Salve Eärendil, che preannunci il Natale
O Oriens,
splendor lucis aeternae,
et sol justitiae:
veni, et illumina sedentes
in tenebris,
et umbra mortis.O (astro) Sorgente,
splendore di luce eterna,
e sole di giustizia:
vieni ed illumina
quelli che giacciono nelle tenebre,
e nell’ombra della morte.
Eala earendel, engla beorhtast,
ofer middangeard monnum sended,
ond ond soðfæsta sunnan leoma,
torht ofer tunglas, þu tida gehwaneof
sylfum þe symle inlihtes.
Swa þu, god of gode gearo acenned,
sunu soþan fæder, swegles in wuldre
butan anginne æfre wære,
swa þec nu for þearfum þin agen geweorc
bideð þurh byldo, þæt þu þa beorhtan us
sunnan onsende, ond þe sylf cyme
þæt ðu inleohte þa þe longe ær,
þrosme beþeahte ond in þeostrum her,
sæton sinneahtes; synnum bifealdne
deorc deaþes sceadu dreogan sceoldan.
Nu we hyhtfulle hælo gelyfað
þurh þæt word godes weorodum brungen,
þe on frymðe wæs fæder ælmihtigum
efenece mid god, ond nu eft gewearð
flæsc firena leas, þæt seo fæmne gebær
geomrum to geoce. God wæs mid us
gesewen butan synnum; somod eardedon
mihtig meotudes bearn ond se monnes sunu
geþwære on þeode. We þæs þonc magon
secgan sigedryhtne symle bi gewyrhtum,
þæs þe he hine sylfne us sendan wolde.
O earendel, tra gli angeli il più splendente,
inviato agli uomini sulla terra-di-mezzo
e del sole di giustizia radianza,
fulgido al di sopra delle stelle, di te stesso
sempre illumini ogni tempo.
Come tu, Dio nato da Dio da lunghissimi anni,
Figlio del vero Padre, eternamente esistito
senza principio nella gloria del cielo,
così con fede ora la tua stessa creazione a te
canta per le sue mancanze, per cui ci invii
quel sole brillante e tu stesso vieni
a rischiarare coloro che sempre han vissuto
immersi nelle tenebre e nell’ombra, qui
nella notte sempiterna; chi, avvolto dai peccati,
ha dovuto sopportare l’ombra scura della morte.
Ora, colmati di speranza, cerchiamo la salvezza
portata alle genti del mondo attraverso la parola di Dio,
che era in principio col Padre onnipotente,
a Dio egualmente coeterno, ed ora fatto
carne, libero dall’errore, nato da vergine
e sostegno per gli afflitti. Dio era con noi,
visibile senza peccato; insieme dimorano
il possente figlio del Creatore e il figlio dell’uomo,
in armonia tra gli uomini. Per sempre rendiamo
il nostro grazie al Signore Vittorioso per le sue opere,
poiché a noi egli si è dato.
Durante i suoi studi universitari tra la primavera e l’estate del 1914 John Ronald Tolkien s’imbatté in questi versi dal Libro di Exeter, uno dei codici maggiori della letteratura antico-inglese. All’epoca attribuito per intero al poeta Cynewulf o alla sua scuola, ad aprire il codice sono le composizioni indicate come il poema Crist, una raccolta di oltre 1600 versi divisa in 3 sezioni Christ I, II e III chiaramente autoconcluse, rispettivamente sull’Avvento, l’Ascensione e il Giudizio((Oppure Christ A, B e C secondo una notazione datata. L’unica attribuzione condivisa e certa oggi a Cynewulf è la sezione mediana, che reca la sua firma. Dopo averlo insegnato per una vita, Tolkien almeno nella maturità non ebbe un grande opinione di questo lavoro del poeta, come scrisse il 30 giugno ad un suo ammiratore e futuro anglo-saxonist di alta levatura, Paul Bibire «[è] di un noia deplorevole, perché è triste che un uomo (o uomini) dotato di talento nell’uso delle parole che deve aver sentito (o letto) così tanto di ciò che è andato perduto, sprechi il suo tempo componendo una materia così poco ispirata» (in Hostetter, Vinyar Tengwar 42, introduzione a The Rivers and Beacon-Hills of Gondor). Non si tratta certo del miglior lavoro del poeta o della scuola.)). L’antifona e le due stanze citate – in mia traduzione libera – provengono dal Christ I (versi 104-129), in cui sono raccolte 12 antifone d’Avvento in latino, che venivano/vengono cantate al Magnificat nella Liturgia delle Ore, seguite ognuna da una lirica in Antico-Inglese che approfondisce l’introibo. Éala éarendel engla beorhtast è l’antifona O Oriens, eseguita il 21 dicembre. Furono i primi due versi anglosassoni a sopraffare il giovane Tolkien (come solo gli era capitato prima con il poema finnico Kalevala).
