Da “la Storia di Kullervo” a “I Figli di Húrin” 2/3

 

“Kullervo Rides to War”, illustrazione di Akseli Gallen-Kallela


Lo stile utilizzato deve molto a William Morris, che a quell’epoca T. ammirava molto e che era stato, per così dire, l’iniziatore di un genere letterario che potremmo definire Fantasy, che ricreava atmosfere medievali permeate di magia e di mistero.
Tutto ciò senza rinunciare a quegli aspetti pagani e arcaici che lo avevano così colpito; aspetto che si evidenzia in alcuni passi, ripresi dal testo originario: “Nei giorni antichi della magia”; “Quando la magia era giovane ancora”.

Al tema della magia si ricollega la presenza del cane Musti e la sua importanza nella storia. Le modifiche fondamentali riguardano:
La famiglia di Kullervo: nel Kalevala sembra che Kullervo e la madre siano rimasti come unici sopravvissuti e soltanto negli ultimi Runi compaiono gli altri fratelli e una “famiglia” che egli rifiuta. Anche il rapporto fondamentale con la sorella con cui avviene l’incesto non viene spiegato, né motivato se non come una tragica fatalità, in quanto Kullervo non sapeva nemmeno della sua esistenza. Va detto che Lönnrot aveva raccolto diversi Runi da differenti cantori e aveva cercato di unificarli in un’unica vicenda, senza però riuscirci completamente.

Nel Vecchio Kalevala la storia di Kullervo occupa un solo Runo e si riduce a una lotta di potere tra due sciamani: Kullervo e la figlia di Pohiola, moglie del fabbro Ilmarinen che ha forgiato il Sampo.
Successivamente Lönnrot venne in contatto con tradizioni di altre zone e con numerosi canti dedicati a Kullervo; decise di inserirli nella vicenda principale, ma il legame con il resto del Kalevala incentrato soprattutto sulla ricerca del Sampo è piuttosto labile; inoltre c’erano versioni discordanti:

“I canti di Kullervo sono particolarmente confusi. Alcune varianti raccontano che i genitori dell’eroe furono uccisi da Untamo, altre narrano che Kullervo fu catturato come schiavo in grembo alla madre. Altri runot trattano del suo triste addio ai genitori, altri ancora descrivono la sua partenza per la guerra”. 1


Tolkien unifica le due “famiglie”, riducendole ad una soltanto e spiegando così da un lato l’ostilità del fratello e della sorella maggiori per K. dato che questi avevano accettato la loro condizione di servitù nei confronti dello zio, cercando soltanto il quieto vivere e il proprio benessere.

È fondamentale soprattutto che la sorella sconosciuta diventi una gemella e l’unica creatura a cui Kullervo si sentiva legato durante l’infanzia; l’unica che lo aveva seguito nella foresta e aveva condiviso con lui ogni cosa e soprattutto la protezione del cane Musti.

Nella versione tolkieniana l’esilio separa Kullervo dalla madre e dalla sorella non solo dal punto di vista geografico, ma anche emotivo, rendendo così plausibile il mancato riconoscimento successivo.
La figura della madre è particolarmente riuscita e tragica, in quanto cresce il figlio per la vendetta, ma non è in grado di dargli quell’amore e quella tenerezza che gli sarebbero stati necessari.
Nella versione originaria invece, la madre non compare se non per dare alla luce il bambino nei Runi iniziali, sarà invece presente quando Kullervo ritrova la sua famiglia e indicata come l’unica che si preoccupa per lui e di cui l’eroe, perciò, ricambia l’affetto.
L’approfondimento psicologico attuato dall’ancor giovane T. ci fa comprendere la differenza tra la concezione arcaica del fato e quella successiva al cristianesimo e poi all’avvento della modernità.
Nella concezione antica la colpa è sempre e comunque oggettiva: non contano le motivazioni per cui è stata compiuta, ma soltanto il fatto in sé e il soggetto è colpevole anche se non è consapevole di ciò che sta facendo. L’esempio più classico è Edipo: il suo fato era scritto e qualsiasi tentativo di sfuggire ad esso, compiuto prima dal padre Laio e poi da Edipo stesso non fa che far precipitare gli eventi verso l’inevitabile conclusione. L’epidemia che colpisce Tebe è dovuta alla colpa oggettiva dell’incesto, non alle motivazioni o alle azioni consapevoli dei protagonisti. Nel caso
di Kullervo, questi appare fin da subito come uno strumento di vendetta causato dall’uccisione di suo padre da parte del fratello. Non servono motivazioni interiori che spieghino il comportamento del ragazzo. La sua stessa esistenza è opera del Fato che chiede riparazione. Kullervo viene descritto come una sorta di forza della natura. Come i semidei greci cresce rapidamente ed ha una forza smisurata che dalla sua natura è volta alla distruzione, tanto che qualsiasi incarico gli venga affidato lo svolge causando morte e rovina.

“L’inizio della storia di Kullervo è simile ai miti di molti popoli, dove si tratta di un bambino nato o cresciuto in circostanze sfavorevoli, ma destinato a crescere e a diventare un eroe, un re o un dio”.2

“Nel 1835, Fredrik Cygnaeus pubblicò uno studio sul personaggio, sostenendo che la causa profonda del fato infausto di Kullervo si trova nel fatto che la natura lo ha voluto eroe, ma il fato lo ha soggiogato in schiavitù. Il fatalismo, stranamente unito a una testarda determinazione a compiere il proprio destino, costi quello che costi, è tipico della visione del mondo finnica”3

 



1 J. Pentikäinen, La Mitologia del Kalevala,Edizioni Persempre,Milano 2013, p.68-6

2 Idem, p.69

3 Idem, p.71