di Maria Laura Piro
Inghilterra, 1963
«Di solito, quando uno scrittore muore, i suoi libri dopo circa quattro anni non vendono più. Ma lei non deve preoccuparsi di questo.»
«Cos’è questa storia? Il mio segretario americano che mi dice di non preoccuparmi?»
«Il motivo per cui non deve preoccuparsi è che i suoi libri sono veramente belli, e i suoi lettori non sono così stupidi!»
Il 2020 ha visto la scomparsa di due uomini che hanno dedicato la propria vita non ad una loro opera personale, ma a continuare il lavoro di qualcun altro. Il 15 Gennaio è morto Christopher, figlio di J. R. R. Tolkien; il 7 Dicembre si è spento all’età di 89 anni Walter Hooper, segretario ed esecutore letterario di C. S. Lewis, il grande amico di Tolkien e insieme a lui membro degli Inklings. Nato il 27 Marzo 1931 nella piccola cittadina di Reidsville, nel North Carolina, Walter McGehee Hooper da giovane studiò Inglese e Pedagogia all’università e servì per due anni nell’esercito americano. Lesse per la prima volta gli scritti di Lewis negli anni ’50 mentre studiava Inglese all’Università del Kentucky, e durante la sua esperienza militare si procurò diversi libri dello scrittore inglese. A causa della difficoltà nel reperirli, l’approccio iniziale di Hooper nei confronti di Lewis fu abbastanza variegato. Il primo scritto che ebbe la possibilità di leggere fu l’introduzione di Lewis alle Letters to Young Churches, una traduzione in inglese delle lettere del Nuovo Testamento pubblicata nel 1947 da J.B. Phillips, e continuò con qualunque titolo riuscisse a trovare: Miracoli, Le lettere di Berlicche (opera dedicata a Tolkien), Arthurian Torso, La letteratura inglese del Sedicesimo Secolo e Il leone, la strega e l’armadio. D’altronde Lewis, professore di lingua e letteratura inglese ad Oxford, era una mente dotata di capacità logica acutissima e le sue opere vanno dai numerosi saggi alle riscritture di miti classici, fino ai romanzi fantasy e persino di fantascienza. Come scrisse Tolkien :
La fantasia è una naturale attività umana, la quale certamente non distrugge e neppure reca offesa alla ragione, né smussa l’appetito per la verità scientifica, di cui non ottunde la percezione. Al contrario: più acuta e chiara è la ragione, e migliori fantasie produrrà [1]
Hooper iniziò una corrispondenza con Lewis che li portò ad incontrarsi nel Giugno del 1963 in Inghilterra durante una summer session all’Exeter College. Il primo incontro andò molto bene e le chiacchierate fra i due si fecero più frequenti. Lewis, che non godeva più di ottima salute, chiese ad Hooper di iniziare a collaborare con lui in maniera informale, fino a che gli propose di restare in Inghilterra come suo segretario. Purtroppo, mentre Hooper era momentaneamente tornato negli Stati Uniti, Lewis morì ad Oxford il 22 Novembre 1963 (stesso giorno dell’assassinio di Kennedy). Due mesi dopo, nel Gennaio del 1964, Walter Hooper tornò in Inghilterra:
Ricordo che, poco dopo la sua morte, andai da Blackwell (famosa libreria, N.d.R.) e vidi un intero tavolo dei suoi libri abbandonati lì, e pensai “This calls for a fight”[2]
Fu così che iniziò ad occuparsi del patrimonio letterario di C. S. Lewis. Affinché restassero in stampa diverse sue opere (Il Cristianesimo così com’è, L’abolizione dell’uomo, Il problema della sofferenza, Il grande divorzio), Hooper entrò in trattative con gli editori e nel decennio seguente, mantenendosi come insegnante part-time, compì moltissime ricerche fra gli scritti di Lewis; fu lui a curare l’edizione di numerosi volumi dei suoi scritti e a proseguire nella ricerca ed edizione di lettere, saggi, racconti e materiale inedito di ogni tipo; infine scrisse tre libri su Lewis e tenne numerose conferenze ed incontri su di lui. Hooper non fu il solo a prendersi cura di questa estesa eredità letteraria: anche Warren Lewis (fratello maggiore di Lewis e membro degli Inklings), Owen Barfield (anch’egli membro degli Inklings) e Douglas Gresham (figlio di Joy, moglie di Lewis) diedero importanti contributi, ma nessun altro fu essenziale come Walter Hooper con il suo impegno durato più di cinquant’anni. Come ha scritto nel necrologio il Wade Center, un centro di ricerca statunitense che si occupa di alcuni autori cristiani fra cui Lewis e Tolkien, “Ogni studioso di Lewis è profondamente in debito con il grande lavoro di Walter Hooper”.
