La strenua difesa dell’uomo contro gli orrori del mondo moderno
All’interno de Il Signore degli Anelli è l’arco narrativo che gravita attorno alle vicende di Saruman, di Isengard e de Le due Torri che, per contenuti e tematiche, può essere maggiormente letto in una chiave anti-totalitaria: una denuncia agli autoritarismi di ieri e di oggi, in una prospettiva che rende Tolkien uno scrittore dalla forte e costante attualità.
Il Professore vive gli anni dell’ascesa dei dittatori del Secondo Conflitto Mondiale e della Guerra Fredda. Ciò lo portò a schierarsi apertamente, in più di un’occasione, contro le politiche autoritarie e belliche del suo tempo, ad esempio denunciando fortemente il nazismo:
Comunque in questa guerra io ho un bruciante risentimento privato, che mi renderebbe a 49 anni un soldato migliore di quanto non fossi a 22, contro quel dannato piccolo ignorante di Adolf Hitler … Sta rovinando, pervertendo, distruggendo, e rendendo per sempre maledetto quel nobile spirito nordico, supremo contributo all’Europa, che io ho sempre amato, e cercato di presentare in una giusta luce.
(J.R.R. TOLKIEN, Lettera n. 45 del 1941, La Realtà in trasparenza, Bompiani, Milano, 2001, pag. 65.)
Il Signore degli Anelli stesso fu scritto nel periodo caratterizzato dall’ascesa dei totalitarismi, e diviene così un manifesto contro gli orrori della guerra, dell’industrializzazione pesante e delle macchinazioni belliche e umane, e nel contempo un testo percorso da un profondo sentimento di ritorno alla natura con la quali l’uomo può e deve ristabilire un equilibrio, un rapporto armonioso, pena la sua caduta e inevitabile corruzione.
Il secondo capitolo dell’opera tolkeniana, pubblicato nel 1954, si apre con la terribile marcia degli Uruk-hai verso l’oscura e impenetrabile Isengard, da dove il suo insidioso sovrano, lo stregone corrotto Saruman, guiderà la feroce spedizione contro i valorosi cavalieri Rohirrim al Fosso di Helm; lo stesso stregone che dà il via al selvaggio sfruttamento della foresta di Fangorn, vero e proprio attacco al cuore verde della Terra di Mezzo, per fini subdoli e personalistici.
Isengard e Saruman rappresentano la minaccia, reale più che mai, che Tolkien teme di più: la scomparsa di un’Era e di un mondo, luminosi seppur in declino, di incorrotti valori e preziose testimonianze del passato, il tramonto perenne della virtusmilitare e dell’onore, della pace e della libertà dei popoli della Terra di Mezzo, un Medioevo romantico “bombardato” da un Male che assume le fattezze dell’esercito brutale degli Uruk-hai, le abominevoli truppe di Saruman, creati solo con l’intento di distruggere gli avversari per dominare la Terra di Mezzo. I Popoli Liberi infatti rappresentano un vero ostacolo all’oscuro mondo del freddo ingegno, della macchina, della razionalità e tetra praticità di Isengard; un disegno da realizzarsi sfruttando ogni mezzo che lo Stregone di Orthanc ha a sua disposizione: la corruzione di re Theoden tramite l’asservito Vermilinguo, la tecnologia militare, gli strumenti dell’inganno e dello spionaggio, della “Macchina” che distrugge foreste per alimentare le fucine dell’industria bellica, l’uso di stregonerie e sortilegi. Per questo Saruman è in tutto e per tutto un contraltare di Gandalf, il Grigio Pellegrino, un eroe puro, restio a far uso del suo “potere” se non in casi di estremo bisogno, non interessato al dominio ma al bene e alla libertà delle genti della Terra di Mezzo, e unico, fra gli Istari, a mettere sé stesso, le sue capacità, fino in fondo, al servizio della missione per il quale viene inviato contro Sauron, senza soccombere alle tentazioni della materia.2
Costruita dai Númenóreani in epoche remote, la torre di Orthanc è il centro indistruttibile di Isengard, difesa da un cerchio di pietre grigie, ai piedi dei Monti Nebbiosi, una città-fortezza sede di potere, antichi segreti e saperi arcani (come il palantír, una delle antiche pietre veggenti, che possono essere usate nel pieno della loro capacità e senza rischi, soltanto dai legittimi sovrani di Arnor e Gondor).
