I temi del Sir Gawain
Il Sir Gawain si può considerare come un poema ‘sui generis’. Esso è un frutto dell’allitterative revival che proprio in quel momento prendeva piede nelle contee dell’Inghilterra nordoccidentale, ed è una storia a metà tra il romanzo cavalleresco e la fiaba, che affonda le proprie radici nel passato pagano della Britannia (tanto è vero che il suo protagonista, sir Gawain, è già menzionato nel Mabinogion gallese sotto il nome di Gwalchmei, “falco di maggio”, nipote di re Artù), e soprattutto, dell’Irlanda – isola in cui è stato girato il film.
La grande fortuna di questo poema si deve anche alla iconicità di uno dei suoi protagonisti. L’immagine del Cavaliere Verde, con i suoi attributi fantastici e al tempo stesso minacciosi, oscuri, sinistri, è un simbolo archetipo comune a diverse tradizioni, miti e culture pagane europee, dalle radici antichissime (anche se non è possibile definire quanto antiche), che è in grado di suscitare stupore e meraviglia poiché nasconde significati ancestrali e di toccare tratti profondi e corde nascoste dell’animo come della psiche umana.
La figura del Green Knight ha un origine composita che reca con sé significati tanto negativi quanto positivi: egli appare come un personaggio misterioso, sinistro, in qualche modo negativo; brandisce una grande ascia, convenzionalmente uno strumento che simboleggia la morte, mentre il colore verde, secondo la tradizione celtica, era associata alle divinità negative, malvagie o comunque alla morte.
E la stessa natura del Cavaliere, indistruttibile e impossibile da scalfire, rimanda alla morte stessa, contro cui è vano qualsiasi tipo di confronto; nonostante sia un simbolo precristiano, queste sue caratteristiche rendono l’avversario di Gawain quasi un corrispettivo dei cavalieri dell’Apocalisse, che compaiono allo schiudersi del quarto sigillo biblico, in particolare al cavaliere Morte che cavalca appunto un cavallo “verde” o “verdastro”.1
Non è difficile associare questo suo essere straniante, diverso, altro, e la minaccia che rappresenta ad un altro esempio simile della letteratura e del cinema di fantascienza, ovvero l’alieno o il “mostro venuto dallo spazio”, anch’esso spesso verde e dotato di tratti che lo rendono ostile ma anche incompreso, fuori dai canoni della razionalità umana: secondo alcuni critici, il Cavaliere Verde rappresenterebbe le proiezioni dei terrori e delle paure più profonde dell’animo umano.
La più antica rappresentazione del Green Man risale al IV secolo a.C., mentre compare successivamente in numerose architetture gotiche d’area nord – Europea, per essere poi ripreso come motivo ornamentale dal neogotico ottocentesco. Questa figura, a cui il Cavaliere Verde si ispira, nella simbologia pagana e celtica esemplifica la rinascita perpetua della natura, la sua potente forza rigeneratrice, ma anche l’unione, l’equilibrio, fra uomo e il mondo vegetale; una funzione simile a quella svolta da altre figure mitologiche provenienti da tutto il globo: Osiride, Nettuno, il titano Oceano, Teti, Artemide e Dionisio, Pan, le ninfe driadi, la Grande Madre, ma anche divinità appartenenti alla mitologia babilonese e alle credenze, tradizioni, miti orientali, tutti esempi della divinizzazione della natura operata dall’uomo nel corso del tempo, entità pagane simbolo della realtà vegetale e della fertilità.2
Nella mitologia celtica il Green Man assume significati particolari in quanto sintesi di due simbologie ricorrenti nelle credenze rituali e nell’iconografia, ovvero la testa dell’uomo, simbolo di forza e vigore, e il vischio, pianta che veniva raccolta dai druidi con un falcetto d’oro e posizionato in dei panni bianchi (una tradizione tramandata anche da Plinio il Vecchio), che veniva usato a scopo medicinale e cui i celti attribuivano una forza vitale guaritrice.
