Intervista a John Howe

di Erie Rizzi Neves


The One Ring

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J.R.R. Tolkien ha raggiunto una notevole fama mondiale grazie alla sua capacità di sviluppare un complesso ed affascinante “legendarium” che narra storia della Terra di Mezzo, dalla cosmogonia di Eä fino al sorgere della Quarta Era.

Tale fama si è rafforzata con la trilogia de Il Signore degli Anelli di Peter Jackson che ha avuto un’impressionante accoglienza di pubblico e critica (vincendo ben 17 Oscar complessivamente), la trilogia de Lo Hobbit sempre di Jackson e la recentemente con la notizia della produzione di una serie Amazon Prime intitolata Il Signore degli Anelli di cui fino ad oggi si sa ben poco.

Oggi abbiamo il piacere di parlare con una leggenda, una persona che fa parte di tutti questi progetti citati qui sopra: l’illustratore canadese John Howe.

Conosciuto mondialmente per le sue illustrazioni per le opere di J.R.R. Tolkien (copertine, libri, calendari, ecc), e per la partecipazione insieme ad Alan Lee come designer e il concept artist delle trilogie di Jackson, Howe con molta simpatia parla dei film, di arte e delle sue esperienze personali e professionali.

Vorrei ringraziare Martina Ravaioli, Maurizio Ieiri, Sebastiano Tassinari, Ana Julia Rizzi, Alessandra Trapani, Viviana Mioranza e Alessandra Cois per l’importante contributo a questo progetto.


Signor Howe, ci parli un po di chi è lei e di quali sono le sue formazioni accademiche, artistiche e professionali.

Sono nato e cresciuto nel West Canada e nel 1976 sono venuto a studiare in Francia. Ho frequentato la École des Arts Décoratifs di Strasburgo per tre anni e da allora lavoro come illustratore indipendente.

Molte persone già in tenera età capiscono cosa vogliono fare da grandi, altre invece capiscono solo tardi la loro vocazione, altre ancora invece non trovano affatto la loro passione. Lei quando ha capito che l’arte era il suo mondo e che sarebbe diventato un artista?

Ho sempre voluto fare qualcosa di artistico, anche se non è stato così fino all’adolescenza, una volta terminate le superiori, quando ho deciso di proseguire gli studi artistici. L’idea di trascorrere un anno in Europa mi affascinava. Alla fine non sono mai tornato in Canada.

Gran parte delle persone della mia generazione ha avuto il primo approccio con J.R.R Tolkien e la sua mitologia attraverso le sezione di Dungeons and Dragons. Successivamente le nuove generazioni hanno conosciuto la Terra di Mezzo attraverso la trilogia Il Signore degli Anelli di Jackson. Lei quando ha avuto il primo contatto con la Terra di Mezzo e quale aspetto le ha fatto nascere questa scintilla, questa passione talmente forte da dedicarvi una intera vita?

Ho letto i libri quando avevo dodici anni circa e mi sono divertito, ovviamente nel modo in cui si diverte un dodicenne. Li ho riletti nella mia tarda adolescenza e ho iniziato a fare illustrazioni su quello che leggevo nel mio tempo libero. Stavo acquistando i Calendari di Tolkien in quel periodo e illustravo gli stessi temi che trovavo al loro interno. Ho anche realizzato qualche illustrazione su Il Signore degli Anelli alla Scuola d’Arte di Strasburgo. All’epoca Tolkien era quasi uno sconosciuto in Francia. Solo più tardi, con la pubblicazione di meravigliosi libri sulla scrittura delle opere di Tolkien, ho iniziato ad apprezzare la loro vera profondità.

Detto questo, vedo Tolkien come una sorta di portale o una soglia per un mondo di miti e leggende – suoi interessi e fonti – un mondo profondo, complesso e vasto. Tolkien è una meravigliosa introduzione  a questi mondi.