Qui Saruman vi si stabilisce nell’anno 2759 della Terza Era e, nel tempo, seppur inizialmente mosso da sinceri sentimenti di contrasto al Male, comincia a covare disegni di conquista su tutta la Terra di Mezzo, progettando di impossessarsi dell’Unico Anello per poter sconfiggere Sauron e sottomettere tutte le genti al suo controllo. La sua natura doppiogiochista e malvagia è ben resa dalla descrizione delle sue vesti nel Capitolo II de Il Signore degli Anelli, non bianche, come dovrebbero essere quelle del Capo degli Istari, l’Ordine degli Stregoni supremi inviati da Valinor (bianco segno di candore, nobiltà, purezza, rispetto dell’alta missione), ma dalle«varie tinte», «multicolore»:
Era un vecchio avviluppato in un manto dal colore difficilmente discernibile, poiché mutava ogni volta che si spostavano gli occhi o ch’egli si muoveva. Aveva un viso lungo, dalla fronte alta, ove due occhi profondi, ch’era impossibile scandagliare, parevano ora gravi e benevoli, e un po’ stanchi. Capelli e barba erano bianchi, ma intorno alle labbra ed alle orecchie si scorgeva ancora qualche ciocca nera.
Il cambio di colore della veste di Saruman sta ad indicare la sua progressiva corruzione, il suo voler volgere le proprie capacità al servizio di intenti personalistici e malvagi, dell’ingegno e della tecnica, mentre un altro tratto identificativo del personaggio è quello della dialettica linguistica e della potenza della sua voce, ammaliante, melliflua e stregata, in grado di ingannare anche le menti più lucide che vi prestano ascolto e di piegare la loro volontà – ma che è anche un riferimento alla potenza creativa del linguaggio, fondamentale nella poetica, mitopoiesi (la capacità di creare miti) di Tolkien.
Con i suoi poteri Saruman imprime la sua influenza su vasti territori della Terra di Mezzo, dalla Breccia di Rohan a Dunland. Con questi mortiferi strumenti sfrutta e attizza gli istinti “bassi” e violenti dei selvaggi Dunlandiani, promettendogli le ricche terre di Edoras in cambio del loro servizio militare, utilizza i propri saperi arcani e le conoscenze apprese (la lingua degli uccelli da Radagast e la conoscenza di Fangorn da Barbalbero) per creare una rete di spionaggio molto efficiente tramite i Crebain (sorta di corvi giganti), che insieme alla sua conoscenza del mondo e al palantír, ne fanno una sorta di Grande Fratello orwelliano, in grado di giungere ovunque e di imprimervi il suo controllo, se non ostacolato da un potere pari o superiore come quello di Gandalf.
Saruman dunque è figura di un dittatore, la cui politica assume i tratti comuni delle ideologie totalitarie del Novecento: le strategie di controllo delle masse, la propaganda violenta e interventista, la politica di guerra, la concentrazione del potere, la creazione di un comune nemico pubblico.
Come i totalitarismi del secolo scorso anche il nuovo imperium di Saruman è caratterizzata da un largo uso del simbolo: la mano bianca dello Stregone, che adorna gli elmi e gli scudi degli Uruk-hai, ricopre le stesse funzioni identitarie e propagandistiche di una simbologia nazionalista.
E sono proprio l’ambizione sconfinata, la brama di dominare il creato, a spingere Saruman nella caduta definitiva: con l’orrida creazione degli Uruk-hai, che costituiscono il nerbo del suo esercito, egli perde definitivamente il suo status gerarchico all’interno del Bianco Consiglio, stravolgendo qualsiasi principio etico e morale.
I suoi orchi sono infatti un abominio, prodotto di un incrocio fra razze diverse (probabilmente Orchi e Uomini) e magia, più forti, veloci e resistenti dei già fortificati Uruk Neri di Sauron e dei comuni Orchi, in grado di marciare e combattere anche sotto la luce del Sole.
Come afferma Uglúk, comandante della spedizione di Uruk-hai incaricata di portare a Iserngard Merry e Pipino:
«Siamo noi gli Uruk-hai lottatori! Siamo stati noi ad uccidere il grande guerriero, noi a prendere i prigionieri. Noi siamo i servitori di Saruman il Saggio, la Bianca Mano: la Mano che ci dà carne umana da mangiare. Siamo venuti da Isengard e vi abbiamo guidati sin qui, e saremo noi a scegliere la via del ritorno che più ci piace. Io sono Uglúk. Ho parlato.»
