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Davanti all’immensità di Arda, l’universo creato da J.R.R. Tolkien, non possiamo che rimanere sbalorditi se non attoniti. È più che naturale per un lettore neofita, come anche per quello più navigato, domandarsi come una singola mano sia riuscita a creare tutto questo, quali esperienze e trascorsi abbiano fornito l’ispirazione per dar vita a quel mondo “secondario” – che ha influenzato l’immaginario di un numero incalcolabile di persone, rinnovando in modo permanente un genere letterario che prima dell’avvento tolkieniano era decisamente di nicchia.
A questa domanda prova a dare una risposta Tolkien, il biopic diretto da Dome Karukoski e basato su uno script di David Gleeson e Stephen Beresford, le cui riprese si sono concluse nel 2017 con l’uscita prevista per il 10 maggio 2019. In questa trasposizione si osserva l’autore (interpretato da Nicholas Hoult, conosciuto per il suo ruolo di “Bestia” nella saga X-Men), durante gli anni della gioventù, poco prima del primo conflitto mondiale, in cui si arruolerà come volontario nel 1915; è il periodo in cui stringerà le prime amicizie, frequenterà associazioni studentesche – fra cui sarà predominante l’esperienza e l’attività nel TCBS, il Tea Club and Barrovian Society, descritto in dettaglio da John Garth nel suo Tolkien and the Great War. Soprattutto, in quel periodo conoscerà per la prima volta l’amore, incontrando Edith Bratt (interpretata da Lily Collins, nota grazie a diversi film targati Netflix), la donna che diventerà sua moglie e compagna di vita e che ispirerà importantissimi personaggi femminili della sua opera, come Lúthien Tinúviel e Arwen Undómiel (“Stella del Vespro”). Nel cast compariranno inoltre Anthony Boyle, Patrick Gibson, Tom Glynn-Carney, Genevieve O’Reilly, Laura Donnelly , Pam Ferris, Derek Jacobi, Colm Meaney e Craig Roberts.
La trama è stata appena confermata nella sinossi ufficiale:
Tolkien esplora gli anni formativi dell’autore orfano quando trova amicizia, amore e ispirazione artistica tra un gruppo di emarginati a scuola. Questo lo porta allo scoppio della prima guerra mondiale, che minaccia di fare a pezzi la “Fellowship”. Tutte queste esperienze avrebbero ispirato Tolkien a scrivere i suoi famosi romanzi della Terra di Mezzo.
Non pochi amatori guardano con un certo scetticismo produzioni del genere; con una ricca selezione di opere riguardanti la biografia dell’autore ci si domanda quale sia lo scopo di questo nuovo lavoro cinematografico e se davvero sia necessario. Questo specialmente in vista della faraonica produzione della serie ispirata a Il Signore degli Anelli, la cui presumibile data di uscita è stimata dai più nel giro di un paio di anni.
Inutile negare che attorno all’opera del Professore, grazie anche all’enorme risonanza della trasposizione cinematografica di Peter Jackson, si sia creato un ampio mercato che allunga i tentacoli sul lascito letterario tolkieniano. C’è sempre dietro l’angolo il rischio che il corpus narrativo venga trascinato nel desolante pantano del mercato di massa, teso a proporre prodotti di quantità piuttosto che di qualità: tuttavia questo biopic non pare ascrivibile, almeno non del tutto, a un mero prodotto di merchandising.
Se infatti decine di migliaia di lettori si sono aggiunti alla schiera di appassionati delle vicende della Terra di Mezzo, lo dobbiamo sicuramente alla trasposizione di Jackson, trilogia kolossal che merita di tutto diritto di essere inserita nella lista dei 100 film di tutti i tempi stilata dal Time. Viceversa è come se questo imminente biopic, entrando in punta di piedi e venendo annunciato quasi a bassa voce, si ponesse l’obbiettivo di fornirci un punto di partenza dal quale iniziare l’osservazione e la comprensione della personalità dell’autore, della sua filosofia, del suo credo e – non meno importante – del suo immenso amore per Edith.
Personalmente attendo con molta curiosità questo biopic, anzi credo che sia addirittura necessario: la persona di Tolkien non dovrebbe sfumare in quella di un mito o di una leggenda, come solitamente accade a vari grandi personaggi del mondo della cultura, o peggio ancora diventare un mero contorno, una piccola nota a margine del fantastico frutto della sua fervida immaginazione. Piuttosto c’è da auspicare che la sua figura si attualizzi nell’immagine precisa di un uomo, un uomo vero, che è esistito, che ha fatto dell’integrità, della fede e del rispetto in ciò che credeva i perni della propria esistenza; un uomo che con il suo esempio può guidarci, ispirarci, mostrarci concretamente un altro modo di vivere, di essere e di fare.
Persino il suo amore per Edith potrebbe cadere nella ragnatela della mitizzazione, svanendo nella meravigliosa allegoria di Beren e Lúthien; invece il loro amore era vero, reale, e mai come ora abbiamo bisogno di chiari esempi di amore che esiste e resiste a ogni cosa, dal ligio rispetto di un’imposizione all’abisso della guerra e delle difficoltà della vita.
«C’è del buono in questo mondo» e Tolkien, con la vita, più che con la sua opera, ce lo ha dimostrato. Siamo ansiosi di scoprire come il regista abbia scelto di mostrarcelo, a quali aspetti della sua personalità abbia preferito dare risalto e su quali tematiche abbia deciso di porre l’accento; io credo però che, soprattutto in questo particolare genere di film, non si possa e non si riesca mai a dare un’immagine completa della persona rappresentata – esattamente come un ritratto o una fotografia non colgono tutta la nostra interezza, ma offrono all’osservatore il punto di partenza dal quale iniziare la scoperta del soggetto rappresentato.
Se quest’opera riuscirà nell’intento, mostrandoci anche uno spicchio della vera essenza del Tolkien uomo e autore, avrà degnamente svolto il suo compito.