Siamo lieti di annunciare che prende il via oggi un nuovo ciclo di pubblicazioni, con il quale ci proponiamo di indagare e di condividere i vari significati, le molte possibilità e almeno parte delle implicazioni che soggiacciono al concetto di Incontrare Tolkien. Si può affermare che tutti gli appassionati di ogni ordine e grado, discutendone con altre persone in qualsiasi forma e su qualsiasi medium, abbiano sin qui offerto la loro interpretazione dell’incontro col Professore: non ci risulta però che sia mai stato scandagliato il senso stesso di tale incontro. Da qui iniziamo a farlo, evitando dibattiti sui massimi sistemi e ricorrendo alla forma più diretta, disintermediata: il racconto di esperienze e fatti per ciò che sono e per ciò che lasciano in chi vi entra in contatto. Presenta l’iniziativa il presidente dei Cavalieri del Mark, Giuseppe Scattolini.
Carissimi amici, Cavalieri del Mark, Tolkieniani Italiani,
“che ne dici di scrivere una serie di articoli dal titolo “Incontrare Tolkien”, che mettano a tema e discutano i vari modi con cui Tolkien è passato nella cultura e nella società contemporanea, dagli studi fino al cosplay e ai giochi di ruolo, alla ricerca delle radici filologiche e sentimentali di questa passione, nonché il senso che essa ha per le persone, nel tentativo di valorizzare ogni esperienza tolkieniana ponendosi alla ricerca dei perché e alla scoperta dei significati che le persone danno a ciò che fanno, in modo critico e con attenzione al testo?”: è il messaggio che ho mandato a Francesca Flagiello proponendole di scrivere degli articoli per Tolkien Italia.
“Incontrare Tolkien”: pare evidente, fin troppo, quanto ad oggi un libro come Il Signore degli Anelli abbia cambiato la nostra percezione del mondo. Lentamente, poi, è visibile in generale un cambiamento di sguardo che si fa sempre più profondo: da una parte ci sono le persone che parteggiano per la “fantasia”, ed altri che invece rimangono saldi “nella realtà” solida e dura. I primi fuggono, i secondi… dal mio punto di vista fuggono molto più dei primi. Sarò di parte, ma secondo me raccontare la realtà così com’è senza fantasia, il realismo nudo e crudo, è solo un modo per esorcizzare qualcosa che non si accetta o mettere al centro il proprio ego: usare la fantasia invece significa dare vita a un mondo che non solo si accetta, ma si ama, ed il rischio che devi accettare di correre è quello di perderti, perché solo perdendosi si è in grado di ritrovarsi davvero.
Tolkien non avrebbe forse apprezzato la riduzione in blocchi (fantasia contro realismo, ed altri ancora) cui ci ha portato l’assimilazione delle sue opere nel mondo e nella società e nelle menti contemporanee. Tuttavia, avrebbe apprezzato il senso di questa “assimilazione”, e proprio attraverso di esso avrebbe cercato una riconciliazione tra fantasia e realismo, perché in realtà le opere più belle e significative sono tali perché poggiano tutte sulla medesima solida roccia, le ossa di cui questo mondo è fatto e sulle quali si regge.
In base a questa presunta volontà di Tolkien, che ho dedotto dalla sua vita e dalla sua opera di riconciliazione portata avanti in università tra gli studi letterari e quelli linguistici, ho proposto a Francesca la scrittura di questi articoli dal titolo “Incontrare Tolkien”, perché Tolkien lo si può vedere ma non riconoscere, leggere ma non vivere, giocare ma non farlo proprio: si può permettergli di riempire delle ore della nostra giornata tenendolo fuori dalle restanti. Si può permettergli di scrivere nella nostra memoria i nomi dei suoi personaggi, ma impedirgli di scrivere il suo nella nostra anima.
È a questo punto che ci si accorge che non esiste il modo di incontrare Tolkien: non esiste il modo di diventare tolkieniani.
L’accademico che ha letto tutte le opere di Tolkien ed è un grande studioso di anglosassone, sa di tutto e un po’, ha numerosi saggi e libri in attivo, è conosciuto e stimato in tutto il mondo, dove passa lui si stendono tappeti rossi e c’è il suono di trombe e scatti di fotografi… potrebbe allo stesso tempo non aver capito nulla di Tolkien. Nulla.
