130. A sentirselo dire prima, chi ci avrebbe creduto?
Ma è solo il principio.
Le partecipazioni piovevano a cascata in tutta la settimana precedente quel 20 gennaio. Non è così insolito in situazioni come queste. Molti possono dare un click entusiastico, senza curarsi di dove si trovano, senza curarsi del fatto che a Bologna un gruppo di ragazzi alla loro prima sfida organizzativa attendono ansiosi di scoprire i risultati dei loro sforzi.
Noi lo sappiamo bene, è una fortuna che si riesca a trasformare il 30% dei sottoscriventi virtuali in presenze reali, con i social-media. Con Marco, responsabile e portavoce degli Overhill, e Gianluca ci eravamo confrontati: un massimo di una 60ina di persone, più probabilmente 35-40. Comunque fosse andata, un gran risultato e un bel d’affare per il docente e per tutti gli altri, le premesse per una serata piena di ricompensata e soddisfatta fatica insomma.
Marco arriva al caffè letterario Notturno Sud alle 19.15, una buona ora di anticipo per essere certi di preparare tutto. Nel teatro sotterraneo del bar c’è una lezione di yoga, classico multi-tasking della ristorazione urbana ai nostri giorni. Intanto Elisabetta, lei Ferrarese che ogni mese viene dalla città estense per incontrare i suoi amici Sopracolle, si prepara a salire in macchina col fedele consorte Luca e una videocamera per immortalare la prima dello smial, del corso, di chissà cosa arriverà. Marco vede già i primi arrivati, non senza sorpresa: seduti ai tavoli o appena entrati, ragazzi e meno giovani già chiedono dove si svolgerà la lezione. Il foglio appiccicato sulla porta del teatro (“Corso di Elfico“, recita) non sembra forse una risposta convincente visti i 50-70m² del bar al piano terra. Finito yoga il gestore Riccardo e Marco non perdono tempo per adibire la sala, mentre gli amici arrivano l’uno dopo l’altro: Ivan, Lorenzo, Alex… le necessità organizzative non lasciano molti pensieri per valutare l’evolversi dell’affluenza, né qualcuno di loro si preoccupa di fare su e giù per le scale per riportare le cifre in crescendo. Quando arriva Gianluca, il docente del corso, per entrare nel locale deve farsi largo tra una folla distribuita tra l’interno e il portico esterno. L’effetto è comprensibilmente un poco apprensivo e gli mette una certa fretta, troppa per concedersi una stima. Anche lui è già nel teatro. Marco non tenta di decifrare la tensione sul suo volto, dopotutto il corso è prima suo, poi di tutti loro: è normale, si dice.
Computer e proiettore accesi, luci orientate, le sedie a posto, sono le 20.15, si spacca il minuto. Marco sale, apre la porta ed eccoli lì, accalcati e stipati, taluni frenetici. Non si riescono a contare. La reazione di Gianluca non era né soggettiva né esagerata. Marco lascia il pacifico plotone marciare, scendendo, verso il teatro e Gianluca di sotto ne sente i rumorosi passi che non accennano a smettere, mentre pure la sala si colma, gli spazi si fanno più stretti e perfino gli Overhill si posizionano lungo le pareti per far sistemare le decine e decine di persone, con la postazione operativa oramai ritagliata in un triangolino defilato. Qualche preoccupazione corre alle norme di sicurezza, ma si viene subito rapiti dalle facce. La maggior parte sono universitari, oppure neo-laureati, qualcuno di sicuro sarà uno specialista di Lingue, ma c’è anche qualche capello bianco. Nessuno sopra le righe; composti, si siedono (chi può anche per terra, con o senza cuscini) in silenzio e aspettano. Anche Marco rientra in sala, lo strattonano
« Marco, lo sai che una ragazza è venuta da Roma?»
È questo lo scenario che accoglie Elisabetta e Luca.
La videocamera non regge l’impatto, ma sarà l’unica brutta notizia della serata. La lezione comincia e sulle scale gli ultimi arrivati protendono l’orecchio per carpire il più possibile, esclusi purtroppo dalle diapositive. La lezione è un mezzo-patto segreto tra studenti, docente e gli Overhill, però ci dicono che è stata “bellissima, seria, professionale, a tratti veramente divertente“. E Gianluca? “Formidabile“. Ma formidabili anche gli studenti: in prima fila spicca un gruppo di ragazze che non sembrano perdere nemmeno una sillaba per tutte le 2 ore, tanto tese verso Gianluca. Nessuno sfora il quarto d’ora di pausa, mentre il proprietario del caffé si chiede se la dispensa basterà. Tralasciando questa parentesi da Casa Baggins, la lezione sembra dar prova della teoria di Tolkien per cui il linguaggio forma la concezione stessa di ciò che viviamo «… era un corso elfico, e non solo di elfico. Siamo stati per due ore soggiogati da una Canzone di un altro mondo, con un cantore che ci spingeva esperto verso i lidi che lui per primo aveva visto, i mari che aveva navigato». Parole di Elisabetta che ci lasciano l’incanto di Feeria, più che il ricordo di ciò che sia accaduto. I riferimenti a ingressi nascosti in Gran Burrone e Lórien si sprecano nei paragoni dei presenti.
Ma non era una lezione di Linguistica? Nulla di più vero e qualche studente si dimostra lo specialista che s’intuiva, con domande che a fine lezione sfidano il docente per almeno un’altra mezz’ora, lui che specialista lo è diventato (anche se non lo ammetterà), sì, per puro diletto. Un vecchio adagio, evangelico nella sua formula più nota, dice che se un albero è vivo lo si vede dai frutti.
«Un affabile giovanotto mi ha avvicinato all’intervallo raccontandomi che da bambino aveva sognato a lungo sulle pagine di Eldalië, ricavandone pacchi di fogli stampati con le note sulle lingue, aggiungendo di esserne stato affascinato a tal punto da aver poi intrapreso gli studi universitari ed essersi alla fine laureato in lingue indoeuropee.»
Alla faccia di quelli che “L’Elfico non serve a niente!”. «Sapere che c’è stato chi ha costruito le basi di una carriera accademica “per colpa mia” mi ha fatto riflettere su quanto è importante dar sempre corso ai propri sogni, perché da essi, per quanto sembrino insignificanti, altri possono cogliere spunti impensabili per dar corso a qualcosa di assai più bello», ci racconta Gianluca, al di là di ogni aspettativa, spiazzato e commosso. È una delle storie che sono venute a convergere quella sera, la sua è stata ribadita sul blog-giornalino degli studenti dell’Alma Mater, in cui si conferma l’efficacia della didattica così orientata. Elisabetta descrive la risposta dagli studenti da studentessa a sua volta e pure modello:
«Eravamo tanti? Si, ma soprattutto eravamo uno. Una sola risata, un solo silenzio rapito un solo ascolto attento. Gli accenti erano tanti, dal bolognese al fiorentino, e tutti si perdevano nella pronuncia elfica, come se il sogno non fosse ancorato ai discorsi della vita comune[…]: nessun brusio distante: silenzio, risate, sospiri.
[…] Potevamo essere stanchi e accaldati, urtati dal formicolio alle gambe e dalla claustrofobia magari spingendo e prevaricando. Potevamo essere -hoth ma abbiamo scelto di essere -rim.*»
*-hoth e –rim sono in Sindarin (Grigio-Elfico) due suffissi per il “plurale di classe” di tipo generale. Esprimono in genere un collettivo, tipicamente un popolo: -hoth è apparentemente usato solo in senso dispregiativo (analogo forse di “-(i)ath”), mentre –rim è specificamente usato per i vari popoli dei Figli di Ilúvatar. Entrambi i termini esistono anche come termini di senso compiuto e si possono tradurre rispettivamente come “tribù, orda, bolgia” e “popolo, gente, stirpe”.
Tanti, 130. È Ivan che li conta, testa più testa meno. Ma è ormai chiaro che quel numero, così apparentemente chiassoso, si è fatto silente per ascoltare, perché ognuno si è adoperato per esserci, trasversalmente: dalla vicina Modena e dalle altre province di Emilia e Romagna, Pamela viene da Firenze, Alessandra da Prato, Roberto da Verona, Valentina da Vicenza, chi da Cremona e poi ancora Caterina e Margherita da Milano; Ernesto viene addirittura da Teramo. Trasversalmente, per qualsiasi preparazione, perché gli specialisti c’erano ma non erano la maggior parte. Precisa ancora Elisabetta:
«Quando qualcuno ti spiega con passione un paesaggio che ami, ebbene che importa non sapere nulla di geografia o di geologia? Sai che con un’ abile guida le nozioni arriveranno. Nel frattempo puoi goderti la gioia della comunanza, lo sguardo fuggevole alle prossime Montagne, quel singolo attimo che porterai sempre con te.»
Gli Overhill sicuramente, non solo perché è stato il loro “battesimo del fuoco” (e che festa!), ma perché se c’è qualcosa che si può concludere da quella sera del 20 gennaio è che impegnarsi per approfondire la propria passione per Tolkien vale davvero la pena e non si può mai sottovalutare. Troppo difficile? Tutto è cominciato da una sera autunnale a Dozza Imolese, all’Osteria del Borgo, ritrovo prediletto dello smial felsineo. Una sera Marco ha detto a Gianluca:
«Dai Gianluca, potresti farci un corso di elfico! Anche se siamo in pochi, una decina».
Chi l’avrebbe mai detto? Ora, la via prosegue. Tra pochi giorni la seconda lezione inizia a prendere di petto i singoli linguaggi. Si riprende col Quenya, l’Alto-Elfico, la lingua sapienziale dei Noldor. Pronti a navigare per altri mari?
IMPORTANTE: cliccare su “Parteciperò” solo se s’intende effettivamente.
Altrimenti si può usare l’opzione “Mi interessa“.
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Ah, quasi dimenticavamo! I video stanno per arrivare.