“The Nature of Middle-earth”: intervista a Carl F. Hostetter

di Cristina Casagrande


La Grande Epidemia costò la vita a Re Telemnar e ai suoi discendenti nel secondo millennio della Terza Era, provocando altresì la morte dell’Albero Bianco di Gondor. Come nella leggenda, il Mondo Primario ha portato con sé una nuova epidemia e ognuno ha dovuto, secondo le proprie possibilità, far fronte alla paura. Nel mondo dei cultori di Tolkien, l’epidemia è stata presagita dalla perdita dell’esecutore letterario, suo figlio Christopher, il più degno custode di un mondo fantastico solo in parte palesato mentre l’autore era ancora in vita, ma di cui vi è ancora molto da scoprire.

Molto di quel mondo è venuto alla luce grazie a Christopher, soprattutto con la pubblicazione de Il Silmarillion nel 1977, ma anche con diverse edizioni postume quali Racconti incompiuti (1980), i dodici volumi di The History of Middle Earth (1983-1996) e, tra le altre pubblicazioni postume, i testi dedicati a ognuno dei Grandi Racconti. Dopo la perdita di un figlio così dedito e di un curatore tanto amato, i lettori si sono sentiti orfani. La fonte del tesoro era svanita? Avremmo dovuto accontentarci di rileggere e di eventuali adattamenti delle opere già esistenti?

È innegabile che le riletture degli scritti di Tolkien siano una fonte inesauribile; inoltre, vi sono diversi studi teorici di rilievo relativi alle opere dell’autore pubblicati con una certa frequenza che sono senz’altro d’aiuto a chi è intenzionato ad approfondire delle (nuove) letture. Tuttavia, verso la fine del 2020 abbiamo ricevuto una splendida notizia a proposito dell’imminente comparsa di un nuovo monile dal tesoro di Tolkien: The Nature of Middle Earth, a cura da Carl F. Hostetter, noto curatore degli scritti linguistici di Tolkien e amico del figlio Christopher. 

Hostetter lavora anche come informatico per la NASA e come molti professionisti del settore, la narrativa fantasy e fantascientifica l’hanno affascinato, nonostante negli ultimi anni si sia dedicato ad altre letture che (forse per puro caso) costituiscono gli strati più profondi delle opere di Tolkien, oltre alla filologia: la storia, la filosofia antica e medievale e la teologia. 

Non sorprende che Il Silmarillion sia la sua opera preferita fra quelle di Tolkien, «per il suo rilievo, profondità e prosa ineguagliabile». Con la pubblicazione di NoMe ormai vicina, il 2 settembre 2021, quarantottesimo anniversario della morte di Tolkien, Hostetter vestirà i panni di un erede del dimenticato Ælfwine, facendo riaffiorare i semi dell’Albero.

Di seguito la nostra intervista con Carl F. Hostetter.


Potrebbe raccontarci del suo percorso da lettore di Tolkien, come è venuto a conoscenza del suo operato, cosa ha letto in prima istanza, cosa le piace di più, ecc.? 

Un mio amico mi aveva fatto un set di tascabili de Lo Hobbit e de Il Signore degli Anelli come regalo di commiato quando mi trasferii da York (Pennsylvania) a Richmond (Virginia) nel 1978, all’età di tredici anni. Prima di allora, non avevo mai sentito parlare di J.R.R. Tolkien, ma il mio amico sapeva della mia passione per la mitologia nordica e per la serie Il risveglio delle tenebre di Susan Cooper e intuì giustamente che i libri di Tolkien mi sarebbero piaciuti. Lessi e rilessi quei libri molte volte di fila, soprattutto Il Signore degli Anelli, trovandovi sempre qualcosa di nuovo, e subito mi innamorai delle lingue elfiche. 

Ha contribuito in maniera significativa agli studi relativi alla linguistica tolkieniana in veste di membro della Elvish Linguistic Fellowship, partecipando alle pubblicazioni di Vinyar Tengwar e Parma Eldalamberon. Può raccontarci del suo approccio agli studi linguistici tolkieniani?

