di Martino Cardani
In un buco nella terra viveva uno hobbit. Non era un buco brutto, sudicio e umido, pieno di vermi e intriso di puzza, e nemmeno un buco spoglio, arido e secco, senza niente su cui sedersi né da mangiare: era un buco hobbit, vale a dire comodissimo.
Lo Hobbit, Capitolo I. Una Riunione Inaspettata
Può apparire assurdo iniziare questa nuova sezione dedicata ai “luoghi del male” della Terra di Mezzo con la descrizione di Casa Baggins, luogo di serenità e calma per antonomasia.
Le prime righe del Capitolo I de Lo Hobbit, tuttavia, saranno utilissime nel confronto che verrà proposto nel corso di questa analisi, che tenta di affondare le proprie radici nella trasformazione della Contea tra il libro già citato e Il Signore degli Anelli.
La Contea nella vita di Tolkien: parallelismi tra storia d’Inghilterra e opere letterarie
In realtà sono uno Hobbit (per tutto tranne l’altezza). Mi piacciono i giardini, gli alberi e la campagna non meccanizzata…
Con queste parole nella lettera a Deborah Webster nell’ottobre del 1958 Tolkien dichiara esplicitamente il suo amore per le creature della sua immaginazione più simili al suo modo di pensare e di vivere: gli Hobbit.
Partendo da questa relazione è interessante ragionare su come il Professore abbia sviluppato la storia della Contea, terra a cui gli Hobbit sono legati da amore e passione, proprio come il Professore alla “sua” Inghilterra.
Le dolci colline della Contea, punteggiate da boschetti, ruscelli e villaggi che ben si fondono con l’ambiente naturale, somiglia in modo evidente all’Inghilterra rurale che Tolkien amava vivere, assaporare e, probabilmente, descrivere.
La seconda illustrazione de Lo Hobbit, realizzata proprio da Tolkien nel 1937 e accompagnata dalla didascalia The Hill: Hobbiton-across-the Water ci mostra in modo inequivocabile l’idea della Contea del suo autore: pioppi, castagni in fiore in una campagna assolata, un fiumiciattolo attraversato da una strada in terra battuta, circondata da giardini con aiuole curate, con pochi edifici (in primo piano il mulino ad acqua, sullo sfondo le caverne Hobbit). Il paesaggio ricorda, come già detto, la placida campagna inglese che, così diversa dall’ambiente di Bloemfontein, colpì il giovanissimo Ronald immediatamente.
Egli dichiarò a William Foster, dell’Edinburgh Scotsman, nell’articolo An Early History of the Hobbits, 5 febbraio 1972: «La Contea fu ispirata da alcune miglia quadrate della mia adorata campagna di Sarehole», confermando il rapporto Contea-Inghilterra.
Perché, dunque, il Professore ha deciso di trasformarla in un luogo di corruzione e devastazione ambientale nel penultimo capitolo de Il Signore degli Anelli, quasi irriconoscibile agli occhi degli eroi di ritorno dalla missione verso il Monte Fato?
Prima di concentrarci sul cambiamento della patria degli Hobbit è necessario riprendere un po’ di storia dell’Inghilterra. Nel Paese d’oltremanica, infatti, un simile cambiamento è avvenuto tra il XVIII e il XIX secolo, quando l’economia di Sua Maestà iniziava la trasformazione verso la potenza industriale che avrebbe dominato il mondo per decine di anni. In principio toccò alla Riforma Agraria che, con gli enclosure acts, sanciva la recinzione dei terreni comuni demaniali, danneggiando i contadini e le piccole proprietà a favore della grande borghesia terriera. Tali leggi, emanate in più fasi tra la metà del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, trasformarono il paesaggio rurale, con muretti a secco che chiudevano boschi e campi e, soprattutto, modificarono in modo perpetuo lo stile di vita della campagna inglese: enormi masse di contadini, al limite della povertà, facevano affidamento da anni sulle possibilità offerte dai terreni comuni (pesca, raccolta di legna, caccia di animali di piccola taglia e raccolta), divenuti inaccessibili.
Tale scelta, forse inevitabile per la necessità dell’aumento della produzione agricola in seguito alla crescente domanda di uno Stato che si avviava a diventare “moderno”, innescò una reazione a catena: i contadini, privati di un mezzo di sostentamento fondamentale, furono costretti a riversarsi nelle città, venendo a costituire manodopera a buon mercato per la nuova macchina dell’industria, che seppe sfruttare al meglio questa possibilità, iniziando una crescita esponenziale.
Le città si trasformarono, i quartieri popolari divennero un susseguirsi di fatiscenti case di mattoni costruite in fretta e furia per ospitare i contadini disperati, con servizi igienici inesistenti e avvolti da un continuo e persistente inquinamento, generato sia dalle industrie, sia dai sistemi di riscaldamento delle abitazioni, a legna e costruiti senza l’attenzione necessaria.
Intere zone agricole delle periferie si trasformarono in veri e propri orrori industriali, devastati dalla criminalità e da uno stile di vita scandito dalle sirene delle fabbriche, unico mezzo di sostentamento di masse di disperati, costretti al lavoro per lunghissime ore, in cambio di salari bassissimi. Che una delle città più importanti nella vita e nell’adolescenza di Tolkien fosse Birmingham, centro abitato delle West Midlands, tra le regioni più industrializzate di Inghilterra, non è, per chi scrive, una casualità.
L’Inghilterra e la Contea “post-industriale”, un parallelismo
Dopo il calar della notte, stanchi e bagnati, i viaggiatori giunsero infine al Brandivino, e trovarono la strada sbarrata. Ad ambedue le estremità del Ponte si ergeva un grande cancello sormontato da lunghe punte aguzze; e sull’altra sponda del fiume del fiume videro ch’erano state costruite delle nuove case: a due piani, con strette finestre rettangolari, spoglie e scarsamente illuminate; il tutto molto squallido e per nulla in carattere con la Contea […].