Potremmo quindi concludere affermando che il Green Knight rappresenta, come per la natura, la nascita, vita, morte “metaforica”, e rinascita – rigenerazione dello stesso eroe-protagonista attraverso le prove che dovrà affrontare, un ciclo di morte e rinascita del quale è specchio anche la decapitazione, quella avvenuta del Green Knight e quella che dovrà spettare a Galvano, e che cela, in realtà, il timore secolare per la mutilazione, in particolare per la castrazione, quindi il rischio della perdita di virilità.3
Proprio la decapitazione è al centro del poema, come spiega nuovamente Piero Boitani, «la storia è costituita da due nuclei centrali tematicamente non rari nelle leggende e nei romanzi medioevali, il ‘Beheading Game’ (Gioco di decapitazione) e la “tentazione”».4 Entrambi i temi trovano corrispondenti nei racconti del Medioevo celtico.
La prima unità tematica, il ‘Beheading Game’, è retaggio della decapitazione rituale dei nemici: i Galli consideravano la testa come la sede dell’anima, per questo si può parlare di un vero e proprio “culto della testa” presso le popolazioni celtiche.
Scrive lo storico Diodoro Siculo in Biblioteca Storica V, 29:
«[I Galli] Tagliano le teste dei nemici uccisi e le appendono al collo dei cavalli; consegnano ai servi le armi insanguinate e le portano via come bottino, innalzando una peana e cantando un inno di vittoria; appendono con chiodi in casa queste primizie della battaglia, come coloro che abbiano ucciso delle belve a caccia. Imbalsamano con olio di cedro le teste dei più famosi nemici e le custodiscono con cura in urne; le mostrano agli stranieri, vantandosi perché qualcuno degli antenati o il padre o lui stesso non volle accettare il molto danaro offerto per la testa»
Diodoro Siculo, Biblioteca Storica. Libri I-V, Sellerio, Palermo 1986, p. 264.
Nell’arte celtica, sono molto frequenti le rappresentazioni di teste tagliate: a Puig Castellar (Spagna) sono stati ritrovati crani trafitti da chiodi; presso il santuario di Roquepertuse (Aix-en Provence) sono state scavate nicchie che ospitavano crani; sul pilastro di Entremont (Aix-en Provence) si trovavano sia spazi adibiti all’esposizione dei teschi nemici che teste scolpite nella pietra.
Dalla storiografia e dall’arte, si arriva alla letteratura: dalla mitologia celtica del Mabinogion gallese al celebre Chrétien de Troyes, passando per per le leggende irlandesi, non mancano esempi di drammatiche decapitazioni che costituiscono punti di svolta della trama.
Fatte queste premesse, il taglio della testa nel Sir Gawain assume un peso di primo piano nel panorama delle tradizioni celtiche, come quella del “culto della testa”, cui venivano attribuiti particolari significati culturali.
Questa bizzarra usanza, riportata in chiave mitico-leggendaria nel Sir Gawain, non è un caso isolato. Le storie più simili al romance per analogia e contenuto sono:
- Il Festino di Bricriu (Fled Bricrenn o Bricrend, in irlandese). «Il Festino di Bricriu è forse la più lunga e la più complessa tra le storie del ciclo dell’Ulster dopo il Tain, e data da circa l’VIII secolo. Motivo centrale ne è la lotta per la “porzione dell’eroe” tra tre campioni Ulaid: Cu Chulainn, Conall il Trionfatore e Loegaire il Vittorioso. La porzione dell’eroe è il miglior taglio di carne che viene servito nei banchetti ed è il premio per l’eroe che abbia mostrato più coraggio e abilità in battaglia. […] In questa storia è presente anche il motivo dell’ “ardua prova del campione”, in cui l’eroe è invitato a mozzare la testa di un gigante a condizione che, il giorno seguente, ponga la propria testa sul ceppo perché il gigante stesso, magicamente resuscitato, la mozzi a lui».5 Qui infatti, il «villano grande e orrendo»6 è in realtà Cu Roi figlio di Daire sotto mentite spoglie, così come il Cavaliere Verde dice di essere ai vv. 2445-2446: «Bertilak de Hautdesert I hat in þis londe. / Þurȝ myȝt of Morgne la Faye, þat in my hous lenges» (“Bertilak de Hautdesert in questa terra ho nome. / Per i poteri della fata Morgana, che nella mia casa dimora”). Il villano assegna a Cu Chulainn la “porzione dell’eroe”, poiché, sottoponendosi al colpo del gigante, dimostra di essere il più meritevole tra tutti i guerrieri dell’Ulaid (Ulster) e dell’Eriu (Irlanda). Il tema del coraggio e soprattutto della lealtà sono alla base di queste due storie analoghe: in una la lewté è volta all’elevamento morale del cavaliere di fronte alla tentazione; nell’altra è volta al raggiungimento della “porzione dell’eroe”, status symbol della sua condizione di migliore guerriero di Ulaid ed Eriu.