La Battaglia del Fosso di Helm, la fortezza nella quale si rifugiano gli abitanti e i cavalieri di Rohan insieme al loro sovrano, diviene dunque metafora della guerra moderna, meccanizzata, fatta di eserciti immensi, equipaggiati con armi mortali, costituiti con il solo fine di distruggere e conquistare, qualsiasi sia il costo in vite umane da sacrificare, rappresentata da Isengard, e della decadenza conseguente della cavalleria, della gloria e dell’onore in battaglia, dei valori cavallereschi incarnati da Theoden e dai suoi Rohirrim, valori di un epico passato, che ha le forme di un Medioevo fantastico e idealizzato, che apparentemente nulla possono contro le mortali tecnologie militari.
Una guerra impari, dei patrioti contro gli schiavi, dei pochi contro molti, del valore contro il progresso armato, dell’ordine naturale contro l’ordine artificiale, che rimanda all’inevitabile mutamento storico della guerra armata a partire dal XV secolo, con l’invenzione e la messa in atto delle prime armi da fuoco, che rendevano i guerrieri dell’antichità dei soldati da sacrificare al patibolo.
Così si esprime Theoden, durante l’assedio al Trombatorrione:
«Si narra che mai il Trombatorrione ha ceduto a un assalto», disse Théoden; «ma ora nel mio cuore cova un dubbio. Il mondo cambia, e tutto ciò che un tempo era forte ora si rivela insicuro. Come potrà mai una torre resistere a una tale valanga e a un odio così implacabile?»
Massacro, violenza, odio e, soprattutto, la paura, minano il valore, il coraggio, la lealtà militare: è la fine del Medioevo cavalleresco ed eroico.
Se fino all’Ottocento, nonostante l’utilizzo sempre più massiccio di armi da fuoco, la cavalleria occidentale riveste una certa importanza, la prima Guerra Mondiale segna il tramonto definitivo della cavalleria, intesa sia come insieme di valori che come comparto militare. Le trincee, il filo spinato, l’uso di potenti mitragliatrici, l’avvento del carro armato e dell’aeroplano, renderanno vane, eccetto pochi e rari casi, le cariche della cavalleria, corpo armato che, ancora nei primi decenni del Novecento, godeva di prestigio e fama in tutta Europa (come non citare, in questo contesto, i massacri subiti dalla cavalleria inglese, imbevuta di codici cavallereschi e di ideali romantici, figli del medievalismo vittoriano, i cui reparti andarono in contro alla rovina armati di lancia, spada, elmetto, nelle battaglie di Compèigne e di Ypres, nel 1914).
I Rohirrim, allo stesso modo, rappresentano la cavalleria nel suo duplice ruolo di forza armata e custode di antichi valori, nobili ideali, lealtà al sovrano e alla patria, onore, da rinnovare anche in campo di battaglia; pure, Theoden e Rohan escono vincitori dalla battaglia, grazie alla coraggiosa carica di Theoden e all’arrivo provvidenziale di Gandalf: la speranza non abbandona mai gli Uomini della Terra di Mezzo, e la vittoria è dovuta allo spirito dei grandi che non è ancora andato perduto, ma i gloriosi giorni della cavalleria, dell’epica, del corno di Helm Mandimartello, sono destinati al declino e, infine, a scomparire.
Il Medioevo cavalleresco e cortese è destinato a lasciare il passo alla modernità e alla macchina, a subire i colpi delle armi chimiche e della bomba atomica.
Il contrattacco della Natura
Se da un lato vi è la guerra contro l’uomo dall’altro vi è la guerra contro la natura: con la distruzione progressiva di Fangorn Saruman tende a cancellare la Vita stessa, con le sue forme e colori, con il suo enorme patrimonio di sapere e ricchezza interiore: la foresta di Fangorn è infatti viva e gli Ent sono una sua emanazione, una difesa contro i mali dell’uomo e del tempo: non solo i “pastori degli alberi” e Barbalbero, ma ogni cosa all’interno della foresta pulsa vitalità, al suo stato più puro, elementare e, quindi, “potente”.
La foresta prova rabbia per quello che gli è stato fatto dagli orchi, una rabbia che Legolas, Aragorn e Gimli, percepiscono quando giungono al suo interno, e l’acqua dell’Entalluvio, il fiume che vi scorre all’interno, ha proprietà curative, ristorative e “magiche”: bevendola Merry e Pipino “crescono” di diversi centimetri, diventando gli hobbit più alti della storia conosciuta della Contea. Un attacco, quello di Saruman, che mina le fondamenta della terra e che, per la sua spregiudicatezza, è causa della rivolta della Natura stessa, impersonata da Barbalbero e dagli Ent che si lanciano all’assalto di Isengard.