Ho provato uno strano fremito, come se qualcosa si fosse mosso in me, che mi ha mezzo svegliato. C’era qualcosa di molto strano, remoto e bellissimo in quelle parole, se solo avessi potuto afferrarlo, molto più remoto dell’Inglese Antico. […] Non credo sia irriverente dire che la sua qualità curiosamente toccante può derivare da un mondo più antico»((Tolkien affida la testimonianza del suo stuporedi allora ad un personaggio di un racconto incompiuto di trent’anni successivo, Arthur Lowdham in The Notion Club Paper, vedi HME IX, Sauron Defeated a cura di Christopher Tolkien)).
Quel nome soprattutto lo colpì. Da studente dell’Exeter College poteva indagarne l’antichità (e probabilmente lo fece immantinente) su ogni testo mai stampato in materia, a partire dalla Teutonic Mythology di Jacob Grimm, monumentale lavoro del protettore di tutti i filologi comparatisti, che come tutti gli studi dei fratelli folkloristi tedeschi era materiale ordinario del suo corso. Grimm per primo aveva legato Earendel ai suoi corrispettivi nelle altre tradizioni germaniche, con particolare riferimento all’Aurvandill snorriano che accompagna Þórr nello Jǫtunheimr: per proteggere l’amico dalle brine del mondo dei Giganti, il dio del tuono se lo carica dentro una gerla, ma poiché essa non è abbastanza capiente un alluce rimane scoperto al di fuori, congelandosi, così Þórr onora la fedeltà dell’amico scagliando il dito nel firmamento, fissandolo ad astro. In Sassone è latinizzato come Horvandillus o Horwendillus, mitico signore degli Juti ucciso dal fratello e vendicato dal figlio che dissimula pazzia, costui è Amlethus (in Snorri col Nor. Amlóði), quello stesso principe che sarà poi rivisitato 4 secoli dopo da Shakespeare. Così come per i corrispettivi di Frodo, già per Earendel è forse tracciata una storia da ricostruire cercandola in quei miti che gli Anglosassoni avevano dimenticato dopo aver lasciato il continente per l’isola britannica e che si poteva forse intravedere nella parentela nordica con la letteratura scaldica e le cronache danesi((Tra le altre fonti più significative e al contempo apparentemente meno attinenti c’è senza dubbio il poema in Medio-Alto Tedesco Orendel, non anteriore al 1100, che Grimm individua partente sulla falsariga omerica dell’Odissea per poi trovare nell’intreccio elementi di netta ascendenza germanica che prendono la prevalenza. Il soggetto è il viaggio del principe eponimo da Treviri verso Gerusalemme, accordandosi allo spirito del tempo, alla conquista della sua regina quale propria sposa. Nel poema grande rilievo ha il ritrovamento della Santa Tunica.)). Se però il poeta di Beowulf conosce la fama di Fróda-Fróði e si aspetta che la conosca il suo uditorio nel menzionarlo senza ulteriore spiegazione, lo stesso non si può dire dell’omileta del primo Christ.
Nemmeno è del tutto chiaro se nella poesia ci si sta rivolgendo ad una stella – e se sì, quale – anziché all’aurora o all’albeggiare: nel tradurlo in Inglese Moderno, si è spesso adottato lo stesso termine arcaico dell’alba (“dayspring”) in uso per la traduzione diretta dell’antifona latina. Rimane perciò ancor più aperta la questione di che cosa l’éarendel anglosassone sia simbolo. Se il simbolo riverberi il vero sole in quanto sole sorgente (l’oriens originale, meno luminoso del “vero”), cioè Cristo “radianza” di Dio Padre, o se Cristo-Dio sia da intendersi come il vero sole, di cui è luce seconda un suo araldo santo o più propriamente angelico (o entrambi), o ancora la Vergine Maria. ((Affinché non stupisca l’inserimento della Madre di Dio nel novero dei candidati, giova ricordare che la poesia anglosassone di tipo elegiaco, massima espressione della letteratura di questa cultura, documenta la centralità del mare e l’impeto dei suoi protagonisti di avventurarvisi, così come dal mare i loro antenati era arrivati. Il titolo di “Stella Maris” per Maria protrettrice dei navigatori è uno dei più antichi e dei più fortunati, risalendo fino ad Eusebio di Cesarea e già popolarizzato da Girolamo (si vedano ad esempio i gregoriani Alma Redemptoris Mater e Ave Maris Stella). Il che, unito all’altro titolo siderale di Maria, “Stella del Mattino” (più tardo, condiviso con il Battista che lo possiede da prima nella liturgia), ammette una facile sintesi per l’invocazione.)).