Partiamo da questa riflessione: illustratori come lei, Ted Nasmith ed Alan Lee si sono trovati a dover mettere mano a una serie di opere che nascono praticamente già illustrate dallo stesso autore. Si potrebbe benissimo pensare che nessuno possa creare delle illustrazioni più sentite ed efficaci dello stesso Tolkien, colui che ha ideato la storia e il mondo della Terra di Mezzo. Mi chiedo perciò con quale spirito un illustratore possa approcciarsi all’impresa?

Tolkien è un maestro nel descrivere non l’apparenza di qualcosa, bensì le emozioni vissute dai suoi protagonisti. Inoltre usa abilmente i suoi personaggi per descrivere luoghi e situazioni, dandoci così un doppio strato di significato e rendendo la descrizione più chiara emotivamente, senza eccessivi dettagli in modo da preservare il mistero. Per un artista, ciò che non è presente nel testo è importante quanto ciò che lo è. Ciò che non viene descritto ti lascia una buona dose di libertà che deve essere sfruttata. Ed è qui che è possibile introdurre l’esperienza e la conoscenza personali dell’artista.

La maggior parte degli illustratori ha una conoscenza abbastanza approfondita, anche se empirica, di arte, storia, costume e cultura. (Ricordo quanto mi sia piaciuto scambiare qualche idea su questi argomenti con Alan Lee.) Questa familiarità è il prerequisito di un ampio vocabolario visivo, che aumenta la capacità dell’artista, allo stesso modo in cui conoscere più parole in una lingua consente di scrivere o parlare in maniera più elaborata, precisa e ricca.

Leaving Beleriand

Tolkien non realizzava dei semplici disegni a corredo delle sue opere, ma delle vere e proprie opere d’arte grafica, con precisi elementi di riferimento stilistici all’interno della storia dell’arte a lui vicina. Lei, cosa ha voluto mantenere di esse nel suo lavoro e in cosa si è discostato?

Vedo le illustrazioni di Tolkien come una finestra nella sua mente, una finestra molto utile. Rafforzano anche l’idea che la creazione non sia così nettamente divisa in scrittura e pittura o disegno, le due arti possono contribuire a turno allo stesso universo. Tendo ad essere d’accordo con Tolkien, che diceva che il suo universo è più bello se non illustrato, ma la pittura è la mia professione, quindi accetterò la contraddizione. ? Detto questo, pur comprendendo la sua riluttanza e parlando spesso con lettori che preferirebbero che la loro immaginazione non fosse “guidata” dall’immagine, non credo che il testo abbia nulla da temere da nessuna illustrazione. Se l’immagine non trova una relazione simbiotica con la parola, viene rapidamente dimenticata. Se l’immagine persiste, in qualche modo cattura non solo ciò che il testo dice, ma soprattutto, cattura ciò che il testo non dice.

Osservando le sue opere, non solo quelle tolkieniane, notiamo come esse siano pervase da una sorta di spirito preraffaellita: sono infatti tangibili riferimenti e citazioni a una sorta di folclore di ispirazione neomedievale, dove la tradizione popolare (troll, folletti) si intreccia con il Ciclo Arturiano, il medioevo, le leggende sul Graal, il popolo celta, ecc, ecc, caratteristiche che rendono adattabile la loro tipologia di narrazione e artistica all’operato del Professore.
Ma da dove nascono in lei tali suggestioni? Dalla letteratura? Dai racconti di infanzia? Dall’arte? Ci sono artisti del passato che hanno contribuito alla sua formazione “romantica”?

Non credo sarebbe falso affermare che il fantasy moderno è figlio del romanticismo e dei Vittoriani, siano essi pre-Raffaelliti, Simbolisti o Decadenti. La cupezza e la speranza di fine secolo, in egual misura, pervadono tutti i fantasy da William Morris in poi.