L’incontro con Tolkien
In un’intervista del 1998 di Joseph Pierce a Walter Hooper, questi raccontò il suo primo incontro con Tolkien, avvenuto solo dopo la morte di Lewis.[3] Inizialmente, Tolkien affermò di avere solo mezz’ora da dedicare ad Hooper (molti gli chiedevano un appuntamento ed era sempre impegnato) ma poi lo invitò a trattenersi più a lungo. Durante l’incontro, Tolkien si disse dispiaciuto perché a suo parere Lewis non gli aveva dedicato abbastanza tempo, al che Hooper rispose che dal punto di vista di Lewis era Tolkien a non averlo fatto. Incomprensioni tra amici, involontarie ma che causano sofferenza. Secondo Hooper, in seguito Tolkien rimpianse che entrambi si fossero fatti prendere troppo dagli impegni
But you just don’t really believe your friends will die.[4]
Dopo un’ora circa, Tolkien accompagnò Hooper alla porta dicendogli di contattarlo quando voleva e ripetendogli le parole che aveva detto all’inizio dell’incontro, cioè che comprendeva il suo dolore per la morte di Lewis. Anche Edith, la moglie di Tolkien, salutò Hooper e gli espresse di cuore le sue condoglianze. Ciò colpì moltissimo il giovane studioso: nonostante Lewis fosse uno dei più cari amici di vecchia data di Tolkien, il Professore non diede per scontato che il proprio dolore per la perdita dell’amico fosse più rilevante rispetto a quello di Hooper che aveva conosciuto Lewis solo per poco tempo, anzi riuscì ad intuire il dolore di Hooper e il forte legame che si era creato con Lewis. Hooper comprese quanto Tolkien fosse profondamente empatico, a suo parere più di Lewis, per carattere e probabilmente anche per il fatto di essere un uomo sposato da tanti anni. Lewis aveva invece una personalità più interessata ai concetti e alla speculazione.
Tolkien e Lewis
Pierce chiese ad Hooper quale fosse secondo lui l’eredità di Tolkien e Lewis.
Sapevano che il genere di libri che scrivevano era il genere di libri che sarebbe piaciuto leggere loro. Non scrivevano per essere avant garde.
I due avevano molto in comune, si stimavano a vicenda e furono l’uno per l’altro punto di riferimento e di confronto. Lewis fu entusiasta de Lo Hobbit e scioccato da Il Silmarillion; d’altra parte fu grazie a Tolkien che venne pubblicato Lontano dal pianeta silenzioso, il primo romanzo di fantascienza di Lewis.
Scrissero opere diverse, ma entrambi con una rara caratteristica che Hooper nell’intervista definì breathtaking clarity, una limpidezza mozzafiato, una immensa chiarezza e profondità. Nessuno associa la chiarezza con la profondità, ma Lewis era dotato di entrambe queste doti e le infondeva nei suoi ragionamenti, ad esempio quando dice che non possiamo parlare di Gesù Cristo come di un semplice maestro di morale.
“Sono pronto ad accettare Gesù come un grande maestro di morale, ma non accetto la sua pretesa di essere Dio. Questa è proprio l’unica cosa che non dobbiamo dire: un uomo che fosse soltanto un uomo e che dicesse le cose che disse Gesù non sarebbe certo un grande maestro di morale, ma un pazzo – allo stesso livello del pazzo che dice di essere un uovo in camicia – oppure sarebbe il Diavolo. Dovete fare la vostra scelta: o quest’uomo era, ed è, il Figlio di Dio, oppure era un matto o qualcosa di peggio. Potete rinchiuderlo come un pazzo, potete sputargli addosso e ucciderlo come un demonio, oppure potete cadere ai suoi piedi e chiamarlo Signore e Dio. Ma non tiriamo fuori nessuna condiscendente assurdità come la definizione di grande uomo, grande maestro. Egli ha escluso la possibilità di questa definizione – e lo ha fatto di proposito»[5]
Hooper commentò
Qui cogli la profondità e la chiarezza, e quasi sorridi quando ascolti questo perché nella tua mente si forma una verità profonda, ed è chiara. Nessuno direbbe “Puoi rileggere così capisco meglio?”, si comprende subito.
