“Beowulf”: quale edizione scegliere?

Beowulf – edizione Fazi

Seamus Heaney (traduttore), Massimo Bacigalupo (curatore)
Beowulf
Fazi Editore (marzo 2002)
€ 28
316 pp.

Commissionato negli anni ‘80 dai curatori della Norton Anthology of English Literature e «concluso per passione» (p. 267) nel 1999 in seguito a una svolta personale (di cui parleremo più avanti) che congiunse l’innegabile identità (nord-)irlandese del poeta con «questa storia complessa di conquista e colonia, assorbimento e resistenza, unione e antagonismo» (p. 24). Perché il poeta in questione è nientemeno che Seamus Heaney, «il poeta di lingua inglese più letto, ammirato e studiato di questi anni» (p. 267), la cui carriera poetica gli valse, nel 1995, il Premio Nobel per la Letteratura. La sua traduzione del Beowulf, chiamata dalla critica “Heaneywulf” visto il clamoroso quanto inatteso successo raggiunto in Gran Bretagna, Stati Uniti e Irlanda, è stata pubblicata prima dalla Norton, poi dalla Faber & Faber ed è infine approdata in italiano nel 2002 per i tipi della Fazi Editore, in un’edizione ricca di contenuti che qui analizzeremo. Tuttavia, questa edizione è purtroppo fuori catalogo. Nella speranza che un’edizione così completa e curata possa essere ripubblicata, informiamo i lettori che al momento la si può trovare unicamente nelle biblioteche o nelle librerie dell’usato. Occorre anche aggiungere che sull’edizione di Heaney sono stati versati fiumi di inchiostro, tra chi ha elogiato la sua ars poetica  e chi invece l’ha criticata, ma a beneficio del lettore italiano la introdurremo per come si presenta nell’edizione Fazi.

Incominciamo col dire che l’ “Heaneywulf” fa parte della collana Le Terre della Fazi Editore, curato e tradotto in italiano da Massimo Bacigalupo, professore emerito di letteratura angloamericana all’Università di Genova. L’edizione si apre con l’Introduzione di Seamus Heaney, che si snoda in due parti; seguono i Ringraziamenti del poeta e una Nota sui nomi propri di Alfred David, professore emerito di inglese all’Università dell’Indiana, che ha assistito Heaney nella traduzione dall’originale anglosassone. Troviamo poi la traduzione di Heaney nella versione di Massimo Bacigalupo, con testo a fronte in inglese moderno e in appendice il Testo (anglo-)sassone tratto dall’edizione di C.L. Wrenn e W.F. Bolton (1988). Se non fosse per le Genealogie delle dinastie danesi, svedesi e geate, l’edizione Norton si concluderebbe qui, ma sappiamo che quella Fazi ha invece molto altro da offrire: un Glossario dei nomi con cenni sulla pronuncia, sempre tratto dall’edizione di Wrenn riveduta da Bolton; l’interessante postfazione del curatore Massimo Bacigalupo, “Beowulf secondo Heaney” e, last but not least, il saggio “Beowulf. I mostri e i critici” di J.R.R. Tolkien, che ho già definito nell’Introduzione come pietra miliare degli studi sul Beowulf, qui tratto dalla raccolta Il medioevo e il fantastico, allora edita dalla Luni Editrice (Milano-Trento 2000). Ma veniamo ora alla questione della traduzione. La traduzione è divisa in paragrafi che spesso coincidono con le fitts in cui è diviso il poema; questi paragrafi sono introdotti da glosse ai margini in corsivo che riassumono in poche parole ciò di cui si sta per leggere, per aiutare il lettore a seguire la storia e a guidarlo attraverso il testo. Inoltre, sempre in corsivo sono le digressioni, per segnalare che si sta entrando nel «poema-nel-poema» (p. 12). È inutile negare di trovarsi di fronte una traduzione poetica incredibilmente scorrevole e piacevole da leggere, l’ideale per gli amanti della buona poesia e per chi volesse vedere una trasposizione di un poeta moderno del grande poema epico dei tempi antichi. Il Beowulf di Heaney – o se vogliamo, l’ “Heaneywulf” – è un poema «dallo stile dimesso e colloquiale» (p. 268), ma la lingua che impiega (su cui torneremo estesamente più avanti) è una lingua volutamente, ricercatamente musicale, inserendo qualche allitterazione anche là dove non richiesto dalla rigida osservazione delle sedi metriche del verso anglosassone. Heaney è infatti, seguendo le orme di poeti come G.M Hopkins (colui che «per primo aveva formato il mio orecchio», scrive a p. 19 della sua Introduzione), «un grande creatore di melodie di parole» (p. 267). Ne scaturiscono risultati sorprendenti come questo:

«[…] Suddenly then
the God-cursed brute was creating havoc:
greedy and grim, he grabbed thirty men
from their resting places and rushed to his lair,
flushed up and inflamed from the raid,
blundering back with the butchered corpses.»

(Beowulf, vv. 120-125; p. 36)

O come nell’uso, per lui consueto, dell’allitterazione a chiasmo, per esempio in:

«haunting the marches, marauding round the heath» 
(Beowulf, v. 103; p. 34)

È proprio dalle scelte stilistiche che è sorta la critica. Ma andiamo con ordine. Nella seconda parte della sua Introduzione, la parte a mio avviso più interessante, Heaney scrive che, nel tradurre il Beowulf, giunse a un punto morto. Ciò che gli permise di riprenderlo in mano fu la scoperta del verbo antico inglese þolian “soffrire” sul glossario dell’edizione Wrenn: un verbo scomparso in inglese moderno, soppiantato dal prestito romanzo suffer,ma sopravvissuto nella forma to thole, che, nella parlata locale dell’Ulster, nell’inglese settentrionale e nei dialetti scozzesi significa appunto “soffrire”. Heaney lo collegò a quella stessa parola che «la gente vecchia e meno educata usava nella campagna dove ero cresciuto» (p. 20), nel significato di “sopportare”. Grazie a questo punto di svolta, Heaney si sentì autorizzato a utilizzare, nella sua personale traduzione del Beowulf, «una voce locale familiare, che era appartenuta ai parenti di mio padre, persone che avevo una volta descritto (giocando su loro cognome) come big-voiced scullions (“servi dalla voce grossa”)» (p. 21). Il trait d’union che doveva fondere assieme il «sapore del mio vernacolo originale» (p. 22) alla poesia anglosassone era l’uso di termini locali dell’Ulster, la regione di cui Heaney era nativo, allorché la parola dell’Ulster gli sembrasse «poeticamente o storicamente giusta» (p. 23).

Se ne incontrano molti, nel testo in inglese moderno, di questi regionalismi appartenenti a ciò che Heaney stesso definisce come la «parlata iberno-inglese degli Scullion (Hiberno-English Scullionspeak)» (p. 21): figli di questa scelta sono, per esempio, la traduzione della prima parola del poema, Hwæt, con so (“così, allora”), perché nello Scullionspeak «è un espressione che cancella ogni discorso e narrazione precedente, e insieme funziona come un’esclamazione che richiede attenzione immediata» (p. 21); ma l’elenco può proseguire con That was one good king, riferito a Scyld Scefing, per þæt wæs gōd cyning (aggiungendo “one” per accento colloquiale), con Cain’s clan (“clan di Caino”) per Caines cynne (v. 107), dal gaelico scozzese clann (“figli, progenie, famiglia”). Ci sono all’incirca una dozzina di “ulsterismi” nell’ “Heaneywulf”, come keshes (“dirupi”; v. 1359); hirpling (“gemente”; v. 975), cfr. lo scozzese hirple “camminare con andatura dolorante e/o zoppicante”; wean (“piccolo”; v. 2433), cfr. scozzese wean “bambino”; hoked (“razzolato”; v. 3026), cfr. scozzese howk “scavare”; stook (“fascio”; v. 329) cfr. scozzese stook (“cumulo, mucchio”); brehon (“conte”; v. 1457), dall’antico irlandese brithemain, giudice/giurista dell’Irlanda precristiana;  reavers (“predoni”; v. 163), cfr. scozzese refar “predone” e anglosassone reáfere “predone”; bothies (“capanne”; v. 140), dallo scozzese bothy “capanna”; graith (“abiti”; v. 324), dallo scozzese graith “abito, armatura”; bawn (“fortilizio”; v. 721), dall’irlandese bó-dhún “forte per bovini”.

