Alliata sia stata “un’avventura improvvisata”: “cinquecento errori a pagina per millecinquecento pagine. Non c’è paragrafo mondo da lacune e sbagli.” Chiunque faccia di professione il traduttore sa quanto la principessa Alliata abbia fatto bene a mandare delle lettere di diffida alla casa editrice e a querelare la persona che ha pronunciato parole simili. Ma a noi interessa stabilire: è vero che questa traduzione è tanto disastrosa?

Per spiegare come Tolkien desiderava che la sua opera venisse tradotta, l’Alliata nel suo intervento del 17 gennaio al Senato ha commentato la lettera 171 dell’autore. In questo modo la principessa ha mostrato come lo stesso Tolkien venne in un certo senso accusato di fare cinquecento errori a pagina per millecinquecento pagine: nel dicembre del 1954 infatti Hugh Brogan gli scrisse criticando gli arcaismi presenti ne Il Signore degli Anelli, con particolare riguardo a Le Due Torri ed al capitolo ivi presente de Il re del Palazzo d’Oro, e li definì “tushery”, il che significa dire che gli arcaismi presenti nel testo ne facevano uno scritto di scarsa qualità.

Tolkien non rispose mai esaurientemente alla lettera, nemmeno quando Brogan gli scrisse di nuovo per scusarsi. Nell’epistolario pubblicato a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien abbiamo nella lettera 171 un abbozzo di risposta che non venne mai inviato, mentre Tolkien gli scrisse effettivamente che spiegare la presenza degli arcaismi “avrebbe preso troppo spazio per essere dibattuta”, rimandando quindi la spiegazione al loro prossimo incontro. La bozza è tuttavia utile per noi, perché Tolkien ci dice che la presenza di arcaismi è dovuta in special modo alla necessità di far parlare i personaggi de Il Signore degli Anelli così come avrebbero realmente parlato. Non avrebbe avuto senso, infatti, che Théoden avesse detto a Gandalf “non ti rendi conto della tua bravura come dottore”: doveva dire “non conosci del tutto la tua abilità nel sanare”².

Dunque: la traduzione di Vittoria Alliata di Villafranca corrisponde alla definizione di “tushery”? La principessa Alliata ci dice che gli “errori” segnalati dall’Associazione Italiana Studi Tolkieniani sul loro sito e ai quali fa riferimento il Fatica, sono per lo più di due generi: errori tipografici non corretti dalla curatela di Quirino Principe e scelte traduttive, le quali pertanto non sono inseribili nella categoria degli “errori”.

Inoltre, riguardo la specifica critica di Fatica nella sua intervista a Repubblica, il raddoppio degli aggettivi è dovuto sempre a una scelta traduttiva molto ben fondata, e cioè: rispetto al fatto che il testo della traduzione doveva essere chiaro per tutti, universalmente comprensibile e rispettoso dell’originale, l’Alliata ha scelto di tradurre con la dittologia e le endiadi dantesche. Lei fece questo in modo che la traduzione rispecchiasse il senso di profondità, di antichità e di bellezza medievale che c’era nell’originale e contemporaneamente fosse anche comprensibile ai giovani e alle persone dell’epoca che a scuola avevano studiato Dante, la sua lingua ed il suo stile. Per non parlare del fatto che, scegliendo proprio Dante come esempio stilistico da seguire, lei fece anche, inconsapevolmente, cosa gradita a Tolkien: non poteva di fatti sapere ciò che solo recentemente ha dimostrato Oronzo Cilli nel suo libro Tolkien e l’Italia, e cioè che Tolkien amava Dante e fece attivamente parte per dieci anni della Oxford Dante Society.

La cosa simpatica da sottolineare è che, dunque, davvero la traduzione dell’Alliata è tushery per Fatica: non si spiegherebbe altrimenti come mai secondo lui ci siano più errori in una pagina di quante parole possa essa contenerne. Peccato che lo stesso testo di Tolkien richieda di essere tradotto tramite scelte tanto audaci quanto filologicamente appropriate, come si rende evidente dalla lettera 171.

²Così traduce l’Alliata ne Il Signore degli Anelli la frase che effettivamente pronuncia Théoden; la frase parodica di Tolkien nella lettera 171 è una traduzione di Giovanni Carmine Costabile. In inglese le due frasi sono: 1) Théoden originale “you do not know your own skill in healing”;  2) Théoden “modernizzato” parodisticamente da Tolkien “you don’t know your own skill as a doctor”.