Tolkien evangelizzatore /3

 

Il risultato di ciò è la disarmonia degli Orchi: un allontanamento dalla forma “elfica” originaria dalla quale Melkor trae i suoi schiavi piegati alla sua volontà. Così come gli Orchi sono in sé stessi ‘deviazioni’ degli Elfi anche il loro linguaggio è esplicitamente detto essere una perversione di altri linguaggi22 (a differenza di altre favelle non elfiche come possono essere il Khuzdul dei Nani, ricevuto da Aulë, o le lingue principali degli Uomini, che sono comunque “ricevute” e sviluppate dal rapporto costruttivo con gli Elfi e i Nani stessi23). A questo proposito è interessante notare, come emerge da Unfinished Tales, che gli Orchi stessi sono chiamati dagli Elfi Glamhoth che in Sindarin significa ‘schiera di tumulto’24 a sottolineare il “baccano” prodotto da tale razza deforme. Quindi anche da un punto di vista puramente estetico Tolkien, tramite le sue opere, educa il lettore ad un giudizio, ad una distinzione tra la bellezza “elfica” che trova espressione dalla naturale Concezione di Dio e la bruttezza “orchesca” che ha origine dalla perversione del Male. La volontà di Melkor di piegare la Creazione al suo potere non crea qualcosa di nuovo e armonioso ma rovina le cose esistenti: Melkor può solo ‘corrompere’ o piegare alla propria volontà e, ad ogni modo, le sue azioni di ribellione ad Ilúvatar si trovano comunque infine a sviluppare il pensiero imperscrutabile e benevolo del Creatore25.

Da un punto di vista estetico Tolkien mostra al lettore come il bello possa nascere solo da Dio; ciò che è brutto e ‘distorto’ deriva dal Male e comunque, alla fine, concorre ad arricchire la storia del Creato. L’epica stessa del ‘Silmarillion’ trova il suo sviluppo nella complessità degli eventi narrati e ha come motore, oltre che le azioni positive degli Elfi e dei Valar, anche, e soprattutto, i mali instillati da Melkor. Tornando, pertanto, alla domanda se sia realmente possibile separare Fede di Tolkien dalla sua creazione mitologica la risposta è no: come abbiamo visto con questa breve considerazione sull’estetica tolkieniana in relazione alla teologia del ‘Silmarillion’, l’opera del legendarium rimanda inevitabilmente alla concezione Cristiano Cattolica in cui il Bello deriva dal Creatore e la ‘perversione’, frutto del Male, comunque trova una spiegazione all’interno del ricco e variegato Intreccio Divino.

In conclusione possiamo quindi affermare che l’opera di Tolkien nella sua interezza e nel suo intreccio linguistico e narrativo è espressione di un messaggio che, in un modo assorbito e allocato nell’epica stessa dei racconti, comunica all’Uomo la «grandezza» del Dio Cristiano. Tutta la mitopoeia di Tolkien funge da rimando per il lettore all’Uno: è un’opera di testimonianza di Dio. Il mito non è un inganno ma rispecchia una Verità che è “scritta” nel cuore dell’uomo:

«The heart of man is not compound of lies, but draws some wisdom from the only Wise, and still recalls him. Though now long estranged, man is not wholly lost nor wholly changed.»26

Un lettore di Tolkien si trova naturalmente affascinato dalla sua mitologia perché questa è in grado di risvegliare la ricerca di ‘bellezza’ e ‘rettitudine’ di ogni uomo che, in fondo, coincide con la ricerca di Dio.

Quindi in questo senso Tolkien è un evangelizzatore.

 Enenquë, Maresciallo del Mark

 


22 « The Orcs were first bred by the Dark Power of the North in the Elder Days. It is said that they had no language of their own, but took what they could of other tongues and perverted it to their own liking; yet they made only brutal jargons, scarcely sufficient even for their own needs, unless it were for curses and abuse» – Tolkien, J. (19541955). The Lord of the Rings (HarperCollins 2007 ed.), Appendix F, ‘Orcs and the Black Speech’, pag.1131

23 Nel Silmarillion il Vala Aulë insegna il linguaggio ai Nani: «[…] in the very hour that Aulë’s work was complete, and he was pleased, and began to instruct the Dwarves in the speech that he had devised for them […]» – Tolkien, J. (1977). The Silmarillion (1999 ed.). George Allen&Unwin, chapter 2 ‘Of Aulë and Yavanna’, pag.37 In risposta ad Ilúvatar Aulë spiega che egli non desidera dominare i Nani (come invece Melkor domina gli Orchi, suoi schiavi) ma solamente avere delle creature libere a cui insegnare le sue conoscenze: «I desired things other than I am, to love and to teach them, so that they too might perceive the beauty of Eä, which thou hast caused to be» – Tolkien, J. (1977). The Silmarillion (1999 ed.). George Allen&Unwin, chapter 2 ‘Of Aulë and Yavanna’, pag.37 Gli Uomini, almeno per quanto concerne la Casa di Bëor e la Casa di Marach (da cui deriva il linguaggio Adûnaic degli Uomini di Númenor), costruiscono il loro linguaggio nei contatti con i Moriquendi, gli Elfi Oscuri, della Terra di Mezzo e con i Nani. A riguardo del popolo di Bëor viene detto: «It is said also that these Men had long had dealings with the Dark Elves east of the mountains, and from them had learned much of their speech; and since all the languages of the Quendi were of one origin, the language of Bëor and his folk resembled the Elven-tongue in many words and devices» – Tolkien, J. (1977). The Silmarillion (1999 ed.). George Allen&Unwin, chapter 17 ‘Of The Coming of Men into the West’, pag.163 Nel saggio Of Dwarves and Men si trovano informazioni a riguardo dell’Adûnaico e dell’influenza della lingua dei Nani, il Khuzdul, su alcuni linguaggi degli Uomini: «[Khuzdul] had some features in common with Adûnaic, the ancient ‘native’ language of Númenor. This gave rise to the theory (a probable one) that in the unrecorded past some of the languages of Men – including the language of the dominant element in the Atani from which Adûnaic was derived – had been influenced by Khuzdul» – Tolkien, J. (1996). The Peoples of Middle-earth (2015 ed.). HarperCollins., pag.317

24 «‘Death to the Glamhoth!’ This name, though it does not occur in The Silmarillion or in The Lord of the Rings, was a general term in the Sindarin language for Orcs. The meaning is ‘din-horde’, ‘host of tumult’» – Tolkien, J. (1980). Unfinished Tales (Kindle 1998 ed.). George Allen&Unwin, pag.54

25 A conferma di ciò si vedano le parole di Ilúvatar a Melkor dopo la Grande Musica nell’Ainulindalë: «And thou, Melkor, shalt see that no theme may be played that hath not its uttermost source in me, nor can any alter the music in my despite. For he that attempteth this shall prove but mine instrument in the devising of things more wonderful, which he himself hath not imagined» – Tolkien, J. (1977). The Silmarillion (1999 ed.). George Allen&Unwin, Ainulindalë, pag.5-6

26 J.R.R. Tolkien, Mythopoeia 

Altri articoli