Anche gli Ucorni, inoltre, sono come animati da una volontà propria, posseggono una voce distintiva e possono avanzare lentamente, soprattutto su comando degli Ent. Tuttavia come il Vecchio Uomo Salice, spesso sono dominati da sentimenti di odio e rancore nei confronti di tutto ciò che si muove liberamente.
Le parole del Vecchio Pastore di Alberi, durante la marcia verso Isengard, suonano come un grave ammonimento lanciato ad un’umanità crudele e insensata, che, tanto in guerra quanto in pace, distrugge alberi e vegetazione spesso senza scopo, solo per il gusto di farlo o procacciarsi spazio, o ancora per logiche insensate:
«È tutto quell’abbattere e distruggere inutilmente ràrum degli Orchi, senza nemmeno il losco pretesto di alimentare i fuochi, che ci manda su tutte le furie; e il tradimento di un vicino che ci avrebbe dovuto aiutare. Gli Stregoni dovrebbero sapersi comportare meglio: sanno comportarsi meglio. Non vi è maledizione in Elfico, in Entese, nelle lingue degli Uomini, abbastanza terribile per un simile traditore. A morte Saruman!».
L’industrializzazione forzata, il disboscamento prepotente atto ad alimentare le fornaci della fortezza, lo sfruttamento degli orchi operai, divengono la rappresentazione (e insieme la critica) dei grandi sistemi economico-sociali della Seconda Guerra Mondiale e post-conflitto, dell’industria da guerra della Germania nazista, del Comunismo di Guerra e della Russia dei Piani Quinquennali, ma anche del Capitalismo e degli USA del New Deal.
Note
2 Fondamentali, all’interno del Signore degli Anelli, il ruolo e la funzione di Gandalf, sorta di Deus ex Machina che muove gli eventi agendo spesso con modalità poco convenzionali, da dietro le quinte, ad esempio spronando o sostenendo i protagonisti Bilbo e Frodo nella loro avventura/cerca/missione, o arrivando nel momento del bisogno più disperato, una battaglia o un aiuto insperato (non a caso la sua vera capacità – e non potere, termine che in Tolkien ha un’accezione negativa – è quella di animare e infondere speranza nei cuori delle genti libere che sostiene).
Il testo qui presentato è una versione aggiornata e pubblicata con il permesso dell’autore dei testi originalmente pubblicati sul blog Gli Annali della Terra di Mezzo.
Nicolò Maggio (05/12/1992). Medievista e dottorando di ricerca in "Scienze Umanistiche", è appassionato studioso dell'opera di Tolkien sin dall'adolescenza. Laureato in Scienze Storiche nel 2018 con voto 110/110 e lode presso l'università degli Studi di Messina, si occupa, in particolare, del rapporto e delle connessioni fra l'universum letterario tolkieniano e il Medioevo, tema al quale ha dedicato diversi articoli pubblicati su Tolkien Italia e sul suo blog "Gli Annali della Terra di Mezzo" (link: https://annalidellaterradimezzo.blogspot.com/?m=1.
Esperto di medievalismi (suo oggetto di studio cui ha dedicato diversi articoli scientifici), Maggio è appassionato a tutto tondo di letteratura fantastica, fantasy e fantascientifica; è stato relatore del Seminario sulle Religioni Fantastiche di Ariccia (7-9 luglio 2022), con un intervento dal titolo: "Howard Phillips Lovecraft: creatore di miti nel secolo dell’Irrazionalismo".
Collabora, inoltre, con la web Radio "La Voce di Arda" e scrive per la rivista scientifica "Axis Mundi", all'interno della quale ha pubblicato di recente alcuni articoli sull'opera di autori del fantasy e del fantastico, da Tolkien a Lovecraft, da Lord Dunsany a Wells, che sta cercando di porre in una chiave di lettura originale, simbolica e misterica, attraverso parallelismi e comparazioni letterarie.
Sono di prossima pubblicazione: "H.P. Lovecraft e J.R.R. Tolkien. Creatori di miti nel secolo dell'Irrazionalismo" (2023) per la rivista "Studi Lovecraftiani", "H.P. Lovecraft. Creatore di miti nel secolo dell'Irrazionalismo", per gli Atti del Seminario sulle Religioni Fantastiche di Ariccia (2023), il saggio "Terre immaginarie al di là del mare. Medioevo e medievalismi letterari nella Storia della Pianura Scintillante di William Morris e nell’opera di J.R.R. Tolkien" per la traduzione, inedita in Italia, di "The Sparkling Plain" di William Morris, a cura di Luca Manini (2023).