Entrambi scrissero dei romanzi, storie non verosimili, ma per Lewis queste storie erano come stupendi geroglifici o come un fiore il cui profumo ricorda qualcosa che non sai bene definire e quel qualcosa è la vita e la realtà come la sperimentiamo. Può esserci una storia verosimile, in cui i personaggi sono come potremmo incontrarli nella vita reale, ma che non ha il profumo della realtà. In un grande romanzo accade l’opposto: non incontreremo mai Elfi o Ent per strada, ma le loro storie ci parlano di quello che c’è nel cuore dell’uomo, quindi sono storie profondamente vere.
Quando Pierce chiese ad Hooper quali fossero gli aspetti della vita di Tolkien più degni di essere celebrati, egli rispose semplicemente:
Il Signore degli Anelli. Gli sono grato per tutte le sue opere ma, come Lewis, ritengo che il suo capolavoro sia Il Signore degli Anelli. Ricordo che in una lettera Lewis scrisse “Se proprio devi leggere giornali e riviste, alla fine dopo tutto questo sudiciume datti una sciacquata alla bocca con Il Signore degli Anelli.” Tutti leggiamo giornali e riviste scritti con questo orrendo linguaggio moderno e siamo abituati ad una scrittura e ad un’immaginazione scadente, e credo che tutti abbiamo bisogno di un gran bel libro con cui “sciacquarci la bocca” una volta all’anno. È assolutamente necessario.
L’incontro con Giovanni Paolo II
Karol Wojtyla lesse e apprezzò le opere di Lewis quand’era vescovo di Cracovia e, per far sì che venissero tradotte in polacco, alla fine degli anni ‘60 contattò Walter Hooper. Nel frattempo Hooper era stato ordinato ministro Anglicano, diacono nel 1964 e sacerdote nel 1965, fino alla conversione al Cattolicesimo che avvenne nel 1988. Nel 1984 Hooper ebbe l’occasione di conoscere personalmente il Pontefice e ci restituì un racconto memorabile di quell’incontro:
Quando il Papa entrò nella stanza, fu come se Aslan stesso fosse arrivato. Era la creatura più intensamente virile che avessi mai visto – e aveva già subito l’attentato. Parlammo di Lewis per un po’. Il Papa mi chiese:
“Lei vuole ancora bene al suo vecchio amico, C. S. Lewis?”
“Sì, Santo Padre, sia storgé (affetto) che philía (amicizia).”
“Ah, lei sa che sono un appassionato de I quattro amori[6]!”Alla fine della conversazione il Papa esclamò
C.S. Lewis sapeva quale fosse il suo apostolato”. Per un attimo mi chiesi se dovessi rispondere qualcosa, ma poi the Pope’s roaring voice roared again[7]: “E lo portò a termine!”[8]. La seconda frase fa una grandissima differenza: una cosa è sapere ciò che tu devi fare, un’altra è metterlo in pratica.”
Anche Walter Hooper aveva capito quale fosse la sua missione: prendersi cura dell’opera di C. S. Lewis, che ai suoi occhi era semplicemente molto bella e vera, e meritava di essere conosciuta da più persone possibili. Fu una guerra, come ebbe ad intuire quel giorno da Blackwell, ma la portò a termine. Hooper fu un uomo generoso che si prese cura per tutta la sua vita di qualcosa che non gli apparteneva direttamente, così come fece Christopher Tolkien. Forse la dedizione di Christopher ai nostri occhi è più comprensibile trattandosi dell’eredità paterna, ma che dire di Walter Hooper? Può veramente essere appagante dedicare tutta la propria vita ad un’altra persona? Durante una conferenza tenutasi di recente in Slovacchia glielo chiesero. Egli rispose senza esitare:
È stato meraviglioso. Volesse Dio, rifarei tutto
Note
[1] Tolkien – Sulle fiabe, in Albero e Foglia.
[2] “Questa è guerra, bisogna lottare”
[3] La data non è certa: secondo una fonte avvenne nel Gennaio del 1964, poco dopo la morte di Lewis; secondo un’altra invece Hooper non avrebbe incontrato Tolkien prima del 1967.
[4] “Non si riesce a pensare veramente che i propri amici moriranno.”
[5] C.S. Lewis – Scusi… Qual è il suo Dio?
[6] The four loves è un libro di Lewis sui quattro tipi di amore: Affetto, Amicizia, Eros e Agápe.
[7] “La ruggente voce del Papa ruggì di nuovo”
[8] Walter batteva il pugno sul tavolo ogni qual volta che raccontando la storia, arrivava a questo punto.
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