di Giuseppe Scattolini
In questi giorni è circolata via social una notizia secondo cui per la serie tv Amazon è stato ingaggiato un esperto per le scene di nudo e che si sta chiedendo la disponibilità agli attori a girarne. Per chi conosce il modo in cui Amazon fa le sue serie, non ci sono grosse novità né niente di cui sorprendersi, almeno secondo me. Quello che mi ha spinto a farmi qualche domanda in più è la giusta osservazione che è stata fatta sulla possibilità che questa serie, tratta dagli scritti di Tolkien, possa svoltare verso uno stile più vicino a quello de Il Trono di Spade che non a quello già visto nelle due trilogie di Peter Jackson, molto più rispettose dello spirito degli scritti tolkieniani quanto appunto allo stile, soprattutto la prima, quella dedicata a Il Signore degli Anelli. Non dimentichiamo che alcuni di coloro che hanno realizzato la serie de Il Trono di Spade sono stati ingaggiati da Amazon per realizzare questa nuova serie.
Quello che vorrei fare è un ragionamento sulle conseguenze teoretiche che seguirebbero necessariamente dall’inserimento di scene di nudo e dalla svolta in direzione GoT che questa serie tv potrebbe prendere. Ricordiamoci infatti che si tratta pur sempre di una serie tratta dagli scritti tolkieniani. Quello che, detto in termini più semplici, vorrei fare, è capire come il messaggio delle opere di Tolkien verrebbe inquinato da una trasposizione televisiva in stile Trono di Spade.
Tolkien e Martin: due realtà a confronto
Se ricordiamo bene i dibattiti che vi furono a suo tempo su Tolkien e Martin, il punto focale che li attirava un po’ tutti era questo: che Martin è più realista, come se Tolkien, che ha combattuto una guerra mondiale e ha avuto ben tre figli su quattro coinvolti in una seconda, non conoscesse la realtà e non l’avesse trasposta nei suoi scritti. Questa argomentazione apparentemente assurda si spiega con la definizione di “realtà, reale” che danno i sostenitori del “realismo” di Martin. Secondo loro la realtà è un luogo malvagio, in cui le persone agiscono solo per interessi egoistici e mai per il bene. Il mondo è un luogo crudo e violento, dove quindi è normale vedere scene di atti sessuali espliciti e sfrenati, anche violenti magari, e se c’è una volontà che vi agisce questa è la volontà del male.
Per Tolkien la realtà è un’altra: il male, certo, c’è. Il mondo è un mondo caduto, un luogo triste e talvolta desolato dove tutto ciò che è bello è destinato a sparire. Ma… ecco, negli scritti tolkieniani c’è sempre un ma. Un re è destinato a tornare sul trono, un albero a fiorire in un luogo segreto dove solo chi è destinato a raccoglierlo e a piantarlo può trovarlo (seppur guidato), eccetera eccetera. Quante volte negli scritti di Tolkien noi leggiamo di questo destino, di questo caso, che ne Il Signore degli Anelli non porta altro nome che questo? Continuamente. Questo “destino” è il modo di Dio, che nel legendarium di Tolkien è Eru, chiamato Ilúvatar dagli Elfi, di abbracciare il mondo dall’eternità. Penso che questa dell’abbraccio sia un’immagine efficace per mostrare come Eru si comporti, quanto ami la sua Creazione, e dunque come Egli sia Provvidente. Eccola la realtà di Tolkien: secondo il Professore di Oxford il male ha concretezza solo perché Dio, nel suo infinito amore, gliela concede, perché il suo agire concederà solo maggior gloria e bellezza al tutto, e nulla può esistere che non abbia la sua ultima fonte nell’Uno stesso, cioè Eru appunto. Sono le prime pagine de Il Silmarillion queste, è sufficiente leggere le prime tre o quattro per capire cosa Tolkien pensasse fosse “reale” e cosa invece avesse un’esistenza solamente provvisoria e dunque “irreale”.