Illustrare qualsiasi opera letteraria è una questione di decidere cosa sembra “giusto”, che ovviamente è una visione del tutto soggettiva. Quando leggo un testo e mi trovo con diverse idee che mi attirano tutte in egual misura, so di non aver ancora raggiunto il nucleo del testo stesso, o di non averne apprezzato il vero valore. Con Tolkien è diverso, so istintivamente cosa mi sembra “giusto”, anche se ovviamente può applicarsi solo a me e non mi aspetto che nessuno condivida il mio punto di vista. D’altra parte, questa sensazione di credibilità in un mondo fantasy è cruciale. Mostra che le leggi straordinarie dell’universo immaginario sono state assimilate e che una forma di realismo fantastico può iniziare a prendere forma.

Ad esempio, le montagne che conosco meglio, le Montagne Rocciose del Nord America, per me non possono essere usate come riferimento per la Terra di Mezzo. Le Alpi invece sono perfette, quando ho bisogno di riferimenti visivi. D’altra parte, per gli eventi del Silmarillion, credo che le montagne della Patagonia siano più adatte.

Naturalmente, non c’è alcuna difesa logica per questo mio ragionamento. Posso immaginare che le ragioni che mi portano a pensare così siano basate sulle mie esperienze personali e condivise sulle risonanze letterarie. Tolkien è stato grandiosamente ispirato dal suo tour a piedi sulle Alpi, la regione ha attraversato la conosco bene perché posso quasi vederla da casa. Qualcosa nella sua scrittura, nelle sue descrizioni delle Montagne Nebbiose, contiene il ricordo latente di quell’esperienza, che a sua volta risuona con me quando vedo le montagne stesse. D’altra parte, le montagne descritte nel Silmarillion sono più grandi, selvagge e di natura più archetipica. Questo accresciuto realismo corrisponde ai miei sogni ad occhi aperti della visita in Patagonia e la vista di quelle catene montuose. Come potete vedere, l’ispirazione è un misto di esperienza, lettura e pio desiderio.

Nulla di ciò che riguarda l’ispirazione è semplice o diretto. Non mi piace la tendenza a semplificare eccessivamente le fonti di ispirazione di un autore; gli studiosi sembrano determinati a piantare letteralmente uno spillo in una mappa per tutto ciò che Tolkien descrive. Tolkien non ha scritto un libro di viaggio, e il desiderio di chiarire troppo le sue fonti è, per me, un errore.

A proposito di romanticismo, notiamo nelle sue illustrazioni il ricorrere di paesaggi e ambientazioni che richiamano davvero tanto le correnti romantiche, in particolare quella tedesca, sia a livello compositivo che di concetto (elemento presente anche nelle illustrazioni di Tolkien). Troviamo infatti spesso scenografie naturali o artificiali molto imponenti, spesso in concomitanza a fenomeni naturali di notevole importanza, nel quale l’uomo, se presente, è relegato in secondo piano, o appare comunque sopraffatto. È una percezione corretta? Ci sono effettivamente riferimenti al romanticismo tedesco? A un artista in particolare, magari Friedrich?

I Romantici sono stati gli ultimi pittori a cercare di stabilire un rapporto dell’essere umano in relazione al paesaggio, di rappresentare il senso di gioia dei piccoli esseri, quali siamo noi, di fronte alla grandezza della natura. I pittori successivi hanno completamente rimosso l’uomo dai loro quadri, come se, attraverso la distruzione della natura, non meritassimo più un posto nel mondo. Sento che il Romanticismo abbia ancora un ruolo da svolgere, come veicolo per promuovere l’ecologia. Il focus e le problematiche sono cambiate, ma resta la necessità di affrontarle artisticamente. La nostra connessione con la natura deve essere ridefinita.

