La notizia delle le trattative per una serie TV su Il Signore degli Anelli ha infiammato gli animi degli appassionati in tutto il mondo. Tuttavia queste indiscrezioni, se confermate, segnano una svolta ben più epocale nell’impatto del fenomeno culturale nato dall’opera di J.R.R. Tolkien sulla contemporaneità.
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Il ruolo della Tolkien Estate
Se la Tolkien Estate non è coinvolta nel nuovo progetto, l’iniziativa di Warner Bros. è difficile che non venga vista come una provocazione o una vera e propria prevaricazione visto il minimo tempo intercorso dal contenzioso. Sarebbe arduo sostenere che Warner non avesse da prima in cantiere la possibilità di intavolare trattative su una serie TV. Se l’Estate non ne era al corrente potrebbe addirittura minacciare nuove vie legali, il che sicuramente scoraggerebbe gli investitori con la minaccia di nuovi blocchi, un suicidio che Warner ha tutto l’interesse di evitare (con un eventuale contenzioso sui diritti che riverbera le incertezze che finora abbiamo espresse). Più probabile dunque che l’Estate ne fosse al corrente: si può pensare che nell’accordo privato tra le parti anche questo progetto sia entrato in discussione e che l’Estate abbia perciò garantito l’assenza di interventi, posto l’evidente interesse di Warner di tutelarsi. Quest’immagine della Tolkien Estate che si limita ad accettare l’emarginazione in cambio di un grande ricavo però non è quella autentica e sarebbe credibile solo a fronte dell’assenza di alternative. Questo, come vedremo, non è il caso.
L’alternativa è ammettere l’idea che la Tolkien Estate sia coinvolta nel progetto e capire cosa questo comporta. È quello che ci apprestiamo a fare.
Se la Tolkien Estate è coinvolta nel progetto, ciò determina una rivoluzione dei cinquant’anni che abbiamo raccontato, implica cioè il potere dell’Estate d’intervenire per la prima volta sull’adattamento delle opere più lette dell’autore sul cui patrimonio letterario esercita tutela. Se esistono basi per un suo intervento una volta, ci sono anche per tutte le successive nelle stesse condizioni. Se è così, allora, la notizia non è e non può essere una serie TV, per quanto titanica sia il singolo progetto. La notizia è che quei diritti e quelle applicazioni sono in un certo senso tornati al detentore originario. Un’aspirazione che probabilmente molti appassionati di Tolkien che guardano con immensa gratitudine all’operato della famiglia Tolkien, a partire dai tolkienisti più acuti, non osano confessarsi. Ma come può essere avvenuto questo, prendendola come ipotesi?
In riferimento al contratto del 1969, o quelle condizioni per cui l’intervento dell’Estate si può verificare sono uniche, o sono permanenti, verrebbe a dire da dire tertium non datur.
Se sono uniche, cioè straordinarie, è per “gentile” concessione del soggetto che ha opzione di consentirle, cioè la Warner che usufruisce dalla licenza Zaentz. Se pure la Warner e la Zaentz possono aver avuto l’interesse di invitare nel progetto l’Estate per seppellire l’ascia di guerra, quale motivo potrebbe spingere l’Estate ad accettare un’offerta una tantum? L’affezionato della Terra-di-Mezzo risponderebbe «per fissare un canone, una trasposizione che sia considerata quella ufficiale» in perpetuum, parodiando il contratto. Ma l’Estate è maturata da decenni e posto che i Tolkien credano che il pubblico accetterà per sempre un’idea di “adattamento definitivo” (cosa che, si devono mettere in pace anche gli irriducibili Jacksoniani, è estremamente ingenua), quali strumenti giuridici si potrebbero mettere in campo a garanzia di questo accordo? Warner accetterebbe mai un veto unilaterale dietro una concessione straordinaria, viste le divergenze così profonde? I rischi di un progetto sotto questi auspici sarebbero tutti a carico dell’Estate sebbene Warner abbia tutti gli interessi a dichiarare “amichevoli” accordi di questo genere.