La prima seria conseguenza da un’eventuale svolta in senso GoT di una serie tv tratta da un’opera tolkieniana è che la sua intera struttura ontologica, o, detto diversamente, il modo in cui la realtà è stata pensata dall’autore, ne viene stravolta. Insomma, in questa serie tv di Tolkien non rimarrebbe nulla, se non quei nomi che egli ha creato e che ora verrebbero usati solo per richiamare le persone alla visione del prodotto.
Tutta la logica attiva ne Il Trono di Spade si può forse riassumere nelle opinioni di Martin su due personaggi tolkieniani: Aragorn e Gandalf. Del primo, disse Martin, noi sappiamo che fu un re buono e giusto, ma non come governò Gondor. Il secondo invece doveva rimanere morto a Moria e non ritornare come Gandalf il Bianco. Ecco, da queste due affermazioni possiamo dedurre la direzione della svolta GoT che la serie potrebbe prendere.
Anzitutto sì, è vero, noi non sappiamo come Aragorn governò Gondor, non nei dettagli per lo meno. Non sappiamo nulla quanto a tasse e pedaggi, provvedimenti economici e sociali, presi dal nuovo e saggio re. Ma pensiamoci bene: ci interessa saperlo? Non secondo Tolkien. Egli stava scrivendo un seguito a Il Signore degli Anelli, ma si fermò. I motivi reali sono a noi ignoti, ma una cosa è certa: secondo Tolkien non valeva la pena di raccontare cosa era successo dopo, perché aveva molto più senso secondo lui narrare cosa era accaduto prima. Gli eventi che andavano narrati per dare completezza al racconto sono nelle Appendici dell’opera. Questa era la mentalità del filologo, sì, ma non solo: Tolkien voleva mostrarci le radici del nostro tempo, non spiegarci come avremmo dovuto condurre la nostra esistenza. Il suo fine non era scrivere un testo sociopolitico, ma mostrarci le radici della nostra identità culturale e come esse attingano dalla Verità eterna le verità di cui viviamo e ci nutriamo quotidianamente.
Non solo: sapere come Aragorn governa Gondor uccide la nostra immaginazione, che Tolkien desidera stimolare più che può affinché poi possiamo essere capaci di sperare. Questo è un passaggio fondamentale che Tolkien spiega in Sulle Fiabe quando parla della Consolazione. La speranza è la maggiore virtù che egli vuole trasmetterci al posto della disperazione. Questo è il motivo profondo per cui Gandalf ritorna in vita. Egli non è un deus ex machina. Non è un dio che appare a risolvere i problemi di tutto e tutti. Affatto. Gandalf, come Tolkien dice più volte nelle Lettere, è un inviato. Come Gandalf il Bianco in particolare, egli è un inviato di Dio in persona: nella lettera 156 Tolkien dice che Gandalf a Moria si sacrifica, questo viene accolto e perciò Dio espande il progetto originario dei Valar riguardante gli Istari facendo ritornare Gandalf sulla terra come il Bianco.
Gandalf era l’unico, infatti, in grado di opporsi a Sauron e di impedire che la Terra di Mezzo venisse distrutta prima che Frodo e Sam potessero compiere la loro missione, per la quale la stessa presenza di Gandalf è necessaria o nessun esercito ci sarebbe stato dinanzi al Nero Cancello consentendo ai due Hobbit di giungere inosservati sino alla Voragine del Fato. La sua presenza è provvidenziale e necessaria, ma non sufficiente, perché senza la Pietà di Bilbo, Frodo e Sam l’Anello non sarebbe stato distrutto (vedi il capitolo L’ombra del passato e l’ultima pagina del capitolo Monte Fato de Il Signore degli Anelli nonché la lettera 181). Ecco tutti gli elementi che verrebbero completamente espunti da una serie tv tratta da Tolkien che viri verso uno stile più simile a quello de Il Trono di Spade: la speranza, la Pietà, la provvidenza. Insomma, quello che mancherebbe è Eru, cioè Dio, senza il quale la Terra di Mezzo di Tolkien non è più tale. L’arte sparisce per lasciare posto solo alla magia, che è tecnica e dominio sulla realtà. La bellezza e la grazia degli Elfi spariscono perché solo la crudezza è reale. Il bene sparisce perché è solo un’illusione, l’unica realtà è il male e l’egoismo che dà concretezza all’agire. Salvare la Terra di Mezzo affinché altri possano goderne, che è la missione che Frodo deve accettare con fatica, fede e coraggio, è un puerile modo di vivere la vita: conquistare e sottomettere i popoli è molto più nobile. In pratica è come se Il Signore degli Anelli venisse distopicamente riscritto dal punto di vista di Sauron per farlo trionfare e glorificare la sua vittoria.