- la storia di Caradoc Brechbras nella “Prima Continuazione” (Première Continuation Perceval, vv. 2240-2478) del già citato Perceval di Chrétien de Troyes.
Secondo la versione del Livre de Carados, Caradoc è chiamato «niès»7 “nipote” (v. 2296) da Artù – stesso grado di parentela che intercorre tra il re e sir Gawain nel poema medio inglese. La corte di re Artù sta banchettando «A Carduel a Pentecoste»8 (v. 2195), così come, nel Sir Gawain (v. 37), «Þis kyng lay at Camylot vpon Krystmasse» (“Era questo re [Artù] a Camelot per il Natale”). Il figlio di Caradoc re di Vannes, che porta lo stesso nome del padre, accetta di tagliare la testa a un «[…] cavaliere / Assai grande, sopra un bianco destriero»9 (vv. 2243-2244), per poi farsi a sua volta tagliare la testa l’anno dopo, ma il cavaliere, testato l’onore del giovane, non gli restituisce il colpo ma anzi gli rivela di essere il mago Eliavrés, suo vero padre.
La seconda unità tematica del Sir Gawain si ritrova nella prima parte della storia di Pwyll, principe di Dyvet, contenuta nel Mabinogion gallese. In questa storia, Pwyll incontra Arawn, re di Annwn, l’Oltretomba gallese. Arawn propone, in riparazione di un torto subito, di scambiare le proprie sembianze con quelle di Pwyll e di sconfiggere per suo conto Hafgan, un re di Annwn nemico di Arawn. «Scambiate le proprie sembianze con Arawn, Pwyll ne occupa il posto nella corte ultramondana per un intero anno, durante il quale mostra la propria lealtà e la propria prudenza (Pwyll significa appunto “prudenza”, “giudizio”) vivendo in castità accanto alla moglie mortale del re ultraterreno».10 Ella disse infatti ad Arawn suo marito: «Posso testimoniare davanti a Dio […] che ti sei imbattuto in un amico fidato, nel combattimento come nelle prove del corpo, e nella fedeltà ch’egli t’ha mostrata».11 Pwyll dimostra la propria cortesia nelle prove che la seduzione gli mette di fronte, resistendo alla tentazione; così come Gawain dà prova della propria lewté non giacendo con lo moglie del Cavaliere Verde, alias sir Bertilak. Anche la scadenza temporale è la stessa in entrambi i testi, ma occorre dire che nel poema sir Gawain non è a conoscenza del fatto che la castellana è la moglie del Cavaliere Verde; mentre Pwyll sa che la regina è la sposa di Arawn.
Note:
1 Ivi, p. 78.
2 O. Mirror, La vera natura dell’Uomo Verde.
3 M. Eliade, Mito e realtà, Borla, Torino, 1966.
4 P. Boitani (a cura di), Sir Gawain e il Cavaliere Verde, cit., p. 17
5 G. Agrati – M. L. Magini (a cura di), La saga irlandese di Cu Chulainn, Mondadori, Milano 1982, p. XXIII
6 Ivi, p. 100
7 M. Lecco, Caradoc e il serpente. Il Livre de Carados nella Première Continuation Perceval, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2010, p. 80
8 Ivi, p. 78
9 Ivi, p. 79
10 G. Agrati – M. L. Magini (a cura di), I racconti gallesi del Mabinogion, cit., p. 5
11 Ivi, p. 12