Sulla natura dell’ispirazione e dell’ispirazione dalla natura: HORIZONS NEAR AND FAR

Sul processo della creazione artistica: WE ARE THE RAVEN-FED

Osservando i vari popoli della Terra di Mezzo, sia nella trasposizione cinematografica che nelle illustrazioni, quello che si nota è che per rappresentare il “mondo” elfico, tanto nei luoghi quanto nell’equipaggiamento, lei si è discostato dallo stile più nordico/celtico a favore di linee fluide e molto più moderne, che richiamano in modo sorprendente l’Art Nouveau, c’è un motivo particolare? Una scelta prettamente stilistica?

Le immagini che istintivamente evochiamo sono sincretiche e si sono formate nell’immaginazione dell’umanità da molto, molto tempo. Tutti sanno com’è fatto un drago, ma non ne hanno mai visto uno, né sono mai esistiti.1 Tuttavia, le persone possono descriverli in modo dettagliato. Questa è cultura generale o condivisa, alla quale Tolkien attinge pesantemente. L’ascendenza delle creature, degli esseri e delle culture della Terra di Mezzo è chiara e rintracciabile. Visto da questo punto di vista, non ha senso adottare un approccio diverso semplicemente per opposizione. Restare fedeli a un testo del genere significa disegnare ciò che le persone si aspettano, ma cercando di sorprenderle con creatività e originalità.

Anche in questo caso, torniamo alla convinzione di ciò che è “giusto”. Spesso i miei fan mi hanno detto con molta fermezza che qualcosa che ho dipinto è sbagliato, dicendo, per esempio: “Gollum non ha quell’aspetto.” Chiedo quindi che aspetto abbia Gollum e in genere la risposta è: “Non lo so, ma non quello”.

Mi piace molto lo scambio di idee e ammiro la passione che molti lettori hanno nel confronto delle storie. D’altra parte, nessuno di noi ha “ragione”. Tutto ciò che l’artista può fare, legato com’è dalla necessità di ritrarre un universo convincente, è fare una proposta, una proposizione.

È fondamentale lasciare spazio allo spettatore, per permettergli di entrare nell’immagine come entrano in un testo. Mi viene spesso detto che il mio lavoro è molto dettagliato, ma se guardate più da vicino, vedrete che non ci sono molti dettagli. Semplicemente li metto nei punti in cui è più utile: così invito dentro lo spettatore, per guidarlo a quelle parti meno dettagliate dell’immagine dove ognuno può portare il proprio contributo e completare il quadro.

Parlando della tecnica d’illustrazione adottata, è corretto dire che lei passa da dei bozzetti molto dinamici ed efficaci a grafite, a tavole a colori in cui però si perde totalmente il senso del “fatto a mano” a favore di un uso esclusivo del digitale? Secondo lei come la tecnologia ha modificato l’illustrazione? Fino a che punto questa “ferramenta” può modellare il termine di “illustrazione artigianale” in “illustrazione digitale”?

Gli strumenti modellano sempre la mano. Più sofisticato è lo strumento, più il prodotto di quello strumento ne sarà influenzato, indipendentemente dalle diverse mani che lo utilizzano. Detto questo, l’illustrazione tradizionale e quella digitale sono in gran parte la stessa cosa. Ognuna di loro ha dei vantaggi e svantaggi, delle qualità e dei difetti.

Si possono sentire dei cambiamenti nella sua arte di Magic the Gathering. Per Tolkien, lei crea spazi aperti con una forte enfasi sulla natura e sul clima, su come il paesaggio del piano differisce da Lórien alla Contea e a Mordor. Questo cambiamento deriva dal testo di Tolkien e dalle preoccupazioni ambientali o dalla necessità di ritrarre una meccanica di gioco?

Non ho realizzato molte illustrazioni per Magic the Gathering, ho illustrato solo due carte che comunque, non sono molto diverse dal resto del mio lavoro. Immagino tu stia parlando dell’altro John Howe (sì, stesso nome persona diversa), che ha realizzato molte carte di Magic. Eravamo in contatto qualche tempo fa e abbiamo deciso di autografare le carte a vicenda per i fan, ma qualcosa mi dice che autografo molto più carte sue che lui delle mie. (Spiego l’equivoco ai fan e dico sempre che sono un impostore, ma di solito loro sono felici di ottenere l’autografo).