Il Signore degli Anelli, Il Ritorno del Re, Capitolo VIII. Percorrendo la Contea
La Contea non è più il Locus Amoenus de “Lo Hobbit” o dell’inizio de “Il Signore degli Anelli”, ma un luogo altro, non più riconoscibile neppure dagli Hobbit stessi. L’unione tra gli abitanti della Contea e il paesaggio in cui sono immersi è venuta meno, così come una delle caratteristiche stesse degli Hobbit: l’armonia con la terra coltivata e la bellezza della natura. Il parallelismo con la trasformazione delle campagne inglesi tra XVIII e XIX, in seguito agli Enclosure Acts e alla Rivoluzione Industriale, e la Contea dominata da Saruman appare evidente non tanto nel paesaggio stesso, quanto nella nuova tipologia di residenze ed edifici produttivi, non più figli dell’economia rurale e sostenibile degli Hobbit, ma di quella industriale legata al profitto, a scapito dell’ecosistema e della bellezza.
La casa dei Guardacontea a Chianarana era tetra come la Casa del Ponte. Aveva un unico piano, ma le medesime finestre strette, ed era fatta di brutti mattoni sbiaditi e mal connessi. L’interno era umido e squallido, e la cena venne servita su di un lungo tavolo nudo che non era stato pulito per intere settimane. Il cibo non meritava un ambiente migliore. I viaggiatori furono felici di partire.
Il Signore degli Anelli, Il Ritorno del Re, Capitolo VIII. Percorrendo la Contea
Gli aggettivi utilizzati per descrivere le costruzioni che i Guardacontea utilizzano per il controllo del territorio sono ben diversi da quelli che siamo stati abituati a riconoscere nelle descrizioni della Contea: la ripresa de “Lo Hobbit” è servita con il riferimento all’interno di questa nuova costruzione in mattoni brutti e sbiaditi (richiamo non casuale agli edifici inglesi delle prima età industriale, ben diversi dalle costruzioni in mattoni rifiniti ottocentesche), che risulta umido e squallido, con finestre strette. Non è più la caverna Hobbit calda e accogliente, con la quale condivide soltanto lo snodarsi su un piano.
All’interno di queste nuove realtà sono snaturati tutti gli interessi Hobbit: il cibo è pessimo, il tavolo (inteso come luogo di convivialità) è sporco e non curato, l’ambiente non favorisce certo la passione per il godimento casalingo e culinario per cui i Mezzuomini sono famosi. I cambiamenti avvenuti durante l’assenza di Frodo, Sam, Merry e Pipino, pur essendo avvenuti in tempo relativamente breve, hanno sconvolto il territorio e le abitudini, trasformando la Contea in un incredibile “Luogo del Male”, inteso come luogo ormai corrotto.
Il cambiamento è simile alla trasformazione di Sarehole, il villaggio a una decina di chilometri da Birmingham in cui Tolkien ha passato gli anni più sereni della sua fanciullezza. Questo luogo, così diverso dalle vicine aree industriali della Birmingham in pieno sviluppo, venne rapidamente inglobato nel nuovo paesaggio urbano, perdendo i suoi silenzi, le sue notti stellate e gran parte della sua flora e fauna, diventando quasi irriconoscibile.
Analizzando il vero e proprio trauma subito da Tolkien nel constatare il cambiamento repentino dei luoghi della sua serenità familiare, divorati dalla frenesia della vita del primo Novecento, dagli edifici di mattoni e dal prolungarsi delle sicurezze e delle problematiche dell’appena terminata età Vittoriana, esso può essere comparato alla sorpresa e all’enorme dispiacere che gli Hobbit provano di fronte alla “nuova” Contea, irriconoscibile a tal punto da aver sconvolto le abitudini stesse dei suoi abitanti.
Tale idea negativa e pessimistica del progresso, condivisa da altri grandi scrittori e intellettuali del tempo (non ultimo Norris), emerge anche nella speranza che Tolkien affida a Sam e al dono che gelosamente egli conserva dall’incontro con Dama Galadriel: i semi del bosco incantato di Lothlórien, sparsi dal vento e resi ancor più efficaci dall’amore e dall’attenzione di Sam per tutto ciò che cresce rappresentano la possibilità di tornare alla dolce, calma Contea de “Lo Hobbit”, luogo da difendere e proteggere che, forse, ha conosciuto il male, ma che ha saputo ritrovare se stessa nonostante la profondità degli sconvolgimenti che il mondo, la società e il progresso le avevano causato. Nel rifiorire della Contea non c’è soltanto la speranza di poter tornare al “prima”: in questo processo di redenzione si intravede la speranza di cambiamento, in positivo, che la vita costantemente offre. Nessuno dei personaggi di Tolkien, iniziato il suo viaggio, sarà più lo stesso di prima e gli Hobbit stessi, nonostante abbiano dovuto affrontare pericoli e sofferenze inimmaginabili, torneranno cambiati dagli aspetti positivi che ciascuno di noi può e deve saper cogliere dalle difficoltà.
Il ritorno della Contea a un luogo di “Bene” ripercorre la stessa logica: la corruzione, la devastazione, la bruttezza e la cattiveria che avevano trovato terreno fertile nella Contea non sono altro che il metaforico viaggio degli Hobbit e si trasformano nel fertile terreno da cui una bellezza nuova e più duratura, perché conquistata a caro prezzo, potrà sbocciare, simbolo della speranza e di quei cambiamenti che, anche se fanno paura e ci sconvolgono, possono portare a mostrare un lato nuovo e migliore di noi stessi.