Anche quest’ipotesi non è perciò sufficientemente verosimile.
Se al contrario sono permanenti, ciò può solo significare che il contratto del 1969 è stato aggiornato e modificato a vantaggio dell’Estate, riconoscendole diritti condivisi che prima non deteneva. In che modo al dettaglio sarebbe osare troppo, ma considerando l’improvvisa risoluzione della causa in via extra-giudiziaria e il quadro della situazione ad oggi, se davvero l’Estate ha competenza sui diritti televisivi che prima non aveva, l’unica possibilità è che le siano stati riconosciuti con valore vincolante: un nuovo contratto che prevede che la Tolkien Estate possa supervisionare ogni adattamento da qui in avanti, con un controllo creativo in cui è riconosciuta come pari dalla distribuzione e dai licenzianti. La causa sarebbe dunque stata risolta con una resa di questa portata della controparte? Per quanto azzardata, le indiscrezioni in nostro possesso puntano verso una soluzione di questo tipo.
Per intravedere delle possibili cause remote di uno sviluppo così sconvolgente bisogna tornare alle ultime fasi note del processo, che non ha concesso nessuna informazione all’esterno per un anno e mezzo. L’atto in riconvenzione della Warner accolto in appello dalla 9a Corte Distrettuale il 28 ottobre 2015 sembrava favorire proprio la major. Tuttavia il contenuto della riconvenzione è il vero nodo cruciale: Warner chiedeva il riconoscimento quale parte lesa perché, a suo a dire, il ripudio dell’Estate delle pellicole di Lo Hobbit aveva causato alla produzione perdite ingenti, danneggiandola significativamente. Per Warner ciò costituiva una violazione del contratto del 1969, di cui la Tolkien Estate è parte contraente; da parte loro i legali dell’Estate ed HarperCollins cercarono di squalificare senza successo la domanda per “prosecuzione malevola” fin dal 2013 attraverso un vizio di forma che in California è riconosciuto dallo statuto anti-SLAPP, declinazione del Primo Emendamento. Ciò sbloccò il caso in querela e controquerela, che aprì una nuova fase della causa il 20 gennaio 2016, quando le parti fissarono un nuovo calendario della disputa, a partire dal recepimento delle mozioni di giudizio sommario delle parti da parte della Corte Distrettuale presieduta dal giudice Andre Birotte Jr., ora con nuovi elementi (comprese nuove deposizioni degli eredi di Tolkien). Si prevedeva che la causa potesse chiudersi un anno dopo, a gennaio 2017, invece la stessa si protrasse fino al 29 giugno 2017 e si risolse per via extra-giudiziaria.
Che Warner Bros. avesse ragione a considerarsi parte lesa non è, dicevamo, la questione che c’interessa. Bensì il fatto che la major riconoscesse alla Tolkien Estate il potere di minare così profondamente ai profitti della trilogia di Lo Hobbit. Di fronte ad un attestato di potenza così significativo e preso atto della volontà della Tolkien Estate di non indietreggiare nemmeno di fronte all’accolta richiesta riconvenzionale (e la facoltà di prevalere in tempo utile), si capisce che la soluzione che Warner Bros. e la Zaentz potevano intraprendere per evitare che l’Estate e nel presente e nel futuro li danneggiasse di nuovo fosse quella di includere in un nuovo accordo contrattuale, o in un aggiornamento del precedente. Acquista così senso al di là della pura formalità la dichiarazione della rappresentante di Tolkien Estate e HarperCollins, Bonnie Eskenazi (dello studio Greenberg Glusker, tra i più importanti legali dell’intrattenimento a Los Angeles), che è stata riportata sui maggiori media solo come dichiarazione del portavoce Warner Bros. (HR) o comune (Deadline), mentre è stata rilasciata tal quale «Le parti sono liete di aver risolto la questione e non vedono l’ora di lavorare insieme nel futuro» (via Courthouse News). A questo punto dev’essere intesa letteralmente e sui medesimi diritti di sfruttamento.