Mi sono interessato allo studio delle lingue tolkieniane fin da subito, dopo aver visto il frontespizio de Il Signore degli Anelli, chiedendomi che cosa (come avrei imparato più tardi che si chiamavano) la scritta in cirth in alto e quella in tengwar in basso significassero. Tutto questo è successo prima dell’arrivo di internet, tentai dunque di decifrare le lingue autonomamente, finché nei primi anni Ottanta non giunsi a conoscenza della Tolkien Society del Regno Unito, contattandola e scoprendo il loro bollettino sulla linguistica, Quettar, grazie a cui conobbi An Introduction to Elvish di Jim Allan, entrambi studiati al college. Quando vennero pubblicati i volumi di The History of Middle Earth, assimilai tutto ciò che riportavano sulle lingue tolkieniane e sulla loro creazione nel corso dei decenni, in particolare The Etymologies in the Lost Road, quinto volume di HoMe. Seguii anche diversi corsi di inglese e di linguistica, concentrandomi prevalentemente sulla linguistica diacronica, l’anglosassone, il Middle English e la letteratura medievale (frequentando anche i corsi della laurea specialistica, nonostante fossi ancora alla triennale), il tutto per via del mio studio sulla vita e le opere di Tolkien. Poco dopo essermi laureato al college, nel 1988, Jorge Quiñonez lanciò Vinyar Tengwar come bollettino dell’Elvish Linguistic Fellowship, appena fondata e affiliata alla Mythopoeic Society degli Stati Uniti (anche questa conosciuta grazie a Quettar a causa dell’assenza di internet).

Mi abbonai subito e, dato che avevo appena comprato un Mac e una stampante laser, offrii il mio aiuto a Jorge per editare il bollettino, allora bimestrale. Dopo qualche pubblicazione, Jorge mi chiese di subentrare come curatore, il cui ruolo prevedeva una corrispondenza con diverse società tolkieniane e con studiosi delle lingue dell’autore, così ebbe dunque inizio una corrispondenza (e amicizia) con Christopher Gilson, Arden Smith, Bill Welden e Patrick Wynne, oggi come allora noti studiosi delle lingue tolkieniane negli Stati Uniti. Il resto, come si dice, è storia!

Secondo lei, perché Tolkien ha lasciato incompiute le lingue elfiche?

Per ragioni analoghe a quelle per cui non ha terminato Il Silmarillion: anzitutto, perché il suo immaginario si trasformava e con esso il modo di descriverlo sulla carta e successivamente, dopo aver completato ed essere intervenuto su Il Signore degli Anelli, perché doveva revisionare il tutto per renderlo coerente con il libro edito e con le migliaia di anni di “nuova storia” che l’introduzione della Seconda e Terza Era esigeva, un incarico che non fu mai in grado di portare a termine.

Le lingue sono rimaste incompiute perché ogni volta che cercava di prendere una decisione “definitiva” su un qualcosa relativo alla fonologia o alla grammatica, finiva sempre per rivederne l’intero sistema, e a ragion veduta, in quanto ogni lingua è un sistema unito mediante meccanismi complessi tale che la rettifica di una sola caratteristica o dettaglio possa condizionare, come spesso succede, altri aspetti. Inoltre, non credo che Tolkien fosse interessato a far sì che le lingue elfiche fossero “complete” o “ultimate”, in quanto queste erano soprattutto espressione della sua estetica linguistica, cambiata nel corso del tempo. A differenza di Zamenhof con l’Esperanto, Tolkien non aveva in mente uno scopo di natura pratica per le sue lingue. 

Nel suo articolo Elvish as she spoke ha espresso perplessità a proposito del cosiddetto “Neo-Elfico”. Che cosa ne pensa a riguardo dopo più di dieci anni dalla pubblicazione del suo articolo?

Lo stesso di allora: può rivelarsi divertente e istruttivo, ma ci si imbatte nelle stesse insidie in cui si incorrerebbe nel cercare di comunicare in una lingua di cui vi sono pochi scritti e neanche un madrelingua, dunque è importante non confondere il “Neo-Elfico” e i suoi costrutti con quelli di Tolkien.

Come ha conosciuto Christopher? Come descriverebbe la vostra amicizia?

Quando sono subentrato come curatore di Vinyar Tengwar è iniziata una corrispondenza con la Tolkien Estate e Christopher, in un primo momento solo per ottenere l’autorizzazione per pubblicare dei materiali raccolti (da altri) negli archivi dedicati a Tolkien della Marquette University. Nel tempo, detta corrispondenza è diventata più naturale e spontanea. Ho incontrato Christopher di persona solo una volta, durante la Tolkien Centenary Conference a Oxford, nel 1992, quando propose a me e ai miei colleghi di editoriale di curare e pubblicare gli articoli del padre. Si è rivelato una persona premurosa e magnanima, un corrispondente trascinante, gentile, dotato di spirito e, personalmente, comprensivo e solidale nei miei confronti in alcuni frangenti della vita. Mi ritengo molto fortunato a essergli stato amico. 

Lei è il primo curatore di un’opera di Tolkien da quando Christopher è scomparso, e ne ha ricevuto il consenso per curare The Nature of Middle-earth. Com’è nato il progetto?

