di Sebastiano Tassinari e Mauro Toninelli
Il Natale per molti di noi è una festività molto sentita all’interno dell’anno, particolarmente per il suo alto significato morale, direttamente derivato dal carattere religioso della festa. Lo sapeva bene il prolifico romanziere Charles Dickens, che per il suo capolavoro Il Canto di Natale ebbe la fantastica idea di ripercorrere la vita del suo protagonista, Ebenezer Scrooge, avanti e indietro nel tempo nei giorni di Natale.
Lo stesso esercizio potrebbe essere applicato a ciascuno di noi… anche a Tolkien, e quindi vale la pena provare a passare in rassegna alcuni ricordi legati al Natale del Professore.
Il giorno di Natale nella vita di J.R.R. Tolkien
Possiamo ricordare con tenerezza che una delle prime foto che abbiamo di Tolkien fu quella scattata per le cartoline di Natale ai suoi famigliari del 1892. La foto fu scattata il 15 novembre 1892, il piccolo John Ronald in braccio alla domestica aveva meno di un anno.
Anche Tolkien conservava dei ricordi d’infanzia sul Natale:
Il mio primo ricordo natalizio è di un sole splendente, tende tirate e un eucalipto afflosciato.
Lettera 163
L’anno successivo, nel Natale 1895, invece Tolkien apprezzerà molto di più un vero albero di Natale nella casa dei nonni a Birmingham, dove viveva insieme a sua madre ed il suo fratellino Hilary.
Il Natale del 1903 fu un evento di grande svolta per la vita spirituale di Tolkien: proprio il giorno della Nascita di Cristo, l’ormai undicenne Tolkien ricevette la Prima Comunione. Fu l’ultimo Natale prima della morte della madre, Mabel Suffield, che con le ultime timide parole di una lettera alla suocera scrive:
«Ronald a Natale farà la sua prima comunione, perciò per noi, quest’anno, ci sarà un doppio motivo di festa. Non dico questo per rattristarla, ma solo perché lei sappia tutto di noi.»
Infatti nè la famiglia di Mabel nè quella del compianto marito erano state contente della conversione di Mabel alla fede cattolica. Le due famiglie erano rigidamente attaccate alle proprie confessioni protestanti, e per questo negarono un pieno sostegno a Mabel e i suoi due figlioletti.
Su questo segno indelebile della fede trasmessa dalla madre, si costruì la maturità di Tolkien: le scelte, le opinioni, le sue storie, l’educazione dei suoi figli… Tutto della sua vita fu guidato da una ferma spiritualità che non cadde mai nell’abitudine.
Infatti il senso della Comunione è sempre presente nelle lettere ai suoi figli. Del suo percorso ricorda:
Fin dall’inizio mi sono innamorato del Santissimo Sacramento, e per grazia di Dio non me ne sono mai allontanato.
Lettera 250
A Michael, suo figlio, scrisse ancora:
Dall’oscurità della mia vita, così frustrata, ti offro l’unica grande cosa da amare sulla Terra: il Santissimo Sacramento.
Lettera 43
Per il Natale 1910, Tolkien ricevette dalla sua amata Edith un biglietto di auguri. Stupirà sapere che Edith non firmò quel biglietto, ma ciò è dovuto al fatto che in primavera Padre Morgan, tutore di Tolkien, aveva proibito loro di frequentarsi fino al compimento dei 21 anni per Tolkien: il protettore di John Ronald teneva alla sua carriera scolastica, e con questa imposizione lo aiutò a raggiungere grandi traguardi. Sembra che Tolkien non provò mai particolare risentimento per questa scelta del suo tutore, al quale fu sempre grato. Questo non toglie che anche nei Natali seguenti Tolkien non provasse una grande nostalgia per la compagnia di Edith: nel 1912 Tolkien scrisse The Bloodhound, the Chef, and the Suffragette una delle piccole recite con cui intratteneva la famiglia Incledon presso cui passava le vacanze di Natale. La recita racconta di un’ereditiera che si è innamorata di uno studente squattrinato che vive nella sua stessa casa, e che sarebbe libera di sposarlo il giorno del suo ventunesimo compleanno, due giorni dopo, se suo padre non la scoprisse prima. È facile riconoscere tratti autobiografici, fatti affiorare dall’ansia con cui Tolkien attendeva il 3 gennaio 1913, quando avrebbe potuto ricominciare a frequentare Edith.
