Chiudo con una domanda potenzialmente scomoda: tu alla Bodleian sei stato e hai avuto occasione di consultare le fonti primarie, che per uno studioso tolkieniano significa raggiungere la vetta. Hai inoltre contatti stabili con la Tolkien Society e con altri personaggi di livello assoluto nel panorama degli esperti mondiali. Secondo te, cosa potrebbe e dovrebbe insegnare a noi italiani l’approccio che hanno all’estero riguardo a Tolkien? Quali modelli virtuosi sono proponibili alle nostre latitudini e quali dovremmo adottare imprescindibilmente, per iniziare il percorso che ci rimetterà in pari oltreconfine?
Chiarisco anzitutto che senza l’aiuto delle persone che mi sono vicine io non sarei nulla e nessuno, a partire dai Cavalieri del Mark, fino a STI e soprattutto a Oronzo Cilli, che tutte le porte che si sono aperte e si stanno aprendo per lui le sta aprendo anche a me. Ed i tolkieniani davvero importanti con cui sono in contatto non sono gli studiosi esteri, ma i miei amici e chi mi ha formato fino a qui, in primis penso a Dante Valletta, e subito dietro a tutti i Cavalieri del Mark, a te Gianluca e a Greta Bertani, nonché ovviamente Oronzo stesso. Lo stesso contatto di Catherine McIlwaine lo apprezzo di più per l’umanità della sua persona che non l’uso che posso fare del suo ruolo di archivista od i vantaggi derivanti da questa amicizia: se mai comincerò a fare qualcosa solo per me stesso e perché è utile, e non per una comunità più grande di me e perché è bello, allora sarà meglio che mi dimetta da presidente dei Cavalieri e smetta di occuparmi di Tolkien. Per venire alla tua domanda: non credo che abbiamo niente da imparare dagli studiosi esteri o dalle loro metodologie. Penso sia invece venuto il momento di tornare indietro nel tempo, a quando erano gli studiosi esteri che regolavano le loro attività sui contenuti e le metodologie dell’Italia. Non che io non nutra grande ammirazione per gli studiosi o le Società Tolkieniane non italiani, lontano da me non portare stima a chi ne merita, piuttosto ritengo che l’Italia, come ci insegna la storia mondiale in relazione al nostro paese, ha talmente tanto da regalare quanto a sovrabbondanza di bellezza e di idee che dovremmo, a parer mio, dismettere la mentalità di chi sta sempre a inseguire e prendere quella di chi guida. Posso fare tre esempi per cui già oggi abbiamo assunto questa mentalità tramite i Tolkieniani Italiani. Il primo esempio sta nel progetto in sé: l’Italia è senza ombra di dubbio la prima nazione in cui non è attiva solo la Società Tolkieniana del paese di riferimento ma ha tante associazioni che collaborano con la Società Tolkieniana entro un’idea comune, perché si condividono dei valori e non delle tessere sociali. La valorizzazione di un tale pluralismo è il primo obiettivo che ci si è posti e che si sta man mano guadagnando sul campo: gli individui sono individui dentro una comunità, che è tale in quanto dentro una più grande Comunità. Questa più grande Comunità è quella descritta dai valori di Tolkien, di cui tutti siamo spiritualmente figli. I meriti personali sono realmente dei meriti in questo contesto, e le associazioni e le tessere sono sociali sono poco più che firme e carte burocratiche. Solo in parte questo approccio lo si rivede nella Tolkien Society, secondo me. Il secondo esempio è lo studio di Oronzo Cilli (ancora lui, chi merita merita) che uscirà quest’agosto edito da Luna Press: Tolkien’s Library: an annotated checklist è un’opera che proviene da una persona con capacità uniche e doti naturali straordinarie, merito della sua intraprendenza tutta italiana (e pugliese). Da quest’opera avrà inizio la fase due degli studi tolkieniani a livello mondiale (cosa che fa intendere Tom Shippey nella sua prefazione al testo, quindi non è che io stia solo portando in palmo di mano un amico) e non valorizzarlo a livello italiano è quantomeno degno della più profonda e oscura cecità intellettuale. Ma l’ultimo esempio è quello che mi sta più a cuore. Mi ricollego alla mia prima risposta e alla questione religiosa: è proprio qui che si gioca la partita più interessante. A livello religioso all’estero fanno molta fatica a star dietro a Tolkien, in quanto non solo era un uomo dalla profondissima fede, ma soprattutto dalla fede cattolica. Ritengo che solo in Italia si potrà riuscire ad aprire un ambito di studi cattolici del testo e di tutto Tolkien, per una questione di sensibilità nostra rispetto a chiunque altro nel mondo. Tutto sta, come al solito, nel fare una cosa credibile, nel non dire cioè “noi siamo cattolici, Tolkien era cattolico, quindi è tutto cattolico”, come se Tolkien avesse lavorato e scritto una vita solo per scrivere una specie di Vangelo apocrifo. Al contrario, si tratta anzitutto di notare un dato di fatto, che bene o male la mentalità cattolica in Italia è ancora la più diffusa e come la sensibilità di noi italiani non possa che esserne in qualche modo affetta. Di qui discende una naturale propensione e capacità (derivante senza ombra di dubbio anche dalla fede, ovviamente, ma la fonte primaria è una sensibilità che riguarda tutti gli italiani, anche i non credenti) a comprendere meglio i testi di Tolkien da questo punto di vista, che in quanto era cattolico egli stesso è l’unico che possa riuscire a ricostruire un quadro d’insieme del suo pensiero in modo da rispettarne le diversità ma da darne anche una spiegazione complessiva. È un cantiere appena agli inizi, forse possiamo dire che il primo spiraglio lo abbia aperto Giovanni Carmine Costabile con il suo Oltre le mura del mondo: immanenza e trascendenza nell’opera di Tolkien, edito da Il Cerchio di Rimini, ma ci stiamo lavorando e non posso per ora dir di più. Mi sento solo di ringraziare tutti per l’intervista e per avermi letto fin qui, ed alla Società Tolkieniana Italiana per l’amicizia, l’aiuto e il supporto costante.