Allora non me ne rendevo conto, ma ho iniziato a lavorare su ciò che oggi è The Nature of Middle-earth all’incirca venticinque anni fa, quando mi è stato dato un fascicolo di fotocopie che Christopher definiva “gli ultimi saggi filologici”. Sulla base di queste fotocopie ho curato e pubblicato tre testi su Vinyar Tengwar, presenti anche (in versioni più o meno modificate) in NoMeÓsanwe-kenta (1998), Notes on Órë (2000) e The Rivers and Beacon-hills of Gondor (2001). Poco dopo, Christopher mi chiese di aiutare l’accademico francese Michaël Devaux a redigere una serie di ultimi scritti sulla reincarnazione degli elfi, pubblicati poi sul periodico La Feuille de la Compagnie vol. 3 nel 2014 e che saranno riportati anche in NoMe. Coloro che hanno letto gli scritti di cui sopra nelle riviste specialistiche su cui sono stati inizialmente pubblicati, sanno che nonostante questi vertano su questioni linguistiche, trattano di fatto del mondo naturale e/o di questioni filosofiche e metafisiche.

Conoscendo il mio interesse per questi argomenti, al di là della linguistica, Christopher si è offerto di mandarmi altre fotocopie degli ultimi scritti del padre, sempre inerenti alle tematiche di cui sopra, in modo da leggerli e pensare a sé e come poterli pubblicare. Riflettendoci e pensando ad altri materiali analoghi rimasti inediti o pubblicati solo su riviste specialistiche e contenuti sia negli articoli concernenti la linguistica che nei materiali raccolti presso i principali archivi tolkieniani, ho capito che questi potevano essere accorpati in un insieme unico e coerente. Così ho fatto, dopodiché è arrivato il titolo di un libro che comprendesse ambe le principali accezioni della parola nature: sia i fenomeni visibili e sensibili del mondo materiale (inclusa la flora e la fauna) che il carattere e le qualità metafisiche, innate ed essenziali del mondo e dei i suoi abitanti. A Christopher piacque l’idea, e per fortuna fu in grado di vedere e approvare la mia proposta editoriale, che comprendeva una consistente selezione di testi revisionati e il mio progetto di libro come insieme unico prima che scomparisse l’anno scorso.

NoMe riporta alcuni degli ultimi scritti di Tolkien. Cosa aspettarsi da questa nuova pubblicazione?

Non posso svelare tutti i dettagli, ma posso dirvi che The Nature of Middle-earth piacerà per lo più a coloro che apprezzano l’aspetto descrittivo e storico di Racconti Incompiuti, così come a coloro che apprezzano Morgoth‘s Ring.

Qual è stata la differenza tra curare The Nature of Middle-earth e redigere gli scritti di Tolkien più attinenti all’aspetto linguistico?

Non vi è molta differenza, spesso la cosa più difficile è decifrare la calligrafia di Tolkien, che può rivelarsi piuttosto indaginosa. Una differenza che mi viene in mente è che quando curo un testo linguistico i miei commenti sono molto più tecnici e analitici, come richiesto dai lettori di tali scritti. Per il pubblico più eterogeneo di The Nature of Middle-Earth ho cercato di fare commenti più concisi e meno tecnici. Il mio obiettivo era produrre un testo di piacevole lettura e incentrato sulla penna di Tolkien, mantenendo le mie chiose separate dalle parole dell’autore (nonostante in alcuni passaggi sia stato necessario inserire delle note editoriali all’interno testo principale).

Il lavoro di curatore di Christopher è stato titanico e ammirevole. Eppure, c’è chi critica (Douglas Kane, ad esempio) il suo lavoro su Il Silmarillion. Vorremmo conoscere la sua opinione riguardo all’operato di Christopher.

Christopher ha consacrato più di un quarto della sua vita a donarci non solo un Silmarillion concluso, ma anche una storia straordinariamente dettagliata su come quest’ultimo (e ovviamente Il Signore degli Anelli) sia divenuto quel che è. Non cambierei nulla.

Pensa che i lettori si possano aspettare la pubblicazione di altre opere di Tolkien?

Non posso asserirlo con sicurezza, ma la mia impressione è che ci sia molto poco materiale attinente alla Terra di Mezzo che non sia già stato pubblicato. Molti scritti accademici di Tolkein sono rimasti inediti, e anche delle bozze di alcuni suoi lavori pubblicati, come Il ritorno di Beorhtnoth negli archivi della Bodleian Library, che potrebbero essere editati, prima o poi. Inoltre, ci sono senza dubbio moltissime lettere rimaste inedite. Tuttavia, la maggior parte di ciò che non è stato pubblicato (almeno per intero) degli scritti concernenti la Terra di Mezzo sono bozze di lavori che sono stati editati per intero, dunque di interesse soprattutto per coloro che ambiscono a condurre uno studio più dettagliato sull’evoluzione dei testi rispetto a quanto Christopher non abbia potuto includere in The History of Middle Earth.

Grazie per aver risposto alle nostre domande!

Grazie a voi dell’invito!


© 2021 by Cristina Casagrande. Tradotto con il permesso dell’autore. L’articolo originale in portoghese brasiliano si può trovare qui

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