Letteratura e narrazione
L’iniziazione cavalleresca nel «Signore degli Anelli» e nel «Cacciatore di draghi» di Davide Gorga
La seconda sezione della raccolta è dedicata alla letteratura e narrazione tolkieniana ed è il saggio di Davide Gorga ad aprire le danze con un approfondimento sugli elementi cavallereschi in due opere di Tolkien: Il Signore degli Anelli e Il Cacciatore di Draghi.
Dopo essersi avvalso degli solidi studi di Régine Pernoud sul Medioevo per inquadrare il fenomeno della cavalleria, Gorga mette in risalto la maturazione di diversi personaggi per evidenziare i tratti cavallereschi: Frodo, Sam ,merry, Pipino, Théoden, Éowyn, Boromir e Faramir.
Ma è ne Il Cacciatore di Draghi, osserva Gorga, che l’iniziazione cavalleresca è più esplicita, con la nobilitazione del Fattore Giles, a dispetto della corte di cavalieri pusillanimi di cui si circonda il Re del Piccolo Regno. Non è un caso che il racconto eroicomico di Tolkien si concluda con la fondazione di un nuovo ordine cavalleresco.
Le lingue fittizie nella traduzione di Gianluca Comastri
Il contributo di Gianluca Comastri porta all’attenzione una grave mancanza della recente ritraduzione de Il Signore degli Anelli a cura di Ottavio Fatica: l’aver trascurato l’importanza delle lingue ricostruite all’interno del romanzo.
Forte della sua profonda conoscenza di Quenya e Sindarin, Comastri con sicurezza porta ad esempio alcuni toponimi elfici la cui resa italiana di Fatica è evidentemente erronea e forzatamente arbitraria alla luce delle etimologie elfiche e delle indicazioni di traduzioni fornite da Tolkien.
La disamina si rivolge poi alle traduzioni di frasi e componimenti elfici più estesi come l’iscrizione dell’entrata di Moria ed il Namárië. Qui si dimostra che, avendo Fatica fatto riferimento solo ai testi inglesi proposti da Tolkien, si sia verificato un ulteriore allontanamento tra lingua italiana e lingue elfiche.
Concludono il saggio i commenti alle impietose esternazioni in cui Fatica non ha nascosto di ritenere le lingue ricostruite di Tolkien un espediente sleale nei confronti del lettore, e Comastri risponde facendo notare che secondo questo ragionamento sarebbero da svalutare decine di anni di consolidati studi tolkieniani come quelli di Verlyn Flieger.
Il professore, le fiabe e il popolo fatato di Lorenzo Pennacchi
Il contributo di Lorenzo Pennacchi risulta più didascalico di quelli precedenti, dal momento che si concentra sull’esposizione piuttosto pedissequa dei concetti e delle tesi del già citato saggio Sulle fiabe.
Pur tuttavia, nel saggio non mancano degli interessanti approfondimenti su altri scrittori: Robert Kirk, Andrew Lang e Howard Phillips Lovecraft.
Va infatti detto che per quanto il saggio Sulle fiabe sia appassionante, molto spesso il lettore italiano è poco conoscitore della cultura inglese delle fiabe, per dirla traducendo letteralmente il termine inglese, “storie di fiabe”. Ecco dunque che Pennacchi ci presenta Robert Kirk, pastore scozzese che davvero credeva nell’esistenza delle fate, tanto da aver pubblicato delle autentiche ricerche sul piccolo popolo. La figura di Kirk è davvero esemplificativa del rapporto che la cultura della Gran Bretagna aveva con le fate, e si collega a Tolkien attraverso il filo rosso di Andrew Lang. Lang infatti studiò approfonditamente l’eredità di Kirk, ed al contempo i suoi libri di fiabe furono tra le letture preferite del piccolo John Ronald, che una volta cresciuto li portò come esempi da analizzare nel suo saggio Sulle fiabe.
Quanto a Lovecraft, Pennacchi si concentra sulla sua produzione saggistica, rivelando somiglianze e differenze tra la visione delle fiabe e del fantastico del Solitario di Providence e quella del Professore di Oxford.
È facile incontrare tra gli appassionati materiali che mettono in dialogo Tolkien e lovecraft, ma quasi sempre ricorrendo al confronto di romanzi e racconti dei due scrittori, mentre Pennacchi ci aiuta ad indagare le opere in cui i due hanno esposto le loro teorie letterarie, approccio che a mio avviso si rivela più fruttuoso e convincente
Per vedere il mare di Mauro Toninelli
Il saggio di Toninelli può essere considerato complementare a quello di Pennacchi, dal momento che anch’esso si concentra soprattutto sulla fiaba nella prospettiva e scrittura di Tolkien. Il saggio Sulle fiabe però in questo caso è solo un punto di partenza rapidamente richiamato, preludio di un appassionante excursus attraverso quei passi disseminati ne Il Signore degli Anelli in cui Tolkien solleva il problema della verità delle fiabe e dei racconti.
Toninelli spiega come Tolkien ripetutamente ponga ai lettori del suo romanzo gli stessi interrogativi ed offra le stesse risposte sulle fiabe e le grandi storie che egli discusse nel saggio Sulle fiabe.
Per questo motivo il contributo di Toninelli è un valido esempio di come la teoresi tolkieniana si possa puntualmente ritrovate nella narrativa del Professore se la si cerca accuratamente. Toninelli va oltre le indicazioni più note di Tolkien (ad esempio su quali episodi dei suoi romanzi siano eucatastrofici, informazione che troviamo in alcune celebri lettere), e mostra che lo stesso metodo di interpretazione si può applicare con numerosi altri strumenti ermeneutici offerti da Tolkien stesso.