di Cecilia Drudi
In occasione dei vent’anni dall’uscita de Il Signore degli Anelli al cinema, proseguiamo il nostro viaggio alla scoperta della trilogia di Peter Jackson. Stavolta intendiamo il viaggio in senso letterale, perché visiteremo i luoghi che hanno configurato la Terra di Mezzo come l’abbiamo vista sul grande schermo attraverso lo sguardo di Manuel Pezzali, Coordinatore dei Tolkieniani Italiani e redattore del sito di Tolkien Italia, che ha vissuto in Nuova Zelanda ed esplorato quei posti cari a tutti gli appassionati dell’opera di Tolkien e dell’epica cinematografica che ne è derivata.
Ciao Manuel! Grazie per la tua gentile disponibilità a realizzare quest’intervista sui luoghi della Terra di Mezzo!
Grazie a voi per l’invito. Per me è sempre un piacere parlare di luoghi a me cari. A maggior ragione, se questi luoghi sono legati a un autore che mi ha dato e continua a darmi tanto.
Chi è per te J. R.R. Tolkien e cosa ti lega di più alla sua opera?
Non è facile sintetizzare in poche parole che cosa significhi l’opera di Tolkien per me. Credo che, volendo semplificare un po’, lo si potrebbe definire come un “modello” in senso ampio. Un modello di stile, perché l’eleganza, la delicatesse della parola tolkieniana è fonte d’ispirazione per chiunque ami il bel narrare. Un modello di creatività, perché il lavoro mitopoietico che sta alla base del legendarium è qualcosa che ha pochi eguali nella storia della letteratura, e, anche in questo caso, chi si diletta con la scrittura non può che guardare con profonda ammirazione all’immenso universo narrativo sub-creato da Tolkien. Infine, posso dire che per me è anche un modello di vita, perché il Professore ha saputo portare a compimento, con merito e dedizione, due obiettivi ai quali ho sempre guardato con sognante ambizione: una lunga e fortunata carriera accademica e una storia d’amore talmente viva e intensa da diventare il motore per la creazione di storie indimenticabili.
E proprio la cura degli affetti famigliari e il modo in cui li ha saputi trasportare nelle sue opere sono i tratti bio-bibliografici che più mi legano a Tolkien. Più dell’epica gloriosa de Il Signore degli Anelli, più dell’avventuroso intreccio de Lo Hobbit, le piccole storie del Tolkien “meno conosciuto” – quello di Roverandom, Mr. Bliss, Lettere da Babbo Natale, Il fabbro di Wooton Major, Il cacciatore di draghi, per intenderci – hanno saputo riscaldare la mia sensibilità, sia per il fine con cui sono state scritte sia per l’atmosfera fiabesca e spensierata che vi si respira. Ed è proprio leggendo quelle pagine che mi sono riscoperto capace di provare un amore sincero per quel tipo particolare di bellezza che scaturisce dalla Fantasia Creativa.
Il Signore degli Anelli è il grande racconto di un lungo viaggio. Quali luoghi visitò Tolkien nella sua vita e quali, tra questi, furono fonte d’ispirazione per i suoi scritti?
La vita di Tolkien fu piena di un amore senza fine per la sua terra e, in particolare, per quell’Inghilterra pre-industriale che non era ancora stata soffocata dalle propaggini del miracolo tecnologico. Ne abbiamo un esempio lampante con la Contea, questo luogo utopistico costruito sull’agricoltura, sul piccolo artigianato e sul rispetto dell’armonia naturale. Un luogo che rispecchia l’infatuazione giovanile di Tolkien per Sarehole, un piccolo villaggio di campagna a 8 km da Birmingham. L’amore per la dolce countryside inglese, tuttavia, non gli impedì di viaggiare e di trarre ispirazione da luoghi relativamente lontani per la descrizione dei suoi spazi di fantasia.
