Che cosa sono i tre Grandi Racconti?
Come dicevo prima di passaggio, i Grandi Racconti, tre in tutto, sono i racconti principali della Prima Era, svoltisi circa settemila anni prima della storia del Signore degli Anelli. In origine dovevano essere di più, ma poi si sono ridotti a tre. Sono, quindi, la prima ed unica vera trilogia che Tolkien abbia mai scritto. Infatti, Il Signore degli Anelli non è una trilogia, ma un unico romanzo diviso in più parti e pubblicato in tre volumi per esigenze editoriali della George Allen & Unwin: dopo la Seconda Guerra Mondiale la carta costava molto, ed il libro non prometteva il successo, tant’è che a Tolkien i diritti d’autore vennero pagati con una percentuale sulle vendite (cosa che alla fine gli fruttò di più che non la riscossione dei diritti iniziali come per i contratti standard fatti per autori e libri “sicuri”). Invece, i tre Grandi Racconti sono intenzionalmente una trilogia: tre racconti diversi e conseguenti l’uno all’altro, con la stessa regione di svolgimento, il Beleriand, luoghi specifici in cui le storie dei personaggi tendono a sovrapporsi (come il Doriath dove andranno sia Beren che Túrin dopo di lui) o addirittura a provocare incroci tra sconosciuti ma di cui noi sappiamo tutto (come Tuor e Voronwë che durante il loro viaggio verso Gondolin vedono, senza essere visti, Túrin di ritorno dalla sua spedizione punitiva contro Brodda).
Andando più a fondo, tuttavia, la vera particolarità dei tre Grandi Racconti è che la loro originaria cornice narrativa non è la Terra di Mezzo, ma la Prima Guerra Mondiale. Infatti, sono i primissimi racconti che Tolkien scrive a proposito degli Elfi, la prima stesura risale a quando stava in ospedale per la febbre da trincea che lo salvò dal massacro della Somme, e la bella copia del testo è della mano di Edith Bratt, sua moglie. Quando Tolkien li scrisse, quindi, la Terra di Mezzo non esisteva: non solo gli hobbit avrebbero dovuto aspettare circa venti anni per essere scoperti dal filologo oxoniense, ma le stesse altre storie che la caratterizzano non erano ancora nate. Feänor ad esempio, l’artigiano che dette forma ai gioielli oggetti dei racconti della Prima Era, i Silmaril, nasce in realtà dopo i suoi stessi prodotti: i Silmaril nascono come gioielli bellissimi di cui Melko (il primissimo nome del Melkor/Morgoth delle ultime versioni) è in possesso, e che Beren deve recuperare per conquistare la dama Tinúviel del Doriath.
Questa chiave interpretativa dei tre Grandi Racconti, quella storica, permette di mettere in luce elementi molto molto significativi, e che altrimenti non apparirebbero e sembrerebbero trascurabili.
Per Beren e Lúthien l’esempio tipico è come il racconto nasca da un’esperienza personale diretta di Tolkien. Lui, reduce di guerra come Beren, con gli amici e commilitoni e il padre morti, ancora come Beren (anche se il padre di Tolkien era morto quando lui aveva tre anni per una malattia in Sud Africa), va in un bosco con sua moglie, e lei inizia a danzare: la descrizione del bosco del Doriath dove Lúthien danza corrisponde perfettamente a com’era quel bosco dove Edith danzò per il giovane sposo innamorato John Ronald.
Nei Figli di Húrin invece a diventare più comprensibile è il comportamento orgoglioso di Túrin: i soldati della Grande Guerra, quelli inglesi, andavano in guerra con in mente le grandi ballate degli eroi del passato, e la volontà di emularli. L’essersi poi ritrovati nelle trincee, in una guerra, la prima, tecnologica, e quindi totalmente impersonale ed anti-eroica, ha generato il movimento poetico degli War-poets e poi il modernismo letterario di Joyce o Eliot o Virginia Woolf. Tolkien era assolutamente avverso al modernismo e alla sua denigrazione dell’eroismo, e così, attraverso il racconto della storia dell’orgoglioso eroe Túrin, Tolkien diventa uno War-poet atipico, come era atipica la poetica e il pensiero del circolo giovanile del TCBS e come sarà poi anche lo sguardo sul mondo degli Inklings. Túrin infatti è assai noto per i suoi errori, la sua cocciutaggine, ma anche la sua incapacità di arrendersi di fronte alla realtà, in cui Melko, o Morgoth, è a un passo dalla vittoria. Infatti, mentre tutti gli Elfi si danno per vinti, e così anche gli Uomini, Túrin è l’unico che non vuole arrendersi: provoca morte tra gli amici, è vero, e la sua ira, il suo dolore, provocato dal distacco dalla madre e dalla sorella e dall’assenza del padre, e la sua impetuosità, conducono alla distruzione i luoghi ove si reca. Eppure, il suo eroismo non si placa e lotta contro il destino malvagio affibbiatogli dalla sorte, segno che, per quanto ci siano dei lati oscuri negli antichi valori, essi hanno ancora un significato di natura antropologica, perché ci parlano dell’inesauribile speranza del genere umano. L’errore di Túrin fu nel non essere sufficientemente saggio da capire qual era la mèta verso cui rivolgere lo sguardo: non la morte in battaglia, ma l’Ovest.
Sarà poi il cugino di Túrin, Tuor, a capire e recepire il messaggio, che solo dall’Ovest viene la salvezza: siamo già nella Caduta di Gondolin. Questa è una città, o meglio, una civiltà messa sotto assedio da forze esterne, forze malvagie e distruttive. È interessante notare come proprio la Caduta, che parla della guerra in modo principale e radicale, sia il primissimo dei tre Grandi Racconti ad essere scritto. È presente anche una prova testuale in merito, quando si dice che il matrimonio di Tuor ed Idril è il primo tra un mortale e un’elfa immortale: il fatto che non dovrebbe essere così ci indica come questo racconto venne storicamente scritto prima di quello di Beren e Lúthien, la cui unione è quella che dovrebbe essere la prima tra le due stirpi di Primi e Secondogeniti.
Se leggiamo il testo poi, notiamo come ci siano draghi di ferro che portano dentro degli orchi, i Balrog hanno artigli di ferro, per difendere la città gli Gnomi (il primo dei nomi che viene portato dagli Elfi Noldor) Turgon appronta difese con macchine e liquidi velenosi: è il panorama distruttivo e tecnologico della Grande Guerra.