Da “la Storia di Kullervo” a “I Figli di Húrin” 1/3

 

“Kullervo Rides to War”, illustrazione di Akseli Gallen-Kallela


1. Il fascino della Terra del Mito e del Canto

Come sappiamo dalle sue stesse affermazioni Tolkien fu molto influenzato dalla lettura del Kalevala, compiuta mentre era ancora studente universitario, tanto che fu in qualche modo fondamentale per lo sviluppo della sua creatività e la nascita della “Lingua degli Elfi”.
Nel volume curato da Verlyn Flieger che contiene l’opera giovanile e incompiuta de “La Storia di Kullervo”, troviamo anche le due bozze del discorso tenuto da T. alla Oxford University sulla sua fonte d’ispirazione, intitolato “Sul Kalevala” e pronunciato in due occasioni nello stesso periodo in cui compose l’opera letteraria (1914-15) La seconda versione, di cui non vi è prova che sia stata mai esposta al pubblico è successiva: tra il ’19 e il ’21, secondo Douglas Anderson, o tra il ’21 e il ’24 secondo Hammond e Scull ; si tratta comunque di un ampliamento della prima versione che ribadisce e approfondisce gli stessi concetti.

Che cosa allora colpì ed affascinò così tanto il giovane appassionato di mitologia nordica e di saghe? Secondo le sue parole fu proprio quella sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di totalmente diverso da ciò che aveva conosciuto fino ad allora; differente dalle mitologie indoeuropee che conosceva –classiche, norrene e celtiche.
I racconti e i personaggi del Kalevala “Sono profondamente non europei, eppure non possono provenire che dall’Europa.1 “Probabilmente montagne, fiumi, erba e tutto il resto saranno comuni a entrambi. Alcuni animali e piante potrebbero assomigliarsi …. ma quasi certamente sarà quell’indefinibile senso di stranezza e novità a turbarvi o, secondo i casi, a deliziarvi. Gli alberi all’orizzonte si staglieranno in modo diverso, gli uccelli avranno un canto sconosciuto, gli abitanti parleranno una lingua selvaggia e per il momento incomprensibile …”2

I paesaggi che fanno da sfondo sono quelli artici e subartici, una terra di laghi e paludi, e seppure espressione di una geografia mitica (come la Terra di Pohiola) sono tuttavia collocabili in un’area più o meno identificabile che corrisponde ai territori tra Finlandia, Russia e Lapponia; le vicende e i personaggi, tuttavia, non sono indoeuropei e si mostrano molto più primitivi e arcani.
Il mondo del Kalevala corrisponde ad un Altrove che il giovane T. desiderava: nel saggio Sulle Fiabe dirà di essere stato affascinato nell’infanzia dalla narrativa sui Pellerossa perché vi trovava “lingue strane, e sguardi fugaci su un tipo di vita arcaico”, ma di esserlo stato soprattutto dalle Terre del Mito: di Artù e Merlino e del Nord dei Volsunghi e dei Draghi poiché portano impresso il marchio “Made in Faërie”, il sigillo di un Altro Mondo. La medesima sensazione la provò leggendo la raccolta di Lönnrot: un Altrove ancor più alieno e remoto delle saghe che aveva conosciuto sino ad allora: più primigenio e selvaggio. Le parole con cui descrive il paesaggio e le atmosfere del Kalevala, assomigliano a quelle che utilizzerà per parlare di Faërie, molti anni dopo; la caratteristica fondamentale del Reame Incantato è la magia e lo stesso elemento domina i Runi e le vicende narrate nel Kalevala:

“Il piacere della Terra, le sue meraviglie, il bisogno essenziale di magia, il gioco con la luna d’oro e il sole d’argento, il passato universale dell’uomo: questo dobbiamo cercare nel Kalevala”.3