Sappiamo, ad esempio, che a diciannove anni, nel 1911, Tolkien andò in Svizzera per una lunga escursione sulle Alpi, insieme al fratello e alla zia Jeane. Partirono nell’Oberland bernese e arrivarono nel Canton Vallese in tre settimane di cammino. Fu in quest’occasione che Ronald s’innamorò delle montagne e ne fece oggetto delle sue storie: se la valle del Lauterbrunnen è chiara ispirazione per il reame elfico di Gran Burrone (si noti, a questo proposito, la prossimità fonetica nel nome dei fiumi Loudwater e Bruinen), le vette del Silberhorn, dell’Eiger e dello Jungfrau ritornano in alcune tra le più imponenti cime della Terra di Mezzo, tra cui il Celebdil e il Caradhras. I disegni dello Starkhorn, uno dei monti che svettano sopra Harrowdale, fanno pensare alla cuspide perfetta del Cervino.
Per arrivare in Svizzera, la compagnia di Tolkien s’era impegnata in una breve traversata dell’Europa: dalle coste inglesi al Belgio in traghetto, poi in treno fino a Colonia per risalire il Reno in barca da Magonza fino a Monaco di Baviera e prendere un altro treno per Interlaken passando per Innsbruck e Zurigo.
Nel cuore di Tolkien, però, c’era anche il mare e, in particolare, la costa della Cornovaglia e del Dorset, con il paese di Lyme Regis, centro prediletto per i soggiorni estivi in famiglia (insieme alla spiaggia di Filey nello Yorkshire, base per l’ambientazione di Roverandom). Furono proprio queste vacanze al mare a ispirare in Tolkien la stesura di poesie e racconti, nonché il romanzo incompiuto The Lost Road. Pare inoltre che la terra di Númenor contenga vari riferimenti alla Cornovaglia (per esempio, la casa di Elendil s’ispirerebbe a Errol nella penisola cornica di Lizard), segno che anche quella terra deve aver lasciato una profonda traccia nella sensibilità del Tolkien sub-creatore.
Infine, vale la pena menzionare le città visitate da Tolkien. Se, com’è ovvio supporre, la maggior parte dell’ispirazione e dell’amore di Tolkien si riversava sulle città inglesi a lui care (Oxford e Warwick, soprattutto; meno Birmingham, che resta comunque un’influenza importante in negativo, poiché con il fumo delle ciminiere e la frenesia dell’industria non può che ricordare luoghi terribili come Mordor e l’Isengard di Saruman), buona parte di interesse la suscitò anche la visita di alcune città estere. Su tutte Venezia, visitata nel 1955 e ricondotta, per corrispondenza geografica, a Gondor. A Venezia Tolkien ebbe modo di assistere a una rappresentazione del Rigoletto di Verdi. Nello stesso periodo, visitò Assisi in occasione della festa di Santa Chiara e rimase estasiato di fronte agli affreschi di Giotto della Basilica di San Francesco. Anche l’Italia, insomma, giocò un ruolo importante nella definizione e nel perfezionamento della sensibilità sub-creatrice del Professore.
Concludo con una curiosità: Tolkien visitò anche un’altra grande città d’arte europea, Parigi. Era l’estate del 1913 e Tolkien doveva accompagnare tre ragazzini messicani e due loro zie in un giro culturale della città. Il viaggio fu un totale disastro: Tolkien non parlava spagnolo e i messicani non parlavano inglese, in più Tolkien scoprì di non sopportare la cucina francese né i parigini. Si spostarono, dunque, in Bretagna, a Dinard, ma qui le cose andarono anche peggio, perché una delle due anziane signore messicane fu investita da un’automobile e morì poche ore dopo. Fu la fine di un viaggio iniziato male e concluso nel peggiore dei modi.
I luoghi della Terra di Mezzo sono numerosi e la penna abile del professor Tolkien descrive ogni angolo di questo vasto mondo. Pensi che Peter Jackson, nella sua trilogia, sia riuscito a trasportarli fedelmente su pellicola?
