di Davide Ridolfini
Una tradizione antica vuole che gli scritti di J. R. R. Tolkien siano fortemente legati alla cultura classica e alle saghe nordiche.
Ciò è così palese da essere ormai fuori discussione.
Più volte, professori della materia si sono espressi in merito alla necessità di richiamarsi, quando si parla del grande scrittore britannico, ai classici celtici, norreni e greci. Con una buona quantità di espressioni lessicali romane, quando si debba parlare di alcuni suffissi e desinenze.
Dal momento che questo non è un articolo di grammatica ma un gioco ludico offerto al lettore, affinché egli possa appassionarsi agli scritti del maestro, si faranno solo alcuni esempi in merito.
Ciò che si vuole sottolineare è innanzitutto l’origine cristiana del mondo di Tolkien. Lo si voglia o no, in principio era il Verbo: queste le prime parole dalla fondazione.
Dunque partiamo “dal debito” con la cristianità; con un singolarissimo quanto pittoresco elemento ebraico. Dal concetto di Razza che, possiamo dirlo come Lévi-Strauss, “esiste ma è meglio relegarlo a mondi fantasma”.
Si può notare scorrendo le pagine del Silmarillion, l’ abbondanza di grecismi e termini presi dalla tradizione antica, cominciando dal principio, ovvero con l’annunciazione della Nascita di Arda. Ed è bene riprendere dal principio, come in fondo lo stesso Silmarillion rivanghi temi della tradizione sacra: con il celebre detto, «In Principio era il Logos», il Capolavoro di Giovanni.
Dunque ripartiamo dal principio.
Si scorge, tra le prime pagine del libro pubblicato postumo, il valore immenso, e subito richiamato, della tradizione cattolica, la religione professata dal nostro maestro. Il richiamo è ai Valar geniti dal pensiero dell’Uno, in quanto essi sono in principio nel pensiero e da esso creati. In omaggio ai Vangeli, e in particolare, a quello più mistico; posteriore.
«In principio era il Lògos, e il Lògos era presso Dio e il Lògos era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui, senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste». Sembra essere fortemente ripreso da ciò che Tolkien vuole scrivere, della creazione del mondo, quasi negli stessi termini ma solo con la differenza che qui non si tratta comunque del libro della Genesi. Mentre nella Bibbia il mondo nasce dalla Genesi, l’autore del Silmarillion trova apporto dalla tradizione evangelica.
E la cosa procede nel modo più avvincente. Tolkien fa dell’Ainulindalë, un canto cantato dai Valar nell’eternità della continuità del vuoto, l’origine di Arda. Quella che molti studiosi hanno individuato come un’antica terra. Diciamo che, per significato, l’inizio del Silmarillion si richiama alla Genesi, perché il Logos del verso di Giovanni è appunto ciò che nella tradizione Cattolica è il figlio di Dio.
D’altronde, inoltrandoci nella creazione del mondo, attraverso un Canto lungo ere innumerabili, entra in gioco tutta la potenza della tradizione classica, della mitologia in senso proprio, più nordica che mediterranea; ma questo unicamente per quanto riguarda la concretezza dei gesti, e il potenziale demiurgico.
Senza digressione, si studi la versione del Silmarillion: «Esisteva Eru, l’ Unico, che in Arda è chiamato Ilúvatar; ed egli creò gli Ainur, […] progenie del proprio pensiero, ed essi erano con lui prima che ogni altra cosa fosse creata. Ed egli parlò loro, proponendo loro temi musicali». Il tema della musica differenzia il testo biblico dal testo dello scrittore.
Non è inusuale, che in uno scrittore di forte tradizione cattolica, vuoi per educazione o vuoi per ispirazione, sia il tema biblico del Creato ciò che abbia ispirato il lavoro da demiurgo. Il punto è che la mitologia straripa dal testo dello scrittore inglese. La relazione filologica è palese.
Alcuni professori alla facoltà di storia, hanno rinvenuto una ben citata somiglianza con il Maia Ossë, servo di Ulmo, Dio del mare e potente servo delle acque, e il re Pirata dell’era minoico-micenea, quella che ogni ragazzo di seconda media studia in riferimento al famoso, e mal tenuto, per quanto estremamente
affascinante, palazzo di Cnosso.
Se si parla dei Valar, ovvero degli Dei, insieme ad Uno, Eru Ilúvatar, fondatori della terra, non si può non riscontrare un’affinità con il politeismo della bibbia dei primi secoli. Un testo, sicuramente, su cui si tornerà.
Si vada avanti. La vera e propria erudizione tolkieniana la si legge, soprattutto, attraverso una serie di conoscenze e di risonanze antiche nei temi dei nomi e delle parole da esso dato alle Potenze fondamentali di questo nuovo mondo, i quali richiamano possentemente i temi della tradizione greca e classica.
Da Tulkas, che ricorda Hercules: ha le sue caratteristiche e ha tutta l’aria di un caso diretto del latino, che potrebbe essere facilmente scambiato con un nobile pastore dell’Attica, d’età greca classica. A Oromë, che però si discosterebbe nel nome e nella radice, affondando, magari, le sue origini in temi nordici.
Anche nomi come Nienna, una delle Valier più note, nonché appassionato spirito del pianto e della Consolazione, sembra essere preso dalla latinità e richiamare la parola nenia-ae, il cui paradigma di prima declinazione e di genere femminile ne conferma la trasmissione anche al nostro italiano nella medesima forma.
Nenia, che significa ninna nanna, è associabile in modo molto importante alla Valië che: «Conosce il dolore e piange per ogni ferita che Arda ha sofferto a causa dei guasti di Melkor [n.d.a. Morgoth]. Così grande fu la sua pena quando la musica si dipanò, che il suo canto si mutò in lamento assai prima che terminasse, e il suono del gemito fu intrecciato nei temi del Mondo prima che questo avesse inizio». Per non parlare delle radici semitiche di Eldar: da “El”, Dio.
Infine, un capitolo a parte merita, con sufficienti notizie ed erudizione, la tesi atta a dimostrare come gli elfi, nella loro suddivisione progressiva dalla genesi di Cuviénen, possano essere paragonati alle dodici tribù ebraiche.