Il Natale della gioventù di Tolkien si legò ovviamente non solo all’amore della sua vita, ma anche alle sue amicizie più strette, cioè quella con i membri del TCBS. Tragicamente, due di questi amici di Tolkien morirono sul fronte della Somme nel 1916: prima fu la volta di Gilson, ucciso l’1 luglio, all’inizio della sanguinosa battaglia, poi il 3 dicembre si spense Geoffrey Bache Smith in seguito alle ferite provocate da una shrapnel. Tolkien si era molto legato a Geoffrey in quei mesi di guerra grazie ad uno scambio epistolare divenuto particolarmente intenso e a due fortunate occasioni di incontro nelle retrovie del fronte. Tolkien seppe della morte dell’amico intorno al 18 dicembre, mentre lui era in licenza a Great Haywood in compagnia di sua moglie. Appena ricevute le notizie del trapasso di Geoffrey, Tolkien scrisse una lettera di condoglianze alla madre del giovane caduto, e passò il Natale cercando di elaborare il lutto: scrisse una poesia, intitolata GBS in ricordo del suo amico. Questa poesia è ancora inedita ma sappiamo che in una successiva copia dattiloscritta Tolkien annotò: «Great Haywood Christ[mas] 1916–17».
Altro evento cardine della vita di Tolkien fu la nascita dei suoi figli. L’affetto paterno di Tolkien rappresentò infatti uno dei maggiori stimoli per la creazione di nuove storie. Non dimentichiamo che il primo romanzo pubblicato da Tolkien fu Lo Hobbit, la cui storia lui aveva concepito per raccontarla ai suoi bambini, e senza quel successo iniziale de Lo Hobbit difficilmente sarebbero seguiti Il Signore degli Anelli e la pubblicazione del Silmarillion. Ma Bilbo Baggins fu soltanto uno dei personaggi con cui Tolkien popolava la fantasia dei suoi figli, anche Tom Bombadil, Roverandom, Giles di Ham e tanti altri erano i protagonisti di divertenti racconti. Ma nessuno di questi personaggi aveva per i figli di Tolkien «l’intima consistenza della realtà», tanto ricercata da Tolkien nella sua opera, quanto Babbo Natale. Da quando nel dicembre 1920 il piccolo John Francis, di tre anni, aveva chiesto a suo padre che aspetto avesse e dove vivesse Babbo Natale, arrivarono a casa Tolkien numerose lettere dal Polo Nord scritte da Babbo Natale ed i suoi aiutanti, e l’usanza continuò fino al 1943 per la gioia della piccola Priscilla e di tutti gli appassionati di Tolkien che dal 1976, grazie alla curatela di Baillie Tolkien, possono ammirare i disegni natalizi e leggere lettere che trafiggono per la loro tenerezza.
Insomma, anche guardando ad una piccola finestra temporale come quella del giorno di Natale possiamo incontrare tanti volti della persona di Tolkien e conoscere meglio i suoi affetti.
Il Natale nella Terra di Mezzo
Lo spirito del Natale è qualcosa che si ripresenta con insistenza non solo nella vita di Tolkien, quella vita intima e privata che possiamo approfondire solo grazie alle opere biografiche di Carpenter, Hammond e Scull o in opere postume come le Lettere da Babbo Natale, ma possiamo osservare che a ognuno di noi Tolkien ha voluto suggerire qualcosa di questo spirito del Natale che lui viveva intensamente. Lo ritroviamo infatti in un Natale che però non appartiene al nostro computo degli anni, bensì a quello della Terra di Mezzo: il 25 dicembre del 3018 della Terza Era, «la Compagnia dell’Anello lascia Gran Burrone al crepuscolo». Così leggiamo nell’Appendice B de Il Signore degli Anelli, e nella Nomenclatura de Il Signore degli Anelli (testo che Tolkien scrisse ad uso dei traduttori stranieri della sua opera principe) il Professore specifica:
Il 25 dicembre (la partenza) e il 25 marzo (l’adempimento della missione) furono scelti intenzionalmente da me.
Il richiamo evidente è ai due momenti liturgici dell’Incarnazione, le solennità della Natività e Annunciazione, nascita e concepimento di Gesù, ed è il motivo per cui anche quest’anno troviamo molto felice la scelta di Mediaset di inserire nella programmazione natalizia la proiezione della trilogia filmica di Peter Jackson in edizione estesa.
«La Nascita di Cristo è l’eucatastrofe della storia dell’Uomo», afferma Tolkien nell’epilogo del suo celebre saggio Sulle Fiabe, in cui lo scrittore introduce appunto il concetto di eucatastrofe da lui ideato:
[L’eucatastrofe] è una grazia improvvisa e miracolosa: e non bisogna mai contare sul suo ripetersi. […] essa nega (a dispetto di un gran numero di prove, se si vuole) la sconfitta finale e universale, ed è in quanto tale un evangelium, che fornisce una visione fuggevole della Gioia, quella Gioia oltre le muraglie del mondo intensa come il dolore. […] Quando arriva l’improvviso ‘capovolgimento’, percepiamo un acuto barbaglio di gioia, e un desiderio del cuore, che per un attimo travalica i limiti del racconto, lacera la stessa trama della storia, e fa sprigionare da essa un bagliore improvviso.
Questo dunque era il Natale per Tolkien, la memoria della Nascita di Cristo, che con la sua venuta ha santificato le leggende, incluse tutte quelle scritte da Tolkien, inclusa quella della Compagnia dell’Anello che, come antifona “pagana”, preannuncia il Natale.