Tutto ciò preoccupa particolarmente perché la serie tv su cui Amazon sta lavorando sarà incentrata sulla Seconda Era e su Númenor, dove il problema di Dio è centrale. Nella lettera 183 Tolkien dice che già ne Il Signore degli Anelli questo è il tema fondamentale (Dio e il suo diritto esclusivo agli onori divini), ma nella storia della Caduta di Númenor questo tema è il cardine di tutta la storia. Discutendo di questa nuova serie tv alcuni si sono detti favorevoli alle scene di nudo perché così si può mostrare sullo schermo la depravazione dei númenoreani, ma Tolkien non li ritrae affatto così, piuttosto egli usa l’aggettivo di Fedeli per designare quelli come Elendil, i “buoni” che rimangono appunto fedeli al patto coi Valar, e l’altro aggettivo che Tolkien avrebbe potuto usare (lo usa ad esempio per designare Frodo quando cede all’Anello nella lettera 181) è quello di apostati. Ecco, i númenoreani malvagi che ascoltarono Sauron non erano depravati da un punto di vista sessuale, ma infedeli ed apostati. Infedeli al patto con i Valar, simbolo dell’alleanza con Dio e dell’adesione al suo progetto. Apostati perché iniziatori di un culto satanico (così più volte definito da Tolkien) nei confronti delle Tenebre.
Si potrebbero scrivere molte pagine sulla natura dell’infedeltà e dell’apostasia, ma per i fini di questo articolo è sufficiente dare un’idea di come nemmeno l’argomento della depravazione dei númenoreani abbia un senso per giustificare le scene di nudo. Augurandoci che Amazon si concentri sul trasporre Tolkien fedelmente e non come i rumors odierni vorrebbero (speriamo di poter riporre la nostra fiducia nella nuova gestione della Tolkien Estate, che Christopher possa riposare in pace e non rivoltarsi nella tomba), dobbiamo fermarci a fare una riflessione estemporanea e fare quella distinzione che non ho visto fare da nessuna parte, ma è necessaria. Infatti, le scene di nudo non sarebbero, in teoria, degli atti sessuali espliciti.
La nudità in Tolkien e nel suo adattamento
Nei testi tolkieniani più volte i personaggi vengono detti da Tolkien essere “nudi” (seppure mai ne “descriva” la nudità, come ha recentemente sostenuto qualcuno in un suo articolo, perché c’è differenza tra narrare e descrivere, nozione da scuola elementare). Anche gli Hobbit corrono nudi sui prati nel capitolo Nebbia sui Tumulilande. E Tolkien sapeva bene da dove escono fuori i figli e che non li porta la cicogna, ne ha fatti quattro insieme a sua moglie Edith. Il punto è che Tolkien non mette per iscritto, o meglio, non descrive mai atti sessuali espliciti nelle sue opere, e questo non perché, appunto, non sapesse che cosa sono, ma perché lui è uomo di un’epoca in cui sulle parole pudore e castità non era ancora sceso il tabù che vige oggi giorno. Secondo i valori “di una volta”, non mettere in una serie tv o in qualsiasi opera cinematografica o letteraria atti sessuali espliciti non significava che chi ne usufruiva non sapesse cosa poi i personaggi avrebbero fatto in quelle circostanze, ma piuttosto per senso di pudore.
