di Eduardo Boheme
Il 5 aprile 1995, l’edificio principale della biblioteca dell’Università di Uppsala in Svezia fu sorpreso, in pieno giorno, da dei colpi di mazza che rompevano la cupola di vetro dove era esposta parte del codice più famoso del paese: un bifolio e le copertine del Codex Argenteus furono rubate.
Chiamato anche Bibbia d’argento per via delle sue lettere d’argento scritte su una lussuosa pergamena viola1, il codice d’argento faceva parte della più importante collezione d’arte d’Europa nel XVII secolo, appartenente alla corte di Rodolfo II, nell’attuale città di Praga. Nel 1648, tuttavia, fu recuperato per ordine della regina Cristina di Svezia quando Praga fu conquistata alla fine della Guerra dei Trent’anni. È risaputo che il Codex Argenteus contiene la documentazione gotica (la lingua estinta parlata dalla tribù germanica dei Goti) meglio preservata al mondo. È una copia frammentata dei Vangeli realizzata in Italia nel VI secolo, basata su una traduzione del vescovo ariano Ulfila fatta due secoli prima. Ulfila ha sviluppato anche, basandosi sul greco, l’alfabeto gotico, ed è in questo alfabeto che sono scritte le magnifiche lettere del Codex Argenteus.
E cosa c’entra Tolkien? Il gotico, si sa, occupava un posto privilegiato nella mente del Professore, intromettendosi nella sua letteratura, nella sua calligrafia, nella sua vita personale e accademica. Mentre era ancora a scuola, Tolkien acquistò da un amico un opuscolo di gotico scritto da Joseph Wright, il filologo che sarebbe stato il suo tutore a Oxford, e la lingua lo affascinò. Per la prima volta, confidò Tolkien a W.H. Auden molti anni dopo, studiava una lingua per puro amore: estinta e così scarsamente registrata e che non aveva alcuna funzione pratica, nemmeno come veicolo per una letteratura la cui perdita Tolkien lamentava.
Sì, gli dispiaceva, ma questo non fece che rafforzare il suo slancio filologico nell’esercizio della ricostruzione del linguaggio gotico e della sua (possibile) letteratura. Così, scriveva in gotico a partire da piccoli frammenti, come le iscrizioni che ha inserito nei suoi libri, e il suo nome, Ronald Tolkien, convertito in Ruginwaldus Dwalakōneis, fino a una poesia completa, Bagme Bloma, inclusa nel raro Songs for the Philologists. In effetti, questa poesia di Tolkien è l’unica scritta in gotico rimasta, secondo Tom Shippey. Il semplice fatto che Tolkien l’abbia scritta indica che la letteratura gotica – perduta, ma presunta – si manifestava frequentemente nelle congetture accademiche di Tolkien.
In un altro testo, Tom Shippey riflette proprio sull’importanza di questa letteratura per Tolkien, osservando le domande di filologia gotica presenti negli esami degli studenti di Oxford. Secondo lui, guardare gli esami è un buon indizio per scoprire ciò che gli esaminatori pensavano fosse importante. Quando Tolkien era nella commissione esaminatrice, spiega Shippey, le domande lasciavano il terreno puramente tecnico/linguistico e iniziarono anche a includere elementi letterari. Nel 1932, quando la commissione era formata da Tolkien, C.S. Lewis e E.V. Gordon, per esempio, una delle domande a cui gli studenti dovevano rispondere era la seguente:
La metrica su cui probabilmente sarebbe stata scritta la poesia gotica era identica, o molto simile, alla metrica di Beowulf?
La risposta più onesta, dice Shippey, sarebbe: «Cari esaminatori, poiché nessun verso della poesia gotica è sopravvissuto, non ne ho idea». Incapaci di rispondere onestamente, gli studenti dovettero faticare per soddisfare gli esaminatori esigenti.
La perdita della letteratura gotica non fu, tuttavia, l’unica cosa di cui Tolkien si dispiaceva. Nel 1973, l’anno in cui morì, durante un pranzo con il suo amico padre Robert Murray, disse che «uno dei più grandi disastri nella storia europea fu il fatto che i Goti divennero ariani», un’eresia per la Chiesa cattolica, di cui era un fedele. La conversione all’arianesimo fu precisamente ciò che, per Tolkien, impedì al gotico di diventare una delle lingue liturgiche occidentali. In quel momento, ricordò Murray, Tolkien si alzò e recitò il Padre Nostro in gotico. Non era la prima volta.