L’Hiberno-English è l’inglese parlato in Irlanda, ma come è possibile notare dall’origine di queste parole, il dialetto di Heaney, quello dell’Ulster, è imparentato con lo scozzese, poiché vi erano molti insediamenti scozzesi nell’Ulster ed esso deriva inoltre dalla varietà di antico inglese parlato in Northumbria (il regno più settentrionale dell’Eptarchia anglosassone). Ora, la presenza di termini dialettali e obsoleti che tendono all’arcaismo tipici dell’Hiberno-English, è la scelta che più viene contestata a Heaney dalla critica. C’è infatti chi accusa Heaney di volersi appropriare, attraverso l’uso di questi “ulsterismi”, del celebre poema anglosassone, per attribuirgli connotati irlandesi che non gli appartengono, se non addirittura per richiamare il conflitto politico tra Irlanda e Regno Unito. Anche il curatore Massimo Bacigalupo non ha potuto fare a meno di notare, nella sua postfazione, che «Heaney ha tradotto Beowulf appropriandosi – con mossa sacrilega simile a quella del ladro del tesoro incantato – del primo monumento della letteratura inglese» (p. 272).

Ma c’è anche chi, come Chickering, contesta la scelta di Heaney perché sarebbe «un cattivo servizio per gli studenti far sembrare che nel poema originale vi fosse un amalgama di inglese e irlandese»[23], visto che nel Beowulf non sono presenti termini gaelici, anche perché spesso (come clan, brehon, bawn) si riferiscono alla storia irlandese o alla cultura gaelica. Sarebbe paradossale, quindi, per un lettore che magari sta leggendo il poema per la prima volta, trovarsi di fronte a note che spiegano i termini in Hiberno-English adottati dal traduttore. Tuttavia, aggiungo io, è come se si creasse un doppio fondo tra il piano della narrazione e la lingua impiegata: nel Beowulf si parla di fatti – alcuni più storici, altri leggendari – che avvengono in Scandinavia utilizzando l’anglosassone come lingua (il primo grande poema epico della letteratura inglese non è ambientato in Inghilterra!), così come Heaney traduce l’anglosassone utilizzando talvolta l’inglese parlato in Irlanda. Ma questa, ribadiamolo, è una contesa che ha senso per chi è obbligato a leggere la traduzione nell’originale in inglese moderno. In fondo, con il Beowulf, Heaney ha dato vita a un’opera letteraria completamente nuova (tanto che alcuni credevano di avere tra le mani una sua nuova opera inedita), in cui la storia del primo grande poema epico anglosassone viene vista, per la prima volta, attraverso gli occhi di un irlandese[24].

«Allora. I Danesi delle Aste nei giorni andati
e i re che li ressero ebbero coraggio e grandezza.
Abbiamo udito le campagne eroiche di quei principi.
Vi fu Shield Shafson, flagello di molte tribù,
distruttore di panche dell’idromele, spietato fra i suoi nemici.
Questo terrore delle truppe di palazzo veniva da lontano.
Trovatello in origine, ebbe fortuna più tardi
quando il suo potere crebbe e il suo valore fu provato.
Alla fine tutti i clan sulle coste circostanti
oltre la via delle balene dovettero sottomettersi
e pagargli il tributo. Egli fu buon re.»

(Beowulf, vv. 1-11b; p. 31)

Note:

[23] H. Chickering, “Beowulf and ‘Heaneywulf’”, cit., p. 173

[24] Cfr. S. Geremia, “A Contemporary Voice Revisits the Past: Seamus Heaney’s Beowulf”, in Estudios Irlandeses, Number 2, 2007,p. 58