Le giustificazioni per inserire atti sessuali espliciti in una serie tv tratta da testi dove essi non sono presenti non possono essere “tanto lo facciamo tutti” o “tanto tutti sappiamo cos’è, è una cosa normale”. Che “lo facciamo tutti” non è vero, perché esistono tante persone che vivono in castità anche nel mondo contemporaneo dove la sfera sessuale dell’umano è stata tanto sdoganata, troppo sdoganata se pensiamo anche a quale sia il ruolo del pudore nella vita psicologica di un individuo. Infatti, l’atto sessuale giunge per gli esseri umani a coronamento dei sentimenti che si hanno verso un’altra persona, secondo un iter di evoluzione biologica che ci ha portato dal sesso occasionale dei primati, utile solo alla riproduzione, all’amore. Ecco perché si dice anche “fare l’amore”. Attraverso lo sdoganamento dell’atto sessuale abbiamo fatto un bel salto indietro evolutivo dal punto di vista biologico e distrutto uno dei modi in cui l’essere umano, da un punto di vista stavolta psicologico, costruisce la sua identità.
La presenza di atti sessuali espliciti in qualunque serie tv o film rende l’opera di cui si fruisce una specie di reality show pornografico, che ha come effetto la distruzione del pudore, dunque dell’intimità e del senso del profondo che abita in noi. Così regrediamo a un modo di concepire l’atto sessuale simile a quello dei primati, smettiamo di essere umani e torniamo a essere bestie. Questo è tanto più grave se l’opera di cui parliamo è tratta da un testo di Tolkien, dove l’intimità e il profondo sono gelosamente custoditi, con cura e sacralità. Basti ricordare cosa pensavano gli Inklings, il gruppo di amici oxfordiani di cui Tolkien faceva parte, del flusso di coscienza o stream of consciousness, su cui ironizzavano chiamandolo steam of consciousness, fumo di coscienza (vedi Gli Inklings di Carpenter), massima espressione modernista dell’espressione dell’interiorità.
In conclusione, non possiamo dire se le premesse per questa serie tv siano buone o cattive, dato che si tratta solo di rumors e non si sa niente di certo. Non possiamo sapere come deciderà di agire Amazon né che tipo di vigilanza eserciterà la Tolkien Estate in quanto non abbiamo un precedente storico a indicarci la mentalità della sua nuova gestione. La verità è che potremmo assistere a uno dei più grandi successi del piccolo schermo che surclasserà Il Trono di Spade sia quanto al gradimento del pubblico che quanto alla critica, che in questo caso sarà ferocissima. In caso contrario il flop sarà tremendo, Jeff Bezos avrà perso miliardi di dollari e la Tolkien Estate macchiato il suo buon nome, costruito da Christopher col duro lavoro e anni di sacrifici. Sarà interessante vedere cosa succederà, ma la cosa più importante, i tolkieniani tutti lo ricordino, non è la buona riuscita della serie, quanto il numero delle persone che sarà portato a interessarsi e a leggere Tolkien. Nostro compito specifico non sarà giudicare un prodotto televisivo, ma accogliere tutti coloro che saranno smarriti e alla ricerca di una famiglia di cui far parte.
Complimenti, bellissimo articolo, davvero complimenti ♥
La Tolkien Estate sospetto sia più concentrata a monetizzare il più possibile che a preservare, altrimenti non si spiegherebbe il via libera ad alcuni scempi, come quello operato da Fatica in Italia.
Questo articolo mi divide in due. Da un lato, sono favorevole alle scene di sesso esplicito nella futura serie TV, perché so bene che così attirerà molta più gente a guardarla e sarà un prodotto di successo. Dall’altro lato, mi fa orrore la messa in scena dell’intimità personale a cui ci hanno abituato trasmissioni televisive come Il Grande Fratello e L’isola dei Famosi. Prima guardiamo simili programmi e poi ci lamentiamo che le buone maniere non le conosce più nessuno e che la volgarità d’espressione e d’azione è diventata la norma… Secondo me, si potrebbe pensare a un compromesso: niente pornografia come nel Trono di Spade, manco si parlasse di demoni, ma nemmeno assoluta mancanza di scene di nudo o di sesso, manco si parlasse di angeli. Il corpo umano bello è forse la cosa più bella che esista, almeno secondo le nostre categorie estetiche. Dunque, che sia pure esibito con naturalezza, quando occorre, ma sempre pensando a non offendere il pudore dei più piccoli.