Un altro amico di Tolkien, George Sayer, ricordava il Professore che faceva un esorcismo su un registratore vocale con la preghiera del Padre Nostro in gotico, poco prima di registrare estratti de Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli. La preghiera recitata da Tolkien è questa che segue, trascritta dallo stesso Tolkien negli anni Cinquanta.
L’alfabeto utilizzato è, ovviamente, quello sviluppato dal vescovo Ulfila 1600 anni prima e la preghiera si trova anche nella Bibbia d’argento (Uppsala, DG1, ff.4v-5r). Nell’ultima riga del foglio 4v, con lettere d’oro su un foglio piuttosto sbiadito, c’è l’inizio della frase, che continua nel foglio 5r.
Secondo Drout Tolkien conosceva certamente il Codex Argenteus, probabilmente dall’edizione simile a quella del 1927, e afferma che il codice potrebbe averlo persino influenzato. Drout osserva anche che le lettere gotiche della Bibbia d’argento sono «sorprendentemente simili» ad alcune lettere dell’alfabeto che l’Orso Bianco ha creato, sulla base dei disegni dei goblin, nelle Lettere da Babbo Natale. Io personalmente vedo questa somiglianza come qualcosa di fortuito – e non troppo sorprendente – ma data l’importanza della lingua per Tolkien, è molto ragionevole presumere che la Bibbia d’argento lo abbia influenzato in altri modi. In ogni caso, per Tolkien la lingua gotica era associata a una perdita irreparabile. In una conferenza disse che, «quando si tratta dei Goti, non si può fare a meno di lamentarsi, se non per quello che avrebbe potuto essere, almeno della nostra scarsissima documentazione di quello che era […] della scomparsa della loro tradizione, della loro letteratura, della loro storia e della maggior parte della loro lingua».
Per quanto frammentato sia giunto a noi, tuttavia, il linguaggio gotico ha acquisito molta vitalità con l’entusiasmo e la professionalità di Tolkien, e per questo motivo potrebbe non essere considerata una lingua morta. Per Tom Shippey, «la sensazione di perdita è onnipresente nelle opere di Tolkien, sia accademiche che di fantasia: la perdita linguistica, la perdita culturale, la perdita immaginativa. Innumerevoli volte Tolkien cerca di riparare quelle perdite».
In seguito una telefonata anonima ricevuta esattamente un mese dopo la rapina del ‘95, il bifolio e le copertine del Codex Argenteus sono stati ritrovati negli armadietti della stazione centrale di Stoccolma. Oggi sono in mostra permanente presso la biblioteca dell’Università di Uppsala.
Bibliografia
- Henry Bradley, The Story of the Goths from the earliest times to the end of the gothic dominion in Spain, G.P. Putnam’s Sons, 1888
- Michael D.C.Drout, ‘Manuscripts, Medieval‘, in J.R.R. Tolkien Encyclopedia: scholarship and critical assessment, Routledge, 2007
- Wayne G. Hammond, Christina Scull, The J.R.R. Tolkien Companion and Guide: Reader’s Guide, 2 edn, HarperCollins, 2017
- Neil Kent, A Concise History of Sweden, Cambridge University Press, 2015
- Catherine McIlwaine, Tolkien: Maker of Middle-earth, Bodleian Library, 2018
- Tom Shippey, The Road to Middle-earth, Revised Edition, HarperCollins, 2005
- Shippey, ‘Goths and Romans in Tolkien’s imagination’, in J.R.R. Tolkien: the Forest and the City, ed. by Helen Conrad-O’Briain and Gerard Hynes, Four Courts, 2014
- J.R.R. Tolkien, ‘English and Welsh’, in The Monsters and the Critics and Other Essays, ed. by Christopher Tolkien, HarperCollins, 2006
- Tolkien, The Letters of J.R.R. Tolkien, HarperCollins, 2006
© 2020 by Eduardo Boheme. Translated with the permission of the author. Boheme’s original article in Portoguese can be found here: https://tolkienista.com/2019/11/01/tolkien-o-gotico-e-um-livro-roubado/
Traduzione di Erie Rizzi Neves