Tolkien e la natura ostile: le conseguenze delle ferite inferte dall’uomo

di Stefano Tagliaboschi


La Natura è un elemento centrale in tutta l’opera de Il Signore degli Anelli. Molteplici sono i luoghi naturali quali foreste, laghi, fiumi, ecc. dove la bellezza, la serenità, l’armonia che ne promanano sono chiaramente rappresentati e percettibili. Alcuni hanno parlato della Natura come il decimo membro della Compagnia dell’Anello, per la sua onnipresenza nel viaggio dei protagonisti, fino al compimento della missione finale. Però, se molti sono i luoghi naturali ameni e seducenti, vi sono anche dei luoghi e delle forme della natura che risaltano per loro ostilità. Sembrerebbe strano in un’opera del genere, dove Tolkien ha profuso molto del suo amore per la natura, trovare degli elementi della natura ostili all’uomo e alle creature della Terra di Mezzo. I luoghi ed elementi che risaltano per loro ostilità e avversione sono: la Vecchia Foresta, gli Ucorni, le Paludi Morte. Anche Mordor si inquadra in tale visione, ma richiederebbe un’analisi a parte.

Perché Tolkien ha inserito tali elementi negativi e ostili nella sua narrazione? Rileggendo ad esempio le descrizioni della Contea, di Gran Burrone o di Lorien, spicca l’accezione positiva e incantevole della natura, una natura amica e favorevole all’uomo. Esaminando ciascuno degli elementi ostili, si nota che alla base di questa avversione vi sono uno o più elementi scatenanti che l’hanno generata.

La Vecchia Foresta tentò di allargare i propri confini fino alla Siepe che la separava dalla Contea e allora fu oggetto di un duro attacco da parte degli Hobbit della Terra di Buck, i quali: «Vennero, tagliarono centinaia di alberi, facendone un gran falò in mezzo alla Foresta; poi bruciarono tutto il terreno compreso in una lunga fascia a est della Siepe. Dopo questa sconfitta, gli alberi rinunciarono ad attaccare, ma divennero nemici dichiarati» [1]. Così quando i quattro Hobbit si introducono nella Vecchia Foresta fin da subito percepiscono l’avversione degli alberi: «Tutti si sentivano molto a disagio ed erano pervasi da un certo malessere, sentendosi osservati con una disapprovazione che giungeva alla malevolenza e persino all’ostilità» [2]. Alla fine la Vecchia Foresta li costringe a seguire il suo contorto percorso, fino a giungere nelle grinfie del Vecchio Uomo Salice, che tutto governa nella Foresta e che, inducendo al sonno i quattro Hobbit, ha come obiettivo di inglobarli nel suo tronco. Solo Sam non cade vittima dell’incantesimo soporifero, ma neppure lui può nulla contro l’Uomo Salice. Solo l’arrivo di Tom Bombadil permette ai quattro malcapitati di salvarsi e riuscire a uscire dalla Vecchia Foresta. L’ostilità della Vecchia Foresta è generata da una disarmonia, un disequilibrio generato dall’uomo. Solo Tom Bombadil, che invece è in armonia con la natura, può dominarla realmente e senza violenza. Con il semplice canto della sua voce ordina al Vecchio Uomo Salice di lasciare gli Hobbit: «Tom appoggiò le labbra sulla fessura e si mise a cantare con voce dolce e suadente» [3].

Poi vi sono gli Ucorni. Essi erano in origine degli Ent, pastori di alberi, che lentamente sono divenuti sempre più simili agli alberi. Pur conservando ancora qualche caratteristica degli Ent, «sono diventati strani e selvaggi. Pericolosi. Sarei terrorizzato se li incontrassi da solo, senza la compagnia di veri Ent che li sorveglino» [4]. Nel caso degli Ucorni, la causa scatenante che li ha portati verso questo stato di avversione è stato il diradarsi sempre maggiore delle foreste ad opera dell’uomo, tanto da perdere interesse essi stessi nella cura degli alberi e divenire così degli esseri ostili, selvatici e semiaddormentati. Anche il Vecchio Uomo Salice che controlla la Vecchia Foresta sembra essere egli stesso uno degli Ucorni. Essi hanno perso la loro armonia con la natura. Solo i veri Ent, ancora in armonia con la Natura, possono dominare e vigilare sugli Ucorni.

Infine, vi sono la Paludi Morte. Esse in origine erano molto più esigue di quanto possono constatare Sam e Frodo nel loro viaggio. Ma in tempi lontani vi fu una grande e terribile battaglia nei loro pressi, che provocò un numero elevato di morti tra Elfi, Uomini e Orchi e così esse lentamente si allargarono, ingoiando i corpi dei caduti. Con le sue fiammelle, la Palude, anch’essa dotata di una volontà propria ostile, cerca di trascinare i tre viaggiatori nelle sue acque putride. La Palude è il simbolo della morte e della distruzione portata dall’uomo. Per mettersi in salvo, i tre viaggiatori sono costretti a districarsi fra i suoi labirintici sentieri.

La disarmonia con la Natura e con le sue creature porta a una sua trasformazione: da entità amena o, nel peggiore dei casi, indifferente, essa diventa ostile e minacciosa. I cambiamenti indotti dall’uomo possono produrre, nella Natura, ferite tali che essa poi si ribelli all’invasione umana, per cercare di arginarla e difendersi da essa. Il disequilibrio e la distruzione portano a un allargamento ulteriore dell’ostilità e della morte, in un circolo vizioso sempre più grande. La Vecchia Foresta diventa sempre più ostile, man mano che gli uomini diffidano di lei. Gli Ent sempre più si trasformano in Ucorni, man mano che le foreste si assottigliano. La Palude si allarga sempre più, man mano che la morte lambisce i suoi confini.

Solo essere in armonia con la natura permette di dominarla realmente, ma non di un dominio fatto di possesso: un dominio fatto di autorevolezza e rispetto.  In ciò traspare ancor di più l’amore di Tolkien per la natura. Una natura libera non soggiogata dall’uomo, ma da esso valorizzata e difesa, come il più alto membro di essa nel Creato.

[1] J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, La Compagnia dell’Anello, cap. VI “La Vecchia Foresta”, ed. Rusconi, 1998, p. 156.
[2] Id., 156-157.
[3] Id., 167.
[4]  J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, Le Due Torri, cap. IX  “Relitti e alluvioni”, ed. Rusconi, 1998, pp. 686.

Alberto Nutricati
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