Il 21 settembre 1937 sugli scaffali delle librerie inglesi giungeva uno strano volume intitolato The Hobbit. Si trattava dell’opera prima di un professore universitario di Oxford di nome John Ronald Reuel Tolkien che narrava le avventure di una altrettanto strana creatura, un signore appartenente a una razza di bassa statura chiamato Bilbo Baggins che di punto in bianco veniva strappato alla tranquillità della sua casa interrata e trascinato in una insolita avventura. Attraversò le lande della Terra di Mezzo come membro di una compagnia di 13 nani e una specie di stregone, imprimendosi per sempre nell’immaginario dei lettori di ogni età. Ottantadue anni fa, quella che l’autore aveva pensata come una fiaba per i suoi figli divenne un best seller di proporzioni insospettate, che sarebbe stato poi tradotto in oltre 40 lingue e avrebbe dato il via a un fenomeno culturale di cui noi stessi (non solo e non tanto chi scrive, bensì soprattutto voi che leggete) siamo parte e testimonianza.
Tolkien ricorda in una sua lettera del 1955 a W.H. Auden (la n. 163) che, alla fine degli anni Venti, quando era professore di anglosassone al Pembroke College, The Hobbit spuntò inopinatamente dalla sua penna su certe carte scolastiche su cui stava lavorando, sul retro di una delle quali scrisse le parole “In un buco nel terreno, c’era un hobbit”. All’epoca non andò oltre, anche se negli anni successivi elaborò varie altre caratteristiche collegate a quella nota e al mondo da cui sembrò essere stata espunta, comela mappa di Thrór, le caratteristiche geografiche dei luoghi in cui man mano prendeva forma racconto e altri del genere. Così, negli anni ’30, il volume con la storia della Cerca di Erebor fu dato alle stampe essenzialmente perché Tolkien lo prestò alla Reverenda Madre di Cherwell Edge mentre era alle prese con l’influenza; in quella circostanza il manoscritto capito nelle mani e sotto gli occhi del figlio dell’editore Sir Stanley Unwin, Rayner, che con i suoi dieci anni era certamente nella posizione migliore per dare una prima recensione di quel testo. Il responso di Rayner fu entusiasta: il resto è storia. E a fare la storia contribuisce anche un raro documento filmato, in cui Tolkien racconta a distanza di molto tempo quell’episodio che segnò per sempre la sua vita e le nostre:
Di lì un numero sempre crescente di lettori, non soltanto ragazzi, si innamorò di quel Bilbo, tanto da animare un movimento che chiedeva a gran voce “un seguito” per quell’affascinante storia. Seguito che oggi sappiamo essere qualcosa di molto altro, di ben più ricco e corposo. Ma fu grazie a The Hobbit che la cosiddetta “subcreazione” di Tolkien, la Terra di Mezzo crebbe rapidamente in popolarità e creò i presupposti per il ritorno in auge di un genere letterario, il racconto fiabesco mitologico, che finì poi per dare il via anno dopo a un nuovo filone narrativo – poi consolidatosi in un genere con varie ramificazioni. Così, più di ottant’anni dopo, l’opera di quel professore oxoniano un poi bizzarro è tuttora all’apice di un’ondata di entusiasmo sfociata in una serie di opere derivate di non minor impatto sul pubblico (per quanto non tutte di analoga portata culturale, peraltro).
Già in quel suo libro d’esordio (come narratore, ché la sua professione gli dava una certa familiarità con le pubblicazioni seppure di altra natura) Tolkien introdusse o menzionò personaggi e luoghi che figuravano in primo piano nel suo legendarium, insieme ad elementi che si ricollegano alle più note mitologie germaniche. Tuttavia la decisione che gli eventi di The Hobbit appartenevano allo stesso universo di quello che decenni più tardi abbiamo potuto conoscere come The Silmarillion fu presa solo dopo il successo anche maggiore de The Lord of the Rings.
Pur essendo redatto in tono fiabesco, il racconto è complesso e sofisticato: contiene nomi e citazioni derivate dalla mitologia norrena, elementi centrali della trama dell’epopea del Beowulf, si avvale di rune anglosassoni, informazioni su calendari e fasi lunari e descrizioni geografiche dettagliate che ben si adattano alle mappe in accompagnamento. Verso la fine, poi, il tono del racconto cresce fino a raggiungere toni che non a torto si possono definre epici.
Breve storia editoriale (da Tolkien Gateway)
George Allen & Unwin, Ltd. di Londra pubblicò la prima edizione di The Hobbit il 21 settembre 1937. Il volume recava diverse illustrazioni in bianco e nero il cui autore è lo stesso Tolkien. La prima stampa ebbe una tiratura di appena 1.500 copie e andò esaurita già il 15 dicembre dello stesso anno, grazie a una serie di recensioni entusiaste. Houghton Mifflin di Boston e New York ne predispose un’edizione americana che uscì all’inizio del 1938, in cui quattro delle illustrazioni vennero stampate a colori. Allen & Unwin decise di incorporare le illustrazioni a colori nella loro seconda ristampa, pubblicata alla fine del 1937. Nonostante la popolarità del libro, le condizioni imposte dal periodo di guerra costrinsero l’editore londinese a stampare piccole tirature delle restanti due ristampe della prima edizione.
Tolkien in seguito rivide sostanzialmente il testo di The Hobbit che descrive i rapporti di Bilbo con Gollum, al fine di uniformare meglio la storia con quello che era diventato Il Signore degli Anelli. Tale revisione divenne così la seconda edizione, pubblicata nel 1951 sia nel Regno Unito che negli Stati Uniti. Lievi correzioni al testo sono apparse nella terza (1966) e quarta edizione (1978).
Ancora oggi nuove edizioni in lingua inglese di The Hobbit sorgono spesso, nonostante il titolo sia ormai datato. Sono almeno cinquanta le edizioni finora pubblicate. Ognuna di esse proviene da una diversa casa editrice o ha copertine particolari, illustrazioni aggiunte o cambiamenti più o meno sostanziali nel formato. Il testo di ciascuno di essi aderisce generalmente all’edizione Allen & Unwin risalente al momento della sua pubblicazione.