Gandalf Returns to Hobbiton

Mr. Howe, in un recente post del suo blog, ha accennato a come spetta al lettore rendere l’arte significativa. Da bambini possiamo immergerci nella Terra di Mezzo di Tolkien o Narnia di C.S. Lewis, o nel cielo di Neverland con un’ottica pulita, senza le preoccupazioni dei troppi fantasy o della coesione nella costruzione del mondo. Come ha fatto a rendere l’arte significativa per sè stesso nel corso degli anni? In che modo la sua visione politica e sociale influisce sulla sua arte, se è così? Ad esempio, esaminando più volte il lavoro di Tolkien per diversi progetti – come calendari, libri, serie di Amazon e tutti e sei i film – ha provato a raggiungere nuove sensazioni? Come ritratterebbe le sale di Moria nell’era del Covid-19?

Non posso immaginare di fare la stessa cosa due volte allo stesso modo. Niente è inciso nella pietra, l’opera che faccio oggi non sarà come quella di domani. Ripiegare su ciò che si “conosce” troppo bene è un errore da evitare. C’è sempre qualcosa di nuovo da esplorare. Il testo non cambia, ma noi sì: la nostra esperienza ci cambia, la nostra conoscenza ci aiuta, il cambiamento fa parte della nostra visione del mondo.

Cerco di non vincolare il mio lavoro all’attualità, che è di competenza del giornalista. Penso che le questioni in gioco nella buona letteratura fantasy siano più profonde e più ampie rispetto agli eventi della scorsa settimana, o anche dell’anno scorso, e toccano questioni che hanno accompagnato l’umanità per molto tempo. Naturalmente, siamo tutti creature del nostro tempo, quindi le sensibilità e le opinioni moderne pervadono il mio lavoro, ma non sono l’obiettivo finale.

Una volta credevo che le illustrazioni erano già pronte nella nostra testa e che l’arte della pittura consistesse solo nel mettere quella immagine su carta o tela. Ora mi rendo conto che non è così. Quello che possediamo sono le tecniche, l’esperienza e la voglia di creare immagini, ma le immagini sono già presenti nel mondo. Dipingere significa raggiungerle per scoprirle.

Mi viene spesso chiesto del blocco dell’artista, del trovarsi di fronte alla pagina bianca e non avere ispirazione. Quella pagina vuota non è una pagina. È una finestra che si affaccia su uno spazio tridimensionale, infinito, dentro il quale puoi raggiungere con la punta della matita quello che è già lì per scoprirlo. Il disegno è un dialogo, uno scambio tra il tema, l’artista e ciò che sta apparendo sulla carta. Come in ogni dialogo, se un partecipante parla da solo, non c’è scambio. Il disegno è a metà strada tra una meditazione e una conversazione.

Vent’anni sono passati da quando l’universo tolkieniano è stato portato alla massa attraverso gli adattamenti cinematografici de Il Signore degli Anelli di Peter Jackson. Com’è stato il processo di creazione della Terra di Mezzo? Quali punti di riferimento avete preso in considerazione per creare gli stili architettonici, le armature, le armi, le strumenti e la vita quotidiana delle varie razze della Terra di Mezzo? Guardando i film oggi, lei cambierebbe qualcosa della sceneggiatura originale?

Certamente non presumo di opinare sulla sceneggiatura! Non sono uno scrittore e non conosco il difficilissimo compito di adattare un romanzo allo schermo.

Ci sono cose che avrei voluto vedere che non sono state incluse?

Ovviamente! Penso che tutti noi rimpiangiamo il fatto che Tom Bombadil non sia nei film, per esempio. Inoltre, credo che sarebbe stato carino esplorare il background di alcuni dei personaggi dei film, ma questo avrebbe raddoppiato la lunghezza dei film!