Invece un appassionato semplice, che legge Tolkien in traduzione, principalmente Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli, a volte anche Il Silmarillion, gli piace il cosplay e cucirsi vestiti e andare in giro con la spada di Aragorn e i capelli lunghi, ha degli amici con cui gioca e sorride e vive bei momenti, e li risente ogni giorno e non ha altro desiderio che vederli… chissà che non sia proprio lui ad aver colto davvero cosa Tolkien avesse da dirci.
Occuparsi di Tolkien ed incontrare sempre più persone e vivere intensamente questo tipo di esperienze, conduce a porsi domande radicali. “Questa storia mi riguarda?”, “Quali sono le speranze per il mio futuro?”, “Quali sono le mie aspettative?”, “Che cosa desidero davvero dalla vita?”
Non credo che si possa dire di essere dei “tolkieniani” senza essersi mai posti queste domande radicali, ed altre ancora, dopo aver letto Tolkien. Perché i testi di Tolkien non possono né essere semplicemente studiati né lasciarci indifferenti né non possono cambiare la nostra vita: io penso anzi che debbano farlo, e che noi dobbiamo lasciarglielo fare.
Recenti avvenimenti, avvenuti proprio grazie a Tolkien, mi hanno condotto a ripropormi con più forza che mai questi interrogativi. Più forza che mai. L’inizio di risposta che mi sono dato è stata una riscoperta di ciò che mi ha condotto a vivere quell’esperienza. Da quando un giorno capii cosa Tolkien stava dicendo a me tramite le parole di Thorin Scudodiquercia a Bilbo, “in te c’è più di quanto tu creda”, mi sono lasciato guidare da quelle parole, ho lasciato che plasmassero la mia vita, ed, ecco la cosa sorprendente e che mi ha letteralmente stravolto, “sorpreso dalla gioia” direbbe Lewis, ho visto che questa mia fede ha plasmato in parte, almeno in parte, anche le vite di altri.
È in questo modo che Tolkien, in modo silente, misterioso, umile, ti cambia la vita e ti apre sempre nuovi orizzonti. Egli diceva che “le radici profonde non gelano”, riferendosi ad Aragorn. Ma quali erano le radici profonde di Aragorn? La sua stirpe, senza dubbio. Ma anche molto altro: ciò cui Tolkien allude nelle sue pagine è sempre molto di più di quanto non vi sia davvero scritto. Le stesse opere di Tolkien sono come un seme che germoglia dentro di noi, che mette radici nelle nostre anime, e, se glielo permettiamo, ci permea tutti arrivando fino in profondità. Queste radici non gelano, ma si rinnovano sempre, ed è proprio così che Tolkien ti cambia la vita: allo stesso modo di una radice che inizia ad incamminarsi nella terra, la scava, la rende più solida dove friabile, se ne nutre ma la arricchisce di più di quanto non le tolga, e man mano arriva sempre più in fondo, sempre più giù, sempre più in basso, senza far rumore, senza farsi notare, ma inesorabilmente. E senza che uno se lo aspetti mai, d’un tratto il paesaggio è cambiato, rinnovato, ed ogni cosa è ancora quella ma non è più la stessa. Le cose sono e non sono quelle di prima, perché sono più ricche di prima, e non puoi far altro che attendere il passaggio del tempo al fine di riscoprire tutto da capo: hai già conosciuto tutto, ma in realtà ovunque posi lo sguardo ti accorgi che finora non hai mai visto nulla.
È così che la nostalgia, nota suprema delle opere di Tolkien, si tramuta in speranza, e la speranza in desiderio, “de-sidera”: giunge dalle stelle il bisogno di raggiungerle, questo è il significato del desiderio ed è la chiave che consente di capire le opere di Tolkien.
“Incontrare Tolkien”, dunque, non può essere di più (come potrebbe?), ma neanche meno, di questo. Spero che questa serie di articoli ci conduca tutti almeno un po’ più vicini a quelle radici profonde che non gelano, al fine di riscoprire il fatto che Tolkien deve cambiare la vita, perché se questo non accade è meglio impiegare altrimenti il proprio tempo. E se state leggendo ed ancora Tolkien non vi ha cambiato la vita ma credete che potrebbe, e soprattutto se lo desiderate, fate così: continuate ad avere fede e fate come tutti coloro cui Tolkien ha già cambiato la vita. Aspettate. Per un seme ci vuole tempo, come ce ne vuole per ripercorrere tutta una contrada che si credeva di conoscere già, ma che in realtà non si era mai vista prima. L’importante è tenere sempre spalancato il proprio cuore.