La magia nasce dall’immaginazione poetica di un’umanità arcaica, non ancora “rovinata” dalla razionalizzazione successiva.
L’opera di Lönnrot era stata realizzata raccogliendo i miti dalla viva voce dei cantori, da una tradizione ancora vivente sebbene sempre più residuale; anche se gli studi successivi hanno dimostrato che l’autore intervenne pesantemente sulla struttura, attribuendo ai canti un ordine spesso arbitrario, questo non si sapeva ancora quando T. lesse la raccolta. Si pensava di trovarsi di fronte ad una genuina tradizione orale, ormai perduta nel resto del continente europeo. L’aver messo per iscritto gli antichi miti greci, norreni e celtici, li aveva resi più coerenti dal punto di vista della logica interna, sviluppando arte e letteratura, ma il costo da pagare era stato quello di perdere la freschezza della mitopoiesi delle origini:

“Noi abbiamo acquistato la coerenza della comparazione, la ragionevolezza della nostra storia e la cristallizzazione delle nostre tradizioni al prezzo della perdita di questa freschezza magica e immacolata”4.

Nel Kalevala invece:

“Tutto sembra uscire in quell’istante dalla fervida immaginazione del cantore”5

che ricrea continuamente e in forma inesauribile i temi e le vicende del mito.

“I testi non sono stati rimaneggiati per diventare un esempio morale” e “restano una letteratura troppo sconvolgente per i finlandesi attuali: luterani e rispettosi della legge”.

L’atteggiamento di T. non è quello dell’antropologo che va a caccia di antichi usi e costumi o rituali, ma quello dell’artista attratto dalla prorompente immaginazione creativa dei primordi. La magia, la metamorfosi tra uomo e animale, un universo animisticamente inteso caratterizzano l’atmosfera: il giovane cristiano e convinto del proprio credo non vive tutto ciò come una contraddizione, in quanto

“ci stiamo concedendo una vacanza dall’intero processo evolutivo europeo degli ultimi tre millenni, per una volta diventiamo selvaggiamente non ellenici, barbari”.6

Il fatto che i possibili riferimenti al cristianesimo siano quasi assenti diviene un pregio, fatto che T. sostenne sempre. Se vogliamo ritrovare l’autentica atmosfera mitologica e calarci nel “pozzo delle origini”, dobbiamo farlo fino in fondo. Di fronte alla voce del mito primigenio

ci immedesimiamo ed emozioniamo con una parte della mente diversa da quella che riserviamo alle vere credenze e alla nostra religione”.7

T. è consapevole di vivere nell’epoca del Disincantamento del mondo:

“è ormai evidente che i corpi celesti non sono esseri celesti … niente più isole magiche nel mare occidentale ….Siamo cresciuti e dobbiamo farcene una ragione”8

ma, romanticamente (Schiller, Hölderlin, Kerenyi) e artisticamente, non può che provare una forma di nostalgia per un mondo in cui tutto è vivente e non c’è praticamente distinzione tra esseri viventi e oggetti inanimati; in cui tutto parla, persino la birra; in cui

“ogni fruscio d’albero, ogni collina ha la sua ninfa e il suo spirito, apparentemente diverso dalla personalità di ogni oggetto individuale”9

Vi è scarsa distinzione tra Dei, esseri divini ed Eroi culturali poiché ogni elemento trapassa continuamente nell’altro.
Nella conclusione alla versione ampliata della conferenza, T. afferma che proprio la distanza dall’epoca mitica permette di creare una bellezza artistica che non ha eguali:

“Quando invecchiano le parole perdono qualcosa e allo stesso tempo lo acquistano”;

gli antichi canti riscoperti

“potrebbero ispirare una nuova poesia, come gli antichi canti di altri tempi pagani hanno ispirato altri cristiani; perché solo i cristiani hanno reso Afrodite una meraviglia per lo spirito …”10

Una convinzione che richiama alla memoria la distinzione tra poesia ingenua e sentimentale di Schiller, o l’espressione contenuta nell’Estetica hegeliana secondo cui soltanto il cristianesimo avrebbe introdotto la “fiamma della soggettività”. Tolkien stesso approfondirà questa concezione nei suoi studi sul Beowulf, valorizzando l’opera dell’autore medievale come espressione del passaggio dal paganesimo al cristianesimo.

 


1 Sul Kalevala, in J.R.R.Tolkien, La Storia di Kullervo, a cura di Verlyn Flieger, Bompiani 2016, p.103
2 Idem, p.105

3 Idem, p.139
4 Idem, p.171
5 Idem
6 Idem, p.165
7 Idem, p.179
8 Idem
9 Idem, p.195