In quel che abbiamo potuto vedere del nuovo film biografico su Tolkien, tra trailer e clip video, emerge la cruciale importanza delle lingue elfiche e dei linguaggi in generale. Per questo ho posto qualche domanda al nostro autore Gianluca Comastri, il quale ci fa un quadro il più possibile sintetico che ritengo assolutamente imprescindibile per farsi un’idea del grandissimo ramo di studi recentissimamente aperto che scopre Tolkien attraverso la cellar door, la cantina di vini magnifici e spettacolari, che è le lingue ed i linguaggi che amava e che ideava lui stesso.
Gianluca Comastri, a partire dai trailer e dalle clip video che sono stati diffusi sui canali ufficiali del biopic “Tolkien” (ad esempio https://www.facebook.com/TolkienFilm/ o il canale Youtube della Fox Searchlight) possiamo vedere come in questo nuovo film le lingue elfiche e la questione dei linguaggi in generale saranno al centro dell’attenzione. Cerchiamo di inquadrare assieme la questione a partire da cosa sanno i tolkieniani d’Italia in merito alle lingue elfiche che andranno a vedere il film a settembre: iniziamo la storia della conoscenza delle lingue e dei linguaggi elfici spiegando che cosa si conosceva di essi prima dei film di Peter Jackson.
Ho molto apprezzato i riferimenti che si colgono nei due trailer. Nel primo si fa intuire che già prima della partenza per la Grande Guerra Tolkien stava lavorando ad almeno una lingua ricostruita e che lo stava facendo in parallelo alla formulazione dei primi abbozzi del legendarium, che poi negli anni divennero i testi del Silmarillion. Pur con qualche piccola licenza riguardo alla cronologia effettiva, questa sequenza è senz’altro aderente alla biografia di Tolkien. Di certo molti spettatori potranno non cogliere da subito il riferimento alla cellar door: si tratta del caso per antonomasia di fonoestetica, vale a dire di parole che sono belle a prescindere dal loro effettivo significato, tra i madrelingua inglesi. Sebbene il termine “fonoestetica” pare sia stato coniato da Tolkien stesso, la bellezza di cellar door era presa ad esempio tipico già dall’inizio del ‘900. Egli ne fa menzione esplicita nel suo saggio English and Welsh del 1955, che in italiano è presente ne Il Medioevo e il Fantastico. Lì Tolkien dice, ad esempio, «in gallese per me le cellar doors sono straordinariamente frequenti, e muovono alla più alta dimensione, le parole nelle quali vi è il piacere nella contemplazione delle associazioni di forma e significato sono abbondanti». Una di queste fu la celebre iscrizione Adeiladwyd 1887, che lo fece innamorare del gallese. Nel secondo trailer, poi, fa capolino la sua predilezione per il finlandese: un bel giorno ne scoprì un testo di grammatica, e letteralmente gli si spalancarono le porte del Reame Beato. I più bei frammenti di Alto-elfico, o Quenya, devono moltissimo alla struttura agglutinante e ai casi espressi mediante desinenze, tipici del finlandese. Ma devo dire che, in base alla mia esperienza, i fan che in Italia vengono conquistati dalle lingue elfiche ma non hanno basi di studio specifiche, inizialmente non sospettano che siano costruite sui modelli delle lingue storiche e vive dell’Europa settentrionale. Tenendo presente che i progressi maggiori si sono avuti solo alcuni anni dopo la trilogia jacksoniana, quando hanno iniziato ad uscire i documenti di Tolkien più densi di concetti primari circa la struttura e le derivazioni delle lingue della Terra di Mezzo, possiamo dire che ai tempi gran parte di tutto ciò era roba da nerd incalliti, pallino di una minoranza nella minoranza (nell’ambito tolkieniano i cultori delle lingue erano considerati poco più che giocherelloni, con i primi studi che si concentravano sull’analisi letteraria e relegavano tutto il resto a divertissement, così si espresse una persona allora piuttosto attiva e nota nell’ambiente, con poco o punto interesse accademico. Il tempo ha reso giustizia alla verità, mi piace pensarlo. Uno degli aspetti tolkieniani che proprio i film di Jackson hanno portato all’attenzione delle masse sono le lingue elfiche tramite gli ampi spezzoni di film in cui i personaggi parlano queste lingue. Non c’è social dove non ci sia almeno uno che va alla ricerca di consigli su come farsi un tatuaggio con il proprio nome “in elfico”.
Ma questa massificazione della conoscenza delle lingue elfiche di Tolkien tramite le due trilogie jacksoniane, oltre all’evidente giovamento dell’ampliamento della platea di interessati, quali svantaggi ha portato? A quante e quali incomprensioni? Quanti e quali errori filologici sono entrati nell’immaginario comune delle persone a partire da quello che potremmo convenzionalmente definire “l’elfico di Jackson”?
L’equivoco di base è quello di cui facevo menzione nella risposta precedente: anni di romanzi fantasy e di giochi di ruolo hanno cristallizzato il concetto che le lingue delle altre razze sono dei costrutti artificiosi, più che artificiali, che hanno la sola funzione di mettere in evidenza l’esoticità di un personaggio o della sua stirpe. Già negli anni della prima trilogia ci fu chi tentò di mettere insieme dei lessici elfici razzolando tutto il disponibile, quindi facendo un macinato misto di Quenya e Sindarin, per campagne di GdR. Quei materiali circolarono con insistenza e ancora oggi c’è chi si rifà a quei contenuti, snocciolando citazioni in “Grelvish” nella convinzione di stare parlando in ottimo elfico della Terra di Mezzo. Aggiungiamo che l’Italia è terra in cui la fa da padrona la filologia classica su quella germanica, anche nelle facoltà di lingue Tolkien è conosciuto come “l’autore fantasy” e pressoché ignorato come eminente filologo delle sue terre. A parte quello, le ricostruzioni per i film non sono un lavoro disprezzabile, sebbene David Salo abbia dovuto indulgere in varie occorrenze al “metodo grelvish” per rendere i dialoghi che voleva Jackson e di cui nei lessici di Tolkien non vi sono le traduzioni genuine corrispondenti: abbiamo così, soprattutto per i frammenti in neo-Sindarin, parole e frasi per le quali Salo (pur sforzandosi di rimanere nel solco tracciato da Tolkien) ha dovuto giocoforza introdurre scelte con un certo coefficiente di arbitrarietà nell’immaginare come Tolkien avrebbe potuto sindarizzare quella parola di cui esiste solo l’equivalente Quenya, o Eldarin Comune…