Quale che sia l’identità mitica di Earendel (se mai ne ha avuta una) prima che i lirici ecclesiastici d’Inghilterra usassero il suo nome per tradurre l’Oriens dell’antifona dell’Avvento e svilupparlo in versi così appassionati, non si può saperlo per certo dalle leggende che sono sopravvissute. Tolkien, messo di fronte a quel nome così unico eppure così consonante alla lingua della quale era rappresentante, poté forse per la prima volta in vita propria avvertire l’irrefrenabile esigenza estetica di ricostruire, scoprendola, una storia che fosse addirittura anteriore alla separazione delle lingue germaniche. Un eroe per i comuni padri di Anglosassoni, Goti, Longobardi e Normanni di cui rimanevan tanti nomi e tante storie più o meno legate a quella originaria.
Nel settembre del 1914 scrisse dunque una poesia che parlava di Earendel il Marinaio del Cielo, ultima stella a scomparire al mattino e la prima ad apparire nel crepuscolo: Il Viaggio di Earendel, la Stella della Sera (che il giovane Tolkien titola anche in anglosassone e con lo stesso incipit in Christ) è la prima delle sue poesie che documenta una mitologia originale, che poi sarà riconosciuta ed adottata al punto di partenza della sua intera mitopoiesi. Ma il timoniere di Venere in principio compie un viaggio solitario nelle altezze, incurante o perfino timoroso degli uomini, privo di intenti salvifici, ora impegnato in una fuga cosmica, ora morente allo spuntare dell’alba. È qui ben diverso dall’Oriens. Interrogato dal suo amico (e a questo punto collega) poeta Geoffrey Bache Smith, che gli chiese di cosa parlava la poesia rispose:
Non lo so, cercherò di scoprirlo»((Humprhrey Carpenter, J.R.R. Tolkien. La Biografia. Gli anni della giovinezza e della guerra sono stati stupendamente raccontati e analizzati da John Garth in Tolkien e la Grande Guerra.)).
La scoperta comincia col sopraggiungere delle successive poesie e vedono il navigatore prestare crescente ascolto al lamento dalla terra da cui si era levato. Tramite le sue incursioni nelle successive poesie il cosmo del navigatore si popola di elementi sempre più mitici, di nomi che dai suoi glossari nei linguaggi inventati (all’epoca Qenya e Goldogrin) trovano un’ambientazione. Poi la Grande Guerra e la perdita di diversi amici, di due dei suoi più cari, tra cui proprio G.B. Smith, portò la sua riflessione nella prosa del Libro dei Racconti Perduti, in cui fin dal primo racconto – La Caduta di Gondolin (inverno 1916-1917) – Eärendel partecipa in prima persona dei dolori dei neonati Elfi ed Uomini, bambino tra i fuggiaschi dalla distruzione perpetrata dal Nemico. Le poesie appena legate di prima della guerra evolvono portandolo, adulto, a navigare in cerca di aiuto dalle angeliche potenze ad ovest del mare.
Nella letteratura tolkieniana di Eärendel poi Eärendil rimane molto poco, specialmente considerato il suo rilievo in quello che sarà Il Silmarillion. Prima il Racconto poi il Lay di Eärendil è una costante eventualità, vivendo soprattutto di brevi appunti e commenti nelle cronache e negli annali (se non mere suggestioni) che aggiornano poco la sua vicenda nell’arco dei sessant’anni, nonostante le varie revisioni che Tolkien apportò alla poesia originale((Si veda l’analisi di Christopher Tolkien in HME II The Book of Lost Tales- part.2, (nella traduzione italiana Racconti Perduti.)). Nel contempo è divenuto professore nell’Oxford in cui aveva studiato, esattamente di quella Lingua, Letteratura, epoca e cultura da cui era emerso il nome che aveva dato il via alla sua mitologia. Intanto si era forse riavvicinato alla fonte in cui l’aveva trovato per la prima volta?
In una bozza di risposta ad un ammiratore che gli chiedeva di alcune questioni di nomenclatura dall’opera pubblicata, Il Signore degli Anelli, affronta direttamente la questione ammettendo la derivazione del nome e mostrando (in una nota) di avere una precisa opinione di specialista su chi fosse l’éarendel degli Antichi Inglesi, grazie al paragone con una sua variante «se níwa eorendel Sanctus Jóhannes», la nuova stella del mattino (Venere), il neonato San Giovanni il Battista ((Blickling Homelies 14, Sancte Iohannes Baptista Spel (Sulla nascita di San Giovanni il Battista). La collezione omiletica è una delle più antiche ed importanti testimonianze del genere anglosassone ed è conservata alla Scheide Library della Princenton University. Nell’edizione critica più aggiornata, è curata da Richard Kelly, Continuum 2003.)). Descrivendo nel corpo che la ragione fondamentale per cui ha scelto quel nome è la profonda sensazione eufonica che gli aveva provocato, aggiunge:
L’uso di éarendel nel simbolismo cristiano anglosassone come araldo della venuta di Cristo, vero sole, è completamente estraneo al mio racconto. La Caduta dell’uomo appartiene al passato ed è fuori scena; la Redenzione dell’uomo appartiene al lontano futuro. Noi [siamo] in un’epoca in cui i saggi sanno che esiste l’Unico Dio, Eru, ma Egli non è avvicinabile se non dai, o attraverso i, Valar, benché Egli venga ancora ricordato nelle preghiere (silenziose) di chi discende dai Numenoreani»((Lettera #297 dell’agosto 1967 a tale Mr. Rang (non identificato), op. cit. sopra. Non è noto se Tolkien abbia rifinito la bozza e l’abbia inviata, il suo lettore avendo già ricevuto una breve risposta dall’autore ritenuta “alquanto severa”.)).
Se il giudizio espresso nella prima frase di questo stralcio era definitivo per Tolkien, nondimeno il suo Eärendil è affine al Battista esattamente secondo il distinguo da lui fatto anche in questa occasione, per il ruolo assegnatogli nella propria storia. Eärendil non è il Redentore, né le sue azioni permettono la redenzione di Elfi e Uomini che patiscono il giogo dell’Ombra, nemmeno quand’essi sono liberati per effetto della sua intercessione. Eppure è lui a calpestare (solcare) le vie del mare per presentare ai Valar (le Potenze, gli Angeli o i Santi, che amministrano la terra per conto di Eru) le invocazioni dei due Popoli ed è ancora lui ad aprire quelle del cielo per annunciare la liberazione – per dirla con Testi, sul piano naturale non su quello della Grazia, portando il Silmaril e la sua luce di speranza “Gil-Estel” nell’orizzonte degli oppressi, per sempre nel proprio itinerario sopra la Terra-di-mezzo dal primo vespro al primo mattino fino alla Fine dei Giorni. Eärendil non è dunque pari o superiore degli Angeli, ma finisce per diventare un loro messaggero a propria volta, dopo essere stato avvicinato da un loro araldo (Eonwë) che l’invita al loro cospetto chiamandolo:
l’atteso che giunge inaspettatamente, il desiderato che arriva al di là di ogni speranza! Eärendil, portatore di una luce più antica del Sole e ella Luna! Splendore dei Figli della Terra, stella nella tenebre, gemma nel tramonto, radianza nel mattino!»((Il Silmarillion, cap.XXIII Del viaggio di Eärendil e della Guerra dell’Ira.)).
Eärendil ha bisogno del decreto dei Valar, del loro Re Manwë vicereggente in Arda dell’Uno, la speranza che egli porta è sembra sconosciuta perfino a loro, supera in parte la loro stessa cognizione; anche i Valar hanno bisogno di Eärendil e sono loro per primi ad attenderlo senza sapere del suo arrivo. S’instaura così una logica derivativa che, dispiegandosi a più livelli interni ed esterni, delinea un’analogia che pervade tutta la letteratura tolkieniana e, infine, è ricevuta dallo stesso Frodo((Nello specifico dell’analogia, il sottoscritto ha grazie alla preparazione del presente articolo cominciato un lavoro di ricerca per descrivere nel dettaglio, che spero si mostri tanto interessante quanto ora è promettente.)). Dopo essere giunto a Gran Burrone il futuro Portatore dell’Anello ascolta, incantato, una composizione del ritrovato Bilbo sul Navigatore dei cieli, “Flammifer dell’Ovesturia”((Il Signore degli Anelli, Libro II, cap. I Molti Incontri.)). Molte volte è stato fatto notare come Il Signore degli Anelli e, per estensione, l’intero legendarium di Tolkien, si sviluppi tra binomi antitetici quali (anzitutto) Morte e Immortalità e (nel nostro discorso) Speranza e Disperazione. ((Verlyn Flieger in Schegge di Luce. Logos e Linguaggio nel Mondo di Tolkien ne ha esposto meglio di chiunque altro l’unità e la coesione tramite una degradazione discendente della mitologia dal principio fino alle storie degli Hobbit, in simbolismo espresso nella diminuzione e la frammentazione della luce originaria in primo luogo con la creazione e l’evoluzione delle lingue degli Elfi, secondo una Filosofia del Linguaggio assolutamente originale.)). Durante il primo riposo nel viaggio della Compagnia (e l’ultimo prima della separazione) a Lothlórien Frodo riceve da Galadriel una fiala in cui è raccolta la luce della stella di Eärendil e se ne ricorderà nella tana di Shelob.
Improvvisamente, mentre si ergeva in mezzo all’oscurità, col cuore invaso dalla più cupa rabbia e disperazione, gli parve di vedere una luce: una luce che brillava nella sua mente, quasi intollerabilmente luminosa da principio, come un raggio di sole agli occhi di chi è stato a lungo nascosto in un fosso senza fessure. […] “Padrone! Padrone!”, gridò Sam, e la vita e la fretta tornarono nella sua voce. “Il dono della Dama! La fiala-stella! Disse che doveva essere per voi una luce nel buio. La fiala-stella!”.
“La fiala-stella?”, ripeté Frodo senza capire, come chi risponde nel sonno. “Ma sì! Come ho potuto dimenticarla? Una luce ove tutte le altre luci si spegnessero! E ora davvero soltanto la luce può aiutarci”.
Lentamente si portò la mano al petto, e lentamente levò in alto la Fiala di Galadriel. Per un attimo scintillò fioca come una stella che sorge a fatica fra cupe nebbie, poi si fece più intensa, e la speranza crebbe nel cuore di Frodo, e la luce incominciò ad ardere, una fiamma argentea, un minuto fulgore abbacinante, come se Eärendil in persona fosse disceso dagli alti viali del tramonto con l’ultimo Silmaril in fronte. L’oscurità intorno si diradò, e parve che il bagliore risplendesse al centro di un globo di aereo cristallo, mentre la mano che lo reggeva sfavillava di fuoco bianco.
Frodo mirò strabiliato il meraviglioso dono che recava seco da tanto tempo, ignorandone il valore e la potenza. Di rado se ne era rammentato prima di giungere alla Valle di Morgul, e mai l’aveva adoperato, temendone la luce rivelatrice. Aiya Eärendil Elenion Ancalima! gridò, ma non comprese le parole pronunziate; gli parve che un’altra voce parlasse con la sua bocca, una voce limpida, inalterata dall’immonda aria della galleria»((Il Signore degli Anelli, Libro IV, cap.IX, La Tana di Shelob.)).
«Aiya Eärendil Elenion Ancalima!» traduce in Quenya (l’Alto Elfico) «Ave, Eärendil, la più splendente tra le stelle!». La voce che gli pare parlare attraverso di lui chiama in causa la speranza ricevuta ed incompresa, che in Eärendil aveva il suo più fulgente rappresentante, in modo analogo all’invocazione del poeta anglosassone. L’antifona di un pagano che un cristiano secoli dopo di lui non avrebbe avuto timore a rivolgere in Avvento, in un’inversione cronologica che è il risultato dell’invenzione letteraria nell’indagine filologica e la sua ricostruzione: l’Eärendil della tradizione elfica cui Frodo si rivolge per non cedere alla disperazione avrebbe potuto essere il precursore della leggenda germanica originale da cui poi l’éarendel anglosassone sarà adottato nella devozione dell’Antica Inghilterra((Per l’analisi di come la ricostruzione filologica del primo Eärendel tolkieniano è stata eseguita nelle diverse accezioni dell’éarendel, si veda Carl F. Hostetter in “Over Middle-earth Sent Unto Men: On the Philological Origins of Tolkien’s Earendel Myth” Mythlore #65.)).