Da “la Storia di Kullervo” a “I Figli di Húrin” 2/3

 

Nei Runi non vengono fornite motivazioni particolari al comportamento distruttivo del protagonista: nella prima parte si dice che fin dalla culla aveva giurato di vendicare il padre e che per questo lo zio tenta tre volte di ucciderlo (per annegamento, attraverso il fuoco e per impiccagione: probabili riferimenti a rituali sacrificali e iniziatici – per acqua, fuoco e aria) ma il ragazzo si salva ogni volta, dimostrando i propri poteri magici. Successivamente, poiché ogni sua azione è causa distruzione, viene venduto come schiavo e si vendica della moglie del fabbro facendo assumere a lupi e orsi le sembianze di animali da pascolo, che sbranano la Figlia di Pohiola.

Successivamente la donna della Foresta gli dice che la sua famiglia è ancora viva e Kullervo ritrova padre, madre, fratello e sorella, tranne una che si è smarrita nella foresta tanto tempo prima. Anche in questo caso, però, non è in grado di compiere le attività quotidiane che gli vengono richieste perché con la sua forza smisurata distrugge ogni cosa. La motivazione addotta è che “era stato cullato troppo forte da piccolo “, ossia allevato tramite la violenza, senza affetto e in cattività.

Secondo Juha Pentikainen, autore de La mitologia del Kalevala, il tema che portò i finlandesi a identificarsi con la tragica figura di Kullervo è proprio quello della schiavitù forzata. Il Kalevala diede ai finnici una coscienza nazionale e divenne motore nella lotta per l’indipendenza: Kullervo separato forzosamente dalla sua terra e dai suoi e venduto come schiavo, diventa il simbolo della sottomissione politica e psicologica al potere prima svedese e poi zarista e la sua disperazione che conduce alla distruzione viene intesa come simbolo ed emblema della sorte della Finlandia stessa.

“Secondo lo psichiatra Karl Aimo Achte (1929), il maschio finlandese è spesso ossessionato dal ruolo del superuomo che avanza inesorabilmente verso il proprio fato, il quale può includere anche il suicidio o l’autodistruzione. L’uomo che si identifica nell’archetipo Kullervo non mostra facilmente le proprie emozioni o debolezze e non piange in pubblico (Runo 36). Il tragico fato di Kullervo rappresentò un modello per i cosiddetti suicidi eroici, un fenomeno che in Finlandia fu particolarmente evidente durante il periodo dell’oppressione zarista e all’inizio del XX secolo”.4

Non è per caso perciò che la tragedia di Kullervo abbia ispirato gli artisti finlandesi nella letteratura, nella pittura e nella musica. Ricordiamo in particolare il Kullervo di Sibelius. Tolkien non era certamente interessato a questa componente “politica”, anche se probabilmente fu proprio la lettura del Kalevala a fargli sorgere il desiderio di creare una “mitologia per l’Inghilterra”. Il suo interesse però non era di tipo rivendicativo, ma rivolto a ritrovare quelle radici che considerava oscurate e sepolte dalle forme letterarie ed artistiche più moderne. Tuttavia, pur tentando di ricreare il fascino di quel mondo perduto ove le parole creano e modificano direttamente la realtà, il giovane formatosi nella cultura del primo ‘900, pur affermando di amare soprattutto l’arte e la letteratura medievali, non può fare a meno di sviluppare la vicenda secondo una prospettiva più intima e personale che parta dalla psicologia dei personaggi.

“La principale differenza tra il Kullervo di T. e quello del Kalevala è che mentre le azioni sono le stesse, il primo è fortemente provato dal trauma infantile, che ne motiva il comportamento.”5

Un’altra differenza importante è il ruolo attribuito al cane Musti: nell’originale compare solo alla fine, per guidare Kullervo nel luogo della foresta dove la sorella si è tolta la vita e dove anch’egli si suicida gettandosi sulla spada; Tolkien invece introduce il cane fin dall’inizio come l’aiutante magico che dona i suoi poteri al ragazzo proteggendolo dai tentativi dello zio di ucciderlo.

“E’ il migliore esempio nell’opera di T. di un archetipo delle fiabe, l’aiutante animale”.6

È lui il portatore della magia che insegna al giovane. Qui T. utilizza un elemento tipico della mitologia: il rapporto tra cane, inferi e morte. Presente anche in forma implicita nell’originale (il cane è nero e conduce Kullervo al luogo della morte), viene invece sviluppato da T. non soltanto come psicopompo ma anche come protettore e guida. Secondo la Flieger, la figura del cane Musti precorre Huan il cane di Valinor che soccorre Beren e Lúthien, aiutandoli nell’impresa contro Morgoth.

“In entrambe le storie, il segugio fedele e dotato di poteri magici è un personaggio importante e vittima della sua stessa fedeltà, dato che segue l’eroe fino alla morte, in un episodio violento e ricco di pathos”.7

Anche le armi e in particolare il coltello assumono un ruolo diverso: il coltello era il dono del padre e ciò che legava Kullervo alla sua famiglia e alla sua eredità: la sua rottura causa la rabbia dell’eroe e la sua vendetta, poiché era l’ultimo legame materiale con la sua eredità familiare. Anche la spada ha una personalità più definita: Tolkien sviluppa l’arma molto più che nell’originale, rendendola “una personificazione del crudele destino che perseguita l’eroe8. Elementi che confluiranno nella saga di Túrin.

Il giovane autore inizia anche a lavorare sui nomi, diversificandoli dall’originale o creandoli: è significativo soprattutto che la sorella di Kullervo venga chiamata Wanona= pianto e invocata dal protagonista come “Kivutar” dolore. Nel Kalevala Kivutar è la divinità del dolore e della sofferenza.

“Wanona è l’ispirazione sia per la sorella amata e perduta Lalaith, sia per…. Nienor= Lutto, e poi Niniel= Fanciulla in lacrime. I nomi hanno tutti un significato, ma quello di Wanona anticipa chiaramente il nome della sorella e moglie di Turin”.9

 


4 Idem,p.71-72

5 V. Flieger, Tolkien, il Kalevala e la storia di Kullervo in J.R.R. Tolkien, La Storia di Kullervo, op. cit. p.224

6 Idem, p.233

7 Idem

8 Idem, p.230

9 Idem, p.229