L’Arkengemma è un Silmaril?

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L’articolo è un adattamento divulgativo di alcune pagine del magistrale commentario di John D. Rateliff in The History of the Hobbit cui appartiene la paternità della tesi, parte fondamentale della concezione, innovatrice e dirompente emersa nel testo citato, del legendarium di J.R.R. Tolkien e delle sue relazioni con Lo Hobbit. Il presente autore – riproponendo e aggiornando un contributo già comparso sui nostri canali social – elabora qui umilmente la tesi in un discorso più schematico, attraverso i punti salienti e senza pretesa di completezza nella speranza di allargare la diffusione del testo, ancora piuttosto sconosciuto al pubblico italiano, molto più del più della serie The History of Middle-Earth di cui è essenziale complemento.

Il deluxe set del 2007, con la 1a edizione di The History of the Hobbit in due volumi e il 70esimo anniversario di Lo Hobbit.


«”L’Arkengemma! L’Arkengemma!” mormorò Thorin al buio, sognante, con il mento poggiato sulle ginocchia. “Era come un globo dalle mille facce che splendeva come argento alla luce del fuoco, come acqua al sole, come neve sotto le stelle e come pioggia sulla luna!”»
Lo Hobbit, Notizie dall’Interno.

L’Arkengemma è uno dei tre Silmarilli?

La domanda ricorre spessissimo tra chiacchiere tolkieniane ed è tra le principali curiosità dei freschi lettori di Il Silmarillion. La risposta, tutt’altro che scontata, può essere espressa in due formule:

1 – Sia sì (a) che no (b).
2 – Sono i Silmarilli ad essere arkengemme.

Per quanto vi sembrino risposte ambigue o perfino assurde, procediamo con ordine e vedrete che vi sarà tutto chiaro. Divideremo perciò la risposta in paragrafi che vanno a concludersi in enunciati, sulla falsariga di uno schema teorematico.

Di solito la questione viene sollevata con la considerazione sulla fine di Maedhros figlio di Fëanor, che alla fine della Prima Era trafugò uno dei Silmarilli e, non potendo sopportarne le ustioni al contatto né di lasciare ad altri il sacro lascito del padre, si gettò in una bocca vulcanica consegnando alla terra il gioiello. L’Arkengemma è stata rinvenuta millenni dopo nelle profondità della Montagna Solitaria. I punti di contatto sono numerosi e notevoli: entrambi i gioielli suscitano in chi li ammira non solo la contemplazione, ma una brama di possederli che nemmeno gli spiriti più nobili trattengono senza incassare il colpo; la descrizione dei Gioielli nel Silmarillion ricorda da vicino quella del Cuore della Montagna.
Dall’altra parte viene profetizzato (e narrato senza possibilità di appello), che i Silmaril sono perduti fino alla Fine dei Giorni quando il mondo sarà fatto nuovo. Da Il Silmarillion1 non c’è dubbio che l’Arkengemma non possa essere il Silmaril della Terra tanto quanto non può essere uno qualsiasi dei rimanenti due.

RISPOSTA 1.b: No, quindi.

La risposta più rapida e precisa che viene quasi sempre data tra lettori inveterati. All’apparenza non sembrerebbe necessario procedere oltre nella discussione, visto che sul piano narrativo non si concretizza nessuna possibilità, nemmeno le più fantasiose, come ad esempio un viaggio del Silmaril di Maedhros tra le vene magmatiche del mantello fino ad un vulcano spento (Erebor)2 alle radici del quale i minatori di Thráin I ritroverebbero il tanto prezioso gioiello.

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La scoperta e l’estrazione dell’Arkengemma dal film Un Viaggio Inaspettato di Peter Jackson.

Ma la realtà della letteratura tolkieniana è sempre più complessa del livello puramente narrativo. Il primo limite di quest’approccio è l’incapacità di guardare a diversi elementi centrali della narrazione per quello che sono, ovvero invenzioni filologiche che contengono non solo una ricchezza interpretativa altrimenti sconosciuta, ma la loro stessa storia.

Cos’è un’Arkengemma?Arkenstone” è la traduzione in Inglese Moderno dell’Antico Inglese “Eorcanstán”, una “pietra mirabile, meravigliosa, preziosa”. La traduzione è originale di Tolkien e segue le regole di mutazione linguistica dell’Inglese. Le varianti di “eorcanstán” sono usate nei testi che Tolkien conosceva ed insegnava, in antonomasia indica le gemme (grezze o lavorate) che sono valutate sopra ogni bene e capaci di un fascino soprannaturale. Come Jacob Grimm ha fatto notare con i corrispettivi termini di Norreno e Gotico, il termine identifica addirittura un oggetto “santo”3. Nel Christ di Cynewulf “earcnanstan” è una metafora per Cristo stesso. Nel 1930 – quegli stessi anni in cui scriveva Lo Hobbit – Tolkien stava componendo gli annali delle prime versioni complete del Silmarillion. Nella finzione mitografica, gli Annali di Valinor e del Beleriand pervengono in Inghilterra grazie all’anglosassone Ælfwine, che li trascrive dall’Elfico all’Antico Inglese. Ælfwine traduce “Silmarilli” con la variante “eorclanstánas4.

RISPOSTA 2a: È evidente che i Silmaril sono da considerarsi arkengemme almeno nel primo senso, mentre l’Arkengemma di Lo Hobbit lo è a tutti gli effetti, compreso il valore sacrale (per i Nani). 

Si è allora accennato al secondo limite dell’approccio che guarda alle sole narrazioni di Lo Hobbit Il Silmarillion come punti fermi. Così facendo si dimentica che Il Silmarillion non è che una versione, l’unica pubblicata in una forma narrativa continua, di un’opera dall’evoluzione compositiva di oltre 55 anni e si dà per scontato non tanto che tutte le asserzioni ivi contenute abbiano egual valore “canonico”, ma che queste valgano a prescindere dal momento in cui sono state scritte. Il problema è che, se Lo Hobbit ha acquisito uno stato di opera narrativamente definita con la prima pubblicazione nel 1937 e questa non fu rivista nella maggior parte dei suoi elementi nelle edizioni successive, lo stesso non si può dire del Silmarillion. E prima, all’inizio degli anni ’30 (vedi sopra) le due linee creative si passavano il testimone sovrapponendosi leggermente.
Nel 1932 nella storia di Bilbo la Gemma di Girion, allora il gioiello principale sulla scena ma d’importanza limitata, diventa una collana e finisce sullo sfondo, mentre il suo posto centrale viene rimpiazzato dall’Arkenstone. Anche prima la Gemma viene descritta in modo tale da ricordare i Gioielli in una qualche misura, tuttavia in nessuno dei testi per composizione precedenti a Lo Hobbit ci sono riferimenti altrettanto estesi, il che rende difficoltoso ipotizzare somiglianze per immagini. Le loro sorti sono tutt’altro che definite in modo univoco fino al 1930, l’affermazione secondo cui i gioielli sono irrecuperabili deve però ancora fare la sua apparizione. Il pronunciamento definitivo avviene nel 1937, quanto nel racconto si sposta il centro narrativo dai Noldor ai Silmaril ed è lo stesso confluito parola-per-parola in Il Silmarillion pubblicato, affidato al narratore.

«E così avvenne che i Silmaril trovarono i loro sepolcriNdT1: uno nell’aere dei cieli ed uno nei fuochi al cuore del mondo ed uno nelle acque profonde».
Conclusione al Quenta Silmarillion5tr. orig.

Anche l’immagine dei Silmaril è solo accennata fino al Quenta Silmarillion, in cui viene fornita una descrizione analoga a quella del Cuore della Montagna. Di essi si dice che, oltre a possedere una propria radianza, «ogni luce che su di essi si posava … la ricevevano e riflettevano in meravigliose sfumature cui il loro fuoco interiore conferiva un fascino traboccante»6 (tr. orig.)NdT2.
Solo allora le leggende di Tolkien sui Tempi Remoti trovano il loro filo connettore nelle guerre di riconquista dei Gioielli, laddove prima la loro importanza stava per lo più nell’emblematica dei Noldoli. A quel punto Lo Hobbit era stato completato da tempo ed era prossimo alla pubblicazione.

The History of Middle Earth dall’editore americano Houghton Mifflin. In evidenza i vol. IV-V, The Shaping of Middle-Earth e The Lost Road & Other Writings, ove si osserva lo sviluppo del Silmarillion tra la metà degli anni ’20 e la fine degli anni ’30, dagli anni precedenti alla scrittura di Lo Hobbit fino a quelli immediatamente successivi alla pubblicazione.

È significativo che la riscrittura più consistente del legendarium fino a quel momento avvenga proprio appena dopo la pubblicazione di Lo Hobbit. Tolkien stava sviluppando l’idea del Silmaril proprio in Lo Hobbit, un’idea che negli anni precedenti aveva già rivisto 3-4 volte e che avrebbe rivisto ancora. L’Arkengemma era un Silmaril che Tolkien aveva magistralmente estratto dalla ri-elaborazione del mito su scala macroscopica per includerlo nella fiaba di Bilbo con un sinonimo, noncurante degli effetti a lungo termine. Non era certo l’unico elemento, ma sarebbe diventato uno degli elementi principali dell’intero mito, tanto da essergli intitolato. La ricomparsa di un Silmaril non doveva sembrare un grosso problema, finché la loro importanza rimaneva limitata ad una delle tante storie dei Noldoli. Con la centralità acquisita poi e forse proprio in conseguenza degli esperimenti narrativi sull’Arkengemma, senza la quale i Silmarilli non si sarebbero evoluti in questo senso, l’equivalenza divenne insostenibile.

RISPOSTA 1.a e 2: sì. L’Arkengemma era un Silmaril all’epoca di composizione di Lo Hobbit. Poi i Silmarilli divennero un gioiello santo per gli Elfi e guadagnarono tutte le accezioni di “eorcanstán“.

In definitiva la risposta è sia «sì» che «no».
E possiamo dire per certo che sono i Silmaril ad essere arkengemme
.

Per essere più precisi sulla risposta 1, possiamo dire che l’Arkengemma è stata un Silmaril fino alla pubblicazione di Lo Hobbit nel 1937 ma che già dall’anno successivo l’equivalenza è crollata. In effetti si genera un’asimmetria logica, una negazione del principio non-contraddizione, se tentiamo di considerare assoluti nel tempo i due elementi. Se chiediamo «l’Arkengemma è un Silmaril?» la risposta è affermativa, perché l’Arkengemma è un elemento rimasto sostanzialmente immutato, cristallizzato per giocare con le parole, dal 1937, anzi dal 1932, medesimo in tutte le versioni di Lo Hobbit; è il soggetto a dettare la condizione temporale, la propria. Se invece chiediamo «Uno dei Silmaril è l’Arkengemma?» e con ciò ci riferiamo a Il Silmarillion pubblicato, allora la risposta è «no». Se infine facciamo la stessa domanda ma nell’insieme del legendarium di Tolkien la risposta può essere sia affermativa che negativa ed anzi deve essere entrambe. È chiaro che il discriminante è l’intervallo di tempo considerato.

Questa e molte altre analisi in The History of the Hobbit hanno evidenziato che Lo Hobbit non è solo il magnifico racconto per l’infanzia, la fiaba (in senso lato) che tra le molte peculiarità contiene alcuni riferimenti sparsi ad una mitologia nota solo al suo autore, accenni utili per dare il senso o perfino l’illusione di un passato antico, in realtà ad esso estraneo. Il lavoro di Rateliff è riuscito a mostrare che la storia di Bilbo Baggins non entra nella mitologia del Silmarillion solo grazie al suo seguito Il Signore degli Anelli, ma che Lo Hobbit stesso contribuisce immediatamente al suo sviluppo in un continuo scambio di reciproche influenze. Il filone aperto da questo libro è oggi uno dei più percorsi negli studi sul Professore di Oxford, l’invito a rivalutare il primo romanzo pubblicato di Tolkien accolto con calore.

La tesi originale in The History of the Hobbit, The Second Phase, cap. XIV (later XIII) While the Dragon’s Away, II. The Arkenstone as Silmaril.

La Storia di Lo Hobbit

Per chiunque fosse interessato al libro (si tratta a tutti gli effetti di un libro di Tolkien) e desideroso di scoprire com’era Lo Hobbit prima di venir pubblicato e come l’autore lo ripensò dopo, così come altre questioni altrettanto importanti di quella discussa in questo articolo (ce ne sono davvero molte e altrettanto sorprendenti) lasciamo gli estremi d’acquisto. Immancabile per chi ha letto o sta leggendo The History of Middle-Earth, continuazione di cui replica l’approccio su Lo Hobbit, non incluso nell’immenso lavoro di Christopher Tolkien. Sebbene disponibile solo in Inglese è facilmente accessibile sia nella versione in volume del 2011 (cartacea o digitale) che in un’edizione concisa del 2015 (Brief History of the Hobbit), meno costosa e più facile da portare con sé, comunque contenente tutti i manoscritti. L’edizione originale del 2007 in due volumi in copertina rigida, più elegante, o formato paperback così come quella in box set (immagine in apertura) sono invece più difficili da reperire a prezzo di listino.

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NOTE (Ndt per la traduzione)

1 Si noti come è stato usato Il Silmarillion (in corsivo) al contrario dell’occorrenza precedente “… la descrizione dei Gioielli nel Silmarillion ricorda…”. La notazione è codificata come standard negli Studi Tolkieniani: il corsivo si riferisce al libro pubblicato nel 1977, il Silmarillion (senza corsivo) indica invece l’opera nel corso della sua intera evoluzione o, se volete, l’intera materia dei Tempi Remoti nella produzione letteraria di Tolkien. Talvolta il Silmarillion è scritto come il “Silmarillion” (virgolette alte). Con “… la descrizione dei Gioielli nel Silmarillion ricorda…” s’intende che, nonostante le differenze nelle varie versioni, la somiglianza più o meno marcatamente rimane. Sull’aspetto immaginifico vero e proprio si veda poi. La distinzione tra Il Silmarillion e il Silmarillion sarà fondamentale nel prosieguo dell’analisi.
L’uso del corsivo in “Silmarilli” , plurale Quenya di “Silmaril”, è dovuto alla convenzione per i forestierismi di lessico specifico. A seconda dei casi ho variato con il plurale non declinato “Silmaril”.

2 L’idea del vulcano estinto è stata presentata in diverse occasioni, senza mai provare l’arduo e probabilmente impraticabile sentiero di mostrarne l’evidenza. Tolkien in effetti lascia un accenno che sopravvive nel testo pubblicato per descrivere il primo scatto d’ira di Smaug al furto della coppa: «all’improvviso un rombo assordante si sprigionò dalle viscere della Montagