La storia di Frodo come antifona “pagana” dell’Incarnazione

Questo pezzo, nato come semplice articolo divulgativo di tesi ben note negli Studi Tolkieniani ed ospitato da Breviarium, ha preso una strada che non avevo programmato trascinandomi con sé e finendo per assomigliare a tratti ad un articolo accademico. Auspico che il lettore mi perdonerà per aver tentato alcune incursioni nel dibattito critico senza voler rinunciare ad un taglio mediano tra i due registri. Il pezzo è da intendersi come la prima di due parti di trattazione del rapporto tra l’opera di Tolkien e l’Incarnazione: la seconda sarà pubblicata sulle due sedi il 25 marzo.

Dicembre

25 La Compagnia dell’Anello lascia Gran Burrone al crepuscolo.

È solo leggendo il Calcolo degli Anni nelle Appendici a Il Ritorno del Re che il lettore di Il Signore degli Anelli si rende conto che il viaggio di Frodo con la Compagnia comincia nel giorno che nel suo calendario corrisponde al Natale. Nel proprio, è bene notarlo, perché la sovrapposizione tra il calendario gregoriano e i calendari della Terra-di-mezzo è tutt’altro che banale, essendo questi meticolosamente studiati in termini astronomici per rispecchiare le culture di chi li ha ideati e le relazioni derivative tra di esse (nella fattispecie Elfica, Numenoreana e Hobbit) e col mondo primario (il nostro).

La conclusione dell’anno hobbit ed umano alla metà dell’inverno è esplicitamente tradotto con il termine “Yule”, con tutto il patrimonio culturale germanico precristiano che porta con sé dal periodo degli jól, i 13 giorni del capodanno scandinavo che chiudono e riaprono il ciclo annuale sul modello cosmico. La data del 25 dicembre è stata scelta da Tolkien quando ancora i mesi non contenevano 30 giorni((vedi la discussione di Christopher Tolkien sui manoscritti in HME VI, The Treason of Isengard.)), perciò è facile vedere come la partenza della Compagnia nel «giorno freddo e grigio di fine dicembre» ((Il Signore degli Anelli, Libro II, cap.III, L’Anello va a Sud.)) fosse inizialmente pensata (anche) per avvenire a ridosso della conclusione dell’anno che andrebbe a corrispondere, nel nostro calendario gregoriano, al solstizio invernale((le conversioni proposte non sono sempre concordi, ma il valore evidentemente solstiziale del periodo di  Yule, 6 giorni nella finzione narrativa, è uno dei riferimenti imprescindibili.)). Eppure, con la revisione calendariale poi definitiva, la data anziché venire posposta rimase il 25 dicembre.

Anni dopo nella Nomenclature, guida alla traduzione dei nomi per le edizioni in lingue germaniche di Il Signore degli Anelli, Tolkien inserisce una corposa nota su Yule, specificando che la data della partenza non ha attinenza diretta con la ricorrenza e che

il 25 dicembre (la partenza) e il 25 marzo (l’adempimento della missione) furono scelti intenzionalmente da me.

L’evidente corrispondenza testuale con i due momenti liturgici dell’Incarnazione, le solennità della Natività e Annunciazione, nascita e concepimento di Gesù, s’impone perciò al di là di ogni dubbio al lettore moderno che posi il suo sguardo su questi stralci. Tuttavia la portata e il significato di quest’intenzione è tutt’altro che una banale dichiarazione di fede o di mera pratica dell’autore. Nella sua scelta si riconosce tutta la saggezza di una tradizione di cui si considerava erede e tra gli ultimi prosecutori in fede e cultura, uno (probabilmente indegno, avrebbe pensato) degli ultimi figli coscienti dell’antica Inghilterra dei grandi poemi elegiaci e che in Beda il Venerabile ha riconosciuto il proprio padre. L’erudizione del Professore di Anglosassone ad Oxford non era solo nella letteratura e lingua inglese medievale (che in gran parte è proprio sacra), ma anche nella vera e propria storia ecclesiastica della sua patria; essa è stata tale da portarlo a cominciare a scrivere un’opera storica dal titolo Church in Ancient England, un manoscritto totalmente inedito la cui esistenza Claudio Testi ha documentato pubblicamente per primo((E cui va accreditata la scoperta. Di questa scoperta Testi riferisce nel suo magnifico studio Santi Pagani nella Terra-di-mezzo di Tolkien (EDS 2014) presto tradotto e pubblicato in Inglese, dopo già essere stato sviluppo di un articolo sulla rivista Tolkien Studies (vedi più avanti nel testo). Il manoscritto è catalogato nel fascicolo A 14/2 della Tolkien Collection, conservata presso Bodleian Libraries dell’Oxford University, dove risiedono e possono essere consultati numerosi testi autografi di Tolkien, noti e non.)).

Proprio il Padre Beda offre la più chiara testimonianza di quanto nell’annalistica e nei computi del tempo, genere fortunatissimo della letteratura anglosassone di cui Tolkien si era innamorato da studente e di cui è stato per decenni la massima autorità vivente, la storia fosse ora scandita dalla vita di Cristo, che incarnandosi ne aveva significato passato ed avvenire. Così scrive nel De Temporum Ratione (725):

Invero molti dei maestri della Chiesa riportano […] che Nostro Signore fu concepito e patì all’8va calenda di Aprile [il 25 marzo], nell’equinozio di primavera, e che nacque nel solstizio d’inverno all’8va calenda di Gennaio [il 25 dicembre]((Beda, The Reckoning of Time (Il Computo del Tempo), traduzione in Inglese Moderno di Faith Wallis (Liverpool University Press, 2004).)).

Tolkien per tramite anglosassone inserisce così nella propria opera anche la tradizione patristica  – di cui Beda era grande conoscitore e studioso – della coincidenza tra Incarnazione e Crocefissione di Cristo((La prima testimonianza è di Tertulliano in Adversus Judaeos 8,18 con cui concordano Agostino (De Trinitate IV, 5 e De diversis quaestionibus, 56) e Sesto Giulio Africano (Chronographiai).
In questa tradizione si è intravisto, nonostante il testo fondativo di Tertulliano, una variazione di quella giudaica che voleva la morte dei patriarchi nello stesso giorno in cui erano stati nati. Secondo l’ipotesi del calcolo, risale a questo stesso principio la data del Natale fissata al 25 dicembre dalle comunità cristiane a partire dal 3° secolo, basata cioè sul primato teologico del 25 marzo e deducendo la nascita decembrina di conseguenza. Le scoperte dei Calendario di Qumran (parte delle scoperte del Mar Morto nel 1947) e specialmente il Libro dei Giubilei (dopo aver conosciuto ampia fortuna medievale ed essere scomparso, ritrovato in una collezione di manoscritti etiopici a metà ‘800) indicano invece che la cognizione del 25 dicembre come Nascita di Cristo è quanto di più primitivo possibile nella storia cristiana. La distribuzione dei turni sacerdotali al Tempio di Gerusalemme chiarisce che la classe di Zaccaria, padre del Battista, vi celebrava nell’ultima decade di settembre, dato che, unito alla narrazione lucana dell’Annunciazione, anticipa di 6 mesi il concepimento di Giovanni rispetto a quello di Gesù. È dunque un’evidenza archeologica unita al testo evangelico a farci concludere che il concepimento di Gesù attorno al 25 marzo e la conseguente nascita al 25 dicembre fossero giorni consolidati dai primi secoli per festeggiare l’Incarnazione. Un argomento storico, non teologico o simbolico (→ Per approfondire), una consapevolezza che poteva essere patrimonio comune dei Padri: secondo un frammento proveniente da Bobbio e attribuito a Girolamo che riporta la testimonianza di Vittorino vescovo a Poetavium (Ptuj, oggi Slovenia), Alessandro vescovo di Gerusalemme, presso la cui comunità questi testi erano conservati, gli avrebbe comunicato in via epistolare che la data del Natale era il 25 dicembre come un parere autoritativo in una disputa all’epoca accesa, nel 251, l’anno della sua stessa morte di Alessandro [J. Haussleiter 1916, Victorini episcopi Petavionensis].)), nonché l’ottavo giorno dalla Creazione – cioè il primo dopo la Settimana – nel computo di Byrhtferth((Byrhtferth’s Enchiridion, a cura di Peter S. Baker and Michael Lapidge (Oxford University Press, 1995).)), monaco e altro gigante della cronografia britannica 3 secoli successivo a Beda, in cui riprendendo la straordinaria letteratura sulla Genesi della tradizione Antico-Inglese fissa la creazione degli Angeli e, perciò millenni dopo in quello stesso giorno, la visita a Maria Vergine dell’Arcangelo Gabriele.

Negli anni la critica cristiana e cattolica dell’opera di Tolkien ha talvolta usato questa prova esplicita sulle radici dell’opera, di per sé ineludibile, per parlare di figure cristiche in Il Signore degli Anelli, tipicamente delineando una sorta di trittico funzionale dell’officio di Cristo al centro della Compagnia dell’Anello in cui Frodo sarebbe identificato in un profetico christus patiens, Gandalf in un sacerdotale christus resurgens (o a funzioni invertite) ed Aragorn in regale christus triumphans((Più spesso a partizioni di questa tesi, raramente con questa tripartizione per intero. Vedi ad esempio Kreeft 2005 e la prefazione di Joseph Pearce a Birzer 2002, in cui si giunge addirittura a considerare “perverso” valutare l’opera di Tolkien come qualsiasi cosa di diverso da un mito cristiano. Più interessante è la spiegazione che dà Andrea Monda in L’Anello e la Croce. Il significato teologico «Il Signore degli anelli» (o aggiornato in ebook come A Proposito degli Hobbit).)). Per quanto queste e molte altre figure nelle opere di Tolkien siano a buon titolo radunabili in una qualche cristologia condivisa, cioè in un discorso teologico fattibile intorno a Cristo, conchiuderle in rapporti simbolici così univoci ne deprime terribilmente la dimensione letteraria e, perché l’operazione riesca, bisogna escludere ampie parti della storia di cui fanno parte. Basta dire che i tre, così come tutte le altre figure che si possono provare a identificare come significanti diretti dell’agire e parlare umano e divino di Cristo, sono tutt’altro che esenti dal fallimento, anzi è solo a partire dal fallimento pieno e inappellabile che guadagnano il completamento della propria missione. Se Gandalf deve riconsegnare il proprio mandato sacrificandosi sul Ponte di Khazad-dûm, rinunciando per salvare i compagni a portare avanti il proprio compito di capitano della resistenza a Sauron (unico pari pronto a resistergli), Aragorn presso Amon Hen vede sciogliersi la Compagnia affidatagli dallo Stregone per effetto dell’incertezza della sua guida, proprio quando credeva di essere pronto a tornare a Minas Tirith, mentre Frodo, piegato dall’Anello, si rifiuta di scagliarlo nella Voragine del Fato. Il loro fallimento è determinato dall’errore (di entrare a Moria, di progettare la separazione della Compagnia) e alla salvezza che mediante i loro atti viene ottenuta, non sono loro a provvedere: piuttosto, viene loro provveduta o, se si preferisce, graziata. Né, soprattutto, quella salvezza è una salvezza permanente, eterna, come ricorda Gandalf senza troppo concedersi una prospettiva di vittoria.

Altri mali potranno sopraggiungere, perché Sauron stesso non è che un servo o un emissario. Ma non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo; il nostro compito è di fare il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo, al fine di lasciare a coloro che verranno dopo terra sana e pulita da coltivare. Ma il tempo che avranno non dipende da noi((Il Signore degli Anelli, Libro V, cap. IX, L’Ultima Discussione.)).

Se davvero quella data, il 25 dicembre, come partenza della Compagnia ci comunicasse un rapporto simbolico, seppur collettivo, chiaramente cristico, dovremmo concludere che un simbolo di questo tipo, non troppo dissimile da un’allegoria parziale (per Tolkien quasi un controsenso, da fine allegorista qual è stato in altre storie), non è riuscito secondo l’intento dell’autore. L’autore, pur considerando più estensivamente l’ambito dei simboli, in una conversazione poco conosciuta del marzo 1966 tra amici (i primi gruppi americani di appassionati cominciavano ad organizzarsi negli Stati Uniti ed ha pubblicare riviste amatoriali) arrivò al punto di dire, in rapporto ad una domanda sulla data e la possibile identificazione tra Frodo e Cristo:

Ci sono stati salvatori prima, è una cosa davvero comune. Ci sono stati eroi e patrioti che si sono sacrificati per i loro paesi. Non è necessario essere Cristiano per credere che qualcuno debba morire per salvare qualcosa. In realtà il 25 dicembre avvenne strettamente per una coincidenza e lo lasciai per mostrare che questo non era in nessun modo un mito cristiano((Henry Resnik, An Interview with Tolkien in Niekas 18.)).

Tra «scelta intenzionalmente» e «solo una coincidenza» sembra di trovarsi di fronte ad una delle non poche situazioni in cui Tolkien ha sostenuta una cosa e il suo esatto contratto circa la propria opera, con l’aggravante che questi interventi avvengono in un arco di tempo relativamente breve. Per chi ha familiarità con le dichiarazioni di Tolkien, in realtà non c’è nulla di cui spaventarsi, né da posizionarsi radicalmente col timore di contraddire l’autore in un verso o nell’altro. Sono le premesse ad essere fuorvianti. Frodo (o qualunque altro personaggio di Tolkien) non riceve il proprio significato estraendolo dalla storia di cui fa parte, ma all’interno di essa.

Non doveva essere semplice per Tolkien riuscire a farsi capire chiaramente quando scriveva al suo amico gesuita, padre Robert Murray, che necessità ci potesse essere di «taglia[re] praticamente qualsiasi allusione a cose tipo la “religione”, oppure culti e pratiche, nel mio mondo immaginario» proprio «perché l’elemento religioso è radicato nella storia e nel simbolismo». Premettendo che «il Signore degli Anelli è fondamentalmente un’opera religiosa e cattolica; all’inizio non ne ero consapevole, lo sono diventato durante la correzione»((Lettera #142 del 2 dicembre 1953, poco meno di anno prima della pubblicazione di La Compagnia dell’Anello, in in La Realtà in Trasparenza., di J.R.R. Tolkien a cura di Humphrey Carpenter, presto in nuova trad. e ed. it. curata da Lorenzo Gammarelli, Lettere 1914-1973. La risposta parte dalla constatazione di padre Murray sull’immagine di Galadriel come paragone alla Vergine.)). Sarebbe pretenzioso tentare di spiegare in un articolo di questo tipo cosa intendesse Tolkien con “fondamentalmente” in questa lettera, che costituisce uno dei maggiori argomenti di dibattito da sempre sull’opera. Oggi però, col Natale che si avvicina, possiamo addentrarci nel capire cosa significasse quel “intenzionalmente”, partendo proprio da Frodo e dalla storia di cui fa parte, con essa anche dalla storia cui l’autore stesso appartiene.

Per chiederci “Ma, allora che ha a che fare con la nascita di Cristo?”.

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