In una scena de Lo Hobbit, la sceneggiatura ci portava ai Barrow-Downs (Tumulilande). Abbiamo visitato un posto straordinario in una fattoria nell’Isola del Nord in Nuova Zelanda, che sarebbe stato meravigliosamente perfetto per la scena. È stato molto eccitante e lo scenario era terribilmente strano, al punto che sarebbe stato difficile credere che fosse tutto naturale. Ahimè, la scena è tagliata dalla sceneggiatura.

Abbiamo visitato dei posti meravigliosi durante i viaggi di “esplorazione” della Nuova Zelanda. Il mio unico dispiacere è che né Il Signore degli Anelli Lo Hobbit ci portano davvero sul bordo dell’oceano; La Nuova Zelanda ha alcune delle coste più belle della Terra.

Per la creazione delle immagini dei film, vi rimando qui alla mia newsletter: JOURNEY INTO WILDERLAND

Guardando le trilogie de Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit si notano subito le diverse scelte nell’utilizzo di effetti speciali. Ne Il Signore degli Anelli abbiamo una grandissima quantità di controfigure, orchi, soldati, cavalli, armi e materiale vario. Ne Lo Hobbit invece vediamo un grande utilizzo di effetti speciali da computer grafica. Chi gestisce queste scelte e cos’è cambiato nello stile e nella produzione delle 2 trilogie?

Entrambe le trilogie utilizzavano la tecnologia più recente disponibile al momento della loro produzione. Ci sono molti effetti grafici ne Il Signore degli Anelli, ma hai ragione, c’è molto di più nel Lo Hobbit perché la tecnologia si è evoluta.

C’è un altro fantasy non eurocentrico di cui si è innamorato e su cui vorrebbe lavorare?

Certamente! Ci sono epopee cinesi e giapponesi che adorerei visitare attraverso la pittura, così come la cultura dell’Himalaya.

Recentemente abbiamo letto sulla sua pagina Facebook del lancio della statua The Witch-King della Uman Studio creata a partire del suo progetto di design. Com’è per lei vedere una sua creazione uscire dalla carta e diventare palpabile? Ci può raccontare un po’ del processo di trasformazione di una illustrazione in una statua?

Non ho ancora visto la statua pronta, ma ho visto un prototipo a Shanghai ed era molto bello. Sono eccitato e impaziente di vedere la versione finale. Naturalmente, una delle sfide è che le cose non sempre funzionano da ogni lato, poiché le si disegna solo da uno. Successivamente ho fatto una serie di schizzi per aiutare gli scultori.

La statua è un’edizione limitata di appena 300 copie. Erano disponibili online per il pre-ordine e sono andate esaurite in un secondo. Stiamo discutendo la scelta del soggetto per il prossimo progetto. Quale immagine vorreste vedere come statua?

Frodo and the Nazgul

Sono stati annunciati il Tolkien Calendar 2021 e l’edizione illustrata da lei, Ted Nasmith ed Alan Lee del libro Racconti Incompiuti di J.R.R. Tolkien. Cosa vedremo di nuovo in questi volumi? Com’è, per lei, lavorare ancora con i grandi illustratori tolkieniani dell’attualità?

Non ho ancora visto il lavoro degli altri. Non vedo l’ora di vedere cosa hanno fatto. Credo che il libro verrà pubblicato in ottobre.

Che consigli può dare ai nuovi artisti emergenti?

Siate sinceri. So che suona un po “banale”, ma per sincerità intendo trattare con rispetto sia il soggetto che il cliente. Siate originali. Ciò significa migliorare e aumentare costantemente il vostro “vocabolario” visivo.

Vuole mandare un messaggio ai nostri amici tolkieniani italiani e ai suoi fan che ci leggono?

Semplicemente grazie. Senza l’energia e dedizione dei fan e degli appassionati la mia professione non esisterebbe.


Note:

1 Riguardo ai draghi di Tolkien: A FEW WORDS ABOUT DRAGONS