L’adattamento cinematografico di un libro è sempre un’operazione estremamente complessa. In termini di corrispondenza tra opera originale e sceneggiatura, di coerenza rispetto alle scelte dell’autore per quanto riguarda le caratteristiche fisiche, psicologiche e morali dei personaggi, di somiglianza tra i luoghi descritti su carta e le ambientazioni scelte per la trasposizione cinematografica. Una trilogia come Il Signore degli Anelli portava tutte queste difficoltà a un livello altissimo, in primis per la complessità dell’intreccio stesso, in secundis per la possibilità di incorrere in paletti e stop da parte di chi deteneva i diritti delle opere di Tolkien. E, ultima ma non per importanza, per la possibilità di incorrere in reazioni ostili da parte dell’agguerrita comunità tolkieniana.
Io credo che Peter Jackson abbia fatto un lavoro magistrale (non per nulla premiato con 17 Oscar, a fronte di 30 candidature) nel consegnare un’opera quanto più possibile vicina all’originale tolkieniano. Soprattutto per quanto riguarda i luoghi. I campi di battaglia trasudano epicità e valore guerriero, basti pensare ai campi del Pelennor o al fosso di Helm. Hobbiville è quanto di più vicino a quell’ideale bucolico di campagna inglese che Tolkien aveva ben a cuore. Le foreste a perdita d’occhio, come Fangorn o Lothlórien, restituiscono nel migliore dei modi il senso di smarrimento (fisico e spirituale) che emerge dalle lunghe e intense descrizioni tolkieniane. Anche i luoghi del male sono ritratti in maniera efficace sulla pellicola: Mordor e Isengard, con i loro incendi e le loro terribili macchinazioni, comunicano tutta l’angoscia dello scrittore per un mondo schiacciato dal razionalismo industriale.
Peter Jackson è un regista/produttore cinematografico neozelandese. A parte l’affetto per il suo paese d’origine, ha ritenuto che la Nuova Zelanda potesse offrire preziosi paesaggi per i vari scenari dei suoi film e dato il successo riscosso ha fatto una scelta vincente. Secondo te la Nuova Zelanda può riassumere, nella sua conformazione geografica, la Terra di Mezzo?
Indubbiamente. “Riassumere”, qui, è un verbo essenziale, poiché non si può pensare di mettere a confronto un intero continente, qual è la Terra di Mezzo, con un piccolo arcipelago di isole dalle dimensioni paragonabili grossomodo a quelle dell’Italia. Il punto è che, proprio come la nostra penisola, la Nuova Zelanda è un territorio che racchiude in sé una varietà paesaggistica straordinaria, alla quale corrisponde una altrettanto notevole biodiversità. Nelle tre principali isole neozelandesi (North Island, South Island e Rakiura/Stewart Island), noi possiamo trovare gli scenari più diversi: dalle sabbiose coste oceaniche alle innevate vette alpine, da laghi cristallini a spianate desertiche, da paludi e acquitrini alle fitte foreste di native bush. Il tutto concentrato in un territorio dall’estensione limitata, se paragonato a grandi nazioni o addirittura a continenti.
Ne consegue che, con una diversità simile, la Nuova Zelanda ben si prestava a fare da ambientazione per le vicende della Terra di Mezzo, avendo tutto il potenziale per rappresentare alla perfezione il verde conciliante della Contea, la nera desolazione di Mordor, l’imponenza e l’austerità delle Montagne Nebbiose, e via dicendo. Direi che, con una conformazione territoriale così favorevole, la Nuova Zelanda s’è meritata a buon diritto l’etichetta (ora divenuta un fortissimo richiamo commerciale e turistico) di Real Middle-Earth.
Trattandosi della storia di un viaggio molte riprese sono state girate all’esterno. Quanti set furono effettivamente realizzati e quali rimasero solo miniature?
La realizzazione dei set, insieme alla produzione di armi, costumi, protesi, effetti speciali e miniature, fu il frutto del lavoro certosino della Weta Workshop, società con sede a Wellington e gestita, tra gli altri, proprio da Peter Jackson. Furono soprattutto le ambientazioni “urbane” a richiedere la costruzione di set ad hoc, tra cui Brea (filmata a Fort Dorset, una vecchia base militare nel sobborgo di Seatoun, a est del centro di Wellington); la parte interna di Minas Tirith (nel quartiere collinare di Haywards, sempre a Wellington); il fosso di Helm (in una cava alla fine di Haywards Hill Road). Si aggiunga poi Dale, per quanto riguarda la trilogia prequel de Lo Hobbit (realizzata sulle pendici del Mt. Crawford, sempre nella capitale). E, naturalmente, il villaggio di Hobbiton… ma quest’ultimo merita un discorso a parte.
Per quanto riguarda le miniature – o, per meglio dire, le big-atures (così chiamate per via delle dimensioni ben maggiori rispetto alle miniature tradizionali) – le più famose sono sicuramente quelle realizzate per la città fortificata di Minas Tirith, per le due torri di Orthanc e Barad-dûr, per il Nero Cancello (Morannon), per Minas Morgul, Osgiliath, Moria, e per il regno elfico di Lothlórien.
Sono stati mantenuti tutti? È possibile oggi, per un turista appassionato del Signore degli Anelli, visitarli?
I set cinematografici sono stati tutti smantellati, con la sola eccezione di Hobbiton.
Il villaggio degli Hobbit della Contea, geograficamente, si trova nella proprietà della famiglia Alexander, tra le colline del Waikato, vicino al piccolo centro di Matamata (dove peraltro è possibile imbattersi in un’interessantissima statua di Gollum) e a circa 60 km dalla città costiera di Tauranga. Perché l’Hobbiton Movie Set è l’unico ad essere rimasto in piedi? Il motivo è presto detto. Dopo la realizzazione della prima trilogia, il set con tutti gli hobbit holes era stato smantellato, salvo poi venir ricostruito nel 2010 quando il progetto della trilogia prequel si era ormai concretizzato. In seguito all’uscita dei film, l’area conobbe un boom di visite da ogni parte del mondo: una folla di appassionati, desiderosi di vedere Bag End e le altre pittoresche case hobbit, si riversava senza sosta sulle colline attorno al set. Va da sé che la prontissima industria del turismo neozelandese non si fece scappare l’occasione e, lasciando intatto il set cinematografico, fece di Hobbiton una destinazione turistica di successo e, potremmo dire, un marchio commerciale in tutto e per tutto. La vocazione turistica del luogo venne ribadita negli anni successivi, quando la Green Dragon Inn aprì le porte al pubblico, offrendo ai numerosissimi fan della saga un dolce ristoro a base di birra, sidro e ginger beer.
Oggi i turisti che arrivano dalle città vicine possono visitare il set solo prenotando e aggregandosi a un tour di gruppo con l’apposita guida che li accompagnerà tra le porticine e gli oblò colorati, i mulini e i ponticelli, fino ad arrivare ad aprire la porta degli hobbit holes e scoprire che all’interno…non c’è nulla. Ma c’è da scommettere che molti – come il sottoscritto, del resto – scopriranno di aver realizzato i propri sogni semplicemente leggendo la fatidica scritta “No admittance. Except on party business”.
Sei stato quindi in Nuova Zelanda. Dove in particolare? Quali luoghi relativi alla Terra di Mezzo riprodotta da Peter Jackson nei suoi film hai visitato e quale tra questi ti ha colpito maggiormente?
Sì, dagli inizi di marzo ai primi di luglio 2018 ho vissuto in Nuova Zelanda, dove ho lavorato e viaggiato in autonomia. Durante i primi tre mesi, ho vissuto a Queenstown, una cittadina di 15.000 anime, ma brulicante di vita come una metropoli, se si pensa alle tante attività all’aperto che si possono svolgere sulle sponde del Lake Wakatipu e nelle valli circostanti (tra le altre cose, Queenstown è la città dov’è stato inventato il bungee jumping), e che attraggono una quantità impressionante di turisti per tutto l’anno. Poco lontano dalla cittadina, c’è un minuscolo villaggio, Glenorchy, destinazione prediletta da chi vuole concedersi un momento di relax al riparo dai turisti più chiassosi, ma soprattutto da chi vuole intraprendere un safari sui luoghi della saga di Peter Jackson. Così è stato per me e, tra tutte le location che ho visitato (e sono veramente tante), quelle che porto più nel cuore sono proprio le ambientazioni in prossimità di Queenstown. Oltre Glenorchy, infatti, si trova la meravigliosa Paradise Valley, percorsa solo da una stradina sterrata e circondata da montagne innevate. Qui, nella vasta apertura che fa da proemio alla valle era stata costruita Isengard. Per me non è stato difficile immaginarmela, con la torre di Orthanc a svettare sopra i verdi prati, prima che Saruman corrompesse tutto. Poco prima della Paradise Valley, ci si può addentrare nel bosco e, in un attimo, ci si ritrova a tu per tu con uno degli episodi più drammatici della saga: la morte di Boromir. Ricordo con grande piacere la nostra guida lasciarci dei mantelli e delle repliche di Andúril e scattarci alcune fotografie nella foresta. O ancora, sulla sponda settentrionale del Lake Wakatipu, ricordo il Twelve Mile Delta, un’area fluviale con una vegetazione rada, utilizzata per rappresentare sullo schermo l’Ithilien e, in particolare, la scena in cui Sam osserva l’esercito di Harad e rimane stupito alla vista degli olifanti. Naturalmente altre location, non meno importanti, andrebbero menzionate, ma rischierei di dilungarmi più di quanto non abbia già fatto, perciò mi limito a ricordare l’avventurosa escursione invernale lungo il Tongariro Alpine Crossing, un itinerario alpinistico di 19 km che si snoda tra i principali vulcani della North Island, in quella che è diventata la versione jacksoniana della terra di Mordor, alle pendici del Monte Fato (Mt. Ngauruhoe). Un’avventura d’altri tempi, tra raffiche di vento gelido, esalazioni sulfuree e la fitta coltre di nebbia che ricopriva le bocche fumanti dei vulcani. Senza ombra di dubbio, a once-in-a-lifetime experience.
Hai scritto un libro sul tuo viaggio in Nuova Zelanda. Qual è il titolo? Vuoi parlarcene?
Naturalmente dopo un viaggio così intenso non potevo stare con le mani in mano. Il demone della scrittura imponeva di mettere su carta tutte le emozioni provate in quei mesi, tra esperienze adrenaliniche e immersioni nella Terra di Mezzo. Così mi sono messo al lavoro, ho sistemato tutte le informazioni che avevo raccolto nel mio viaggio, e ho iniziato a stendere Emisfero Sud. 120 giorni in Nuova Zelanda. Ne è uscito un reportage dal tono riflessivo e intimo, con numerosi passaggi dedicati ai luoghi della trilogia, ma anche e soprattutto con un occhio di riguardo per le amicizie, le nuove abitudini, il nuovo modello di vita che si andava prospettando. Il tutto racchiuso in poco più di 400 pagine, scritte e pubblicate indipendentemente. Vi risparmio le tumultuose vicende editoriale, vi basti sapere che un editore m’aveva proposto di pubblicare per lui, a patto di tagliare tutte le parti che non fossero relative al Signore degli anelli. Ovviamente, rifiutai. Per quanto ispirato dall’amore per quelle storie e per quei luoghi di fantasia, Emisfero Sud non poteva limitarsi a un panegirico del Signore degli anelli secondo Peter Jackson. Era, piuttosto, il resoconto a 360 gradi di un’esperienza di vita in senso ampio…e, perciò, ampio doveva rimanere. Così mi decisi a pubblicarlo indipendentemente e ora lo si può trovare, senza problemi, sui principali siti di e-commerce.
Torneresti in Nuova Zelanda? Perché?
Assolutamente sì. Per il semplice fatto che sono perfettamente consapevole di non aver portato davvero a termine la mia esperienza. Non solo e non tanto per il rimpianto di esser rimasto poco tempo, quanto piuttosto per la certezza che la Nuova Zelanda ha ancora tanto da offrirmi, in termini di luoghi e ambienti, di attività d’intrattenimento, di cultura e di mitologia (così importanti per l’ancora forte anima maori del paese). Il richiamo è forte e sento che, prima o poi, farò ritorno ad Aotearoa, la terra della lunga nuvola bianca.