La Città Bianca ricordata: il Mito
Come aveva fatto con il TCBS, Tolkien sperava di combattere le tendenze del mondo moderno con poesia, immaginazione, mito, romanticismo cristiano e amicizia cristiana. Tolkien disse a una conferenza presso l’Università di St. Andrews alla fine degli anni ‘30:
Possiamo effettivamente essere più anziani ora, in quanto siamo eredi nel godimento o nella pratica di molte generazioni di antenati nelle arti. In questa eredità di ricchezza ci può essere un pericolo di noia o di ansia di essere originale, e che può portare ad un disgusto per il disegno fine, per il modello delicato, e per i bei colori, oppure alla semplice manipolazione e sovraelaborazione di vecchio materiale, intelligente e senza cuore.
Dovremmo guardare di nuovo il verde, ed essere nuovamente sorpresi (ma non accecati) dal blu e dal giallo e dal rosso. Dovremmo incontrare il centauro e il drago, e poi forse all’improvviso vedere, come antichi pastori, pecore, cani, cavalli e lupi.
Inoltre, perché qualcuno dovrebbe protestare contro una cosiddetta “fuga” che la letteratura e la mitologia forniscono, chiese Tolkien.
Perché è del resto possibile per un uomo razionale, dopo una riflessione (del tutto estranea alla fiaba o al romanzo), arrivare alla condanna, implicita almeno nel mero silenzio della letteratura di evasione, di cose progressiste come le fabbriche, o le mitragliatrici o le bombe che sembrano essere i loro prodotti più naturali e inevitabili, oseremmo dire inesorabili.
Si può anche pensare alla descrizione che Tolkien fa di Gandalf ne Il Silmarillion. Gandalf, noto come Olórin nel Vero Occidente, è stato l’ultimo degli Istari inviati sulla Terra di Mezzo per aiutare gli Uomini e gli Elfi nella loro guerra contro Sauron. Anche semeno potente, era il più saggio, e trascorse molti dei suoi giorni camminando tra gli elfi «invisibile, o in una forma come uno di loro, e non sapevano da dove venivano le belle visioni o i suggerimenti di saggezza che mise nei loro cuori». Il Silmarillion riporta che «coloro che lo ascoltarono si risvegliarono dalla disperazione e misero via i pensieri di tenebra».
Anche l’amico più caro di Tolkien, C.S. Lewis, ammirava l’arte della fuga attraverso la poesia, la letteratura e l’immaginazione. «Il Fantastico o Mitico è una Modalità disponibile a tutte le età per alcuni lettori; per altri, a nessuna. A tutte le età, se è ben utilizzato dall’autore e incontra il lettore giusto, ha lo stesso potere», scrisse Lewis per il New York Times nel 1956, «generalizzare rimanendo concreti, presentare in forma palpabile non concetti né esperienze, ma intere classi di esperienze, e disfarsi di irrilevanze». Nella sua forma migliore, il fantastico può “aggiungere qualcosa” alla vita, non solo “commentarla”.
Nel suo libro del 1928, Poetic Diction, Owen Barfield aveva scritto: «Una civiltà che deve guardare sempre più all’arte – al poeta individualizzato – come all’origine e alla fonte di ogni significato».
In un’intervista del 1984, Barfield riassunse bene il pensiero di Lewis e Tolkien sull’arte e la letteratura: tutti e due «sentivano che la letteratura non doveva essere usata come mezzo per propagare un messaggio». Inoltre, osservò, «La cosa che contava era che si trattava di una buona opera d’arte, e che aveva il suo valore, che a lungo termine era un valore cristiano. Penso che forse sia questo il modo che io possa immaginare per esprimere quale fosse l’atteggiamento di Tolkien e Lewis».
In linea di massima, si potrebbe descrivere correttamente il gruppo di amici che si sono concentrati intorno a C.S. Lewis e J.R.R. Tolkien, gli Inklings, come poeti e creatori di miti cristiani conservatori, tradizionalisti, platonici, agostiniani, stoici, anti-ideologici. Essi credevano nel Vero, nel Bene, nel Bello e, soprattutto, nell’Uno dietro tutte le cose. Riconoscevano la loro posizione nella società come controcorrente rispetto alle tendenze della modernità, non attraverso la reazione, ma attraverso il ricordo. Come successore di Lewis a Cambridge, Jack Bennett disse di lui, «La posizione di ultimo sopravvissuto lo ha sempre attratto [Lewis]; è uno dei gusti che ha condiviso con William Morris, e lo ha presto attirato verso le saghe ei tragici dèi dell’Edda».Lo stesso si potrebbe dire di Tolkien. Lewis, nel suo discorso inaugurale di Cambridge, si descrisse come un dinosauro, uno degli ultimi “Old Western Men” [“Vecchi Uomini Occidentali”].
È mia ferma convinzione che per leggere correttamente la letteratura occidentale antica si debba sospendere la maggior parte delle risposte e disimparare la maggior parte delle abitudini acquisite nella lettura della letteratura moderna. E poiché questo è il giudizio di un nativo, sostengo che, anche se la difesa della mia convinzione è debole, il fatto della mia convinzione è un dato storico al quale dovreste dare pieno peso. In questo modo, dove fallisco come critico, potrei tuttavia essere utile come esemplare. Oserei persino andare oltre. Parlando non solo per me, ma per tutti gli altri Old Western men che si possono incontrare, direi, utilizzate i vostri esemplari finché potete ancora farlo. Non ci saranno molti altri dinosauri.
Anche Tolkien, «era un Old Western Man che era stato spiazzato dall’attuale direzione della civiltà», affermò Clyde Kilby, un professore di inglese al Wheaton College, dopo un’estate di conversazioni con Tolkien. «Egli sentiva anche il nostro tanto decantato parlare di uguaglianza degradato dai nostri tentativi di “meccanizzarlo e formalizzarlo”».
Come molti inglesi, Tolkien temeva un mondo diviso in due, in cui i popoli più piccoli sarebbero stati inghiottiti interi dalle potenze più grandi. Così come vide il male nel 1916, lo vide anche nel 1969. «Lo spirito di malvagità nei luoghi elevati è ora così potente e con così tante teste nelle sue incarnazioni», scrisse Tolkien, «che non c’è niente di più da fare che personalmente rifiutare di adorare qualsiasi testa dell’ Idra». Il mondo, pensò, sembrava poco migliore di una nuova Torre di Babele, «tutto rumore e confusione».
Sarebbe difficile per un conservatore e tradizionalista come Tolkien vedere il mondo in qualsiasi altro modo. Oltre a riconoscere gli effetti del peccato originale in tutte le epoche e su tutti gli esseri umani, Tolkien trovò il XX secolo particolarmente preoccupante e decisamente terrificante. Tolkien si era lamentato dell’ascesa di quella che lui e i suoi amici chiamavano la “macchina”, che meccanizzava la vita, offuscandola e conformandola, prosciugandola della sua vitalità. La macchina era apparsa in una molteplicità di forme. I governi democratici avevano burocratizzato la bellezza del linguaggio sulla conclusione più benigna del continuum. Dall’altra parte, ideologi fascisti e comunisti avevano violentato, saccheggiato, assassinato e disumanizzato intere popolazioni, massacrando più di 200.000.000 di persone nel corso del secolo. Inoltre, la guerra s’era presa altri quaranta milioni di soldati. Tolkien e la maggior parte degli uomini della sua generazione, avevano fatto il loro dovere nella Grande Guerra, solo per vedere i loro figli andare a combattere nella Seconda Guerra Mondiale. La macchina era ovunque, facendo la sua pace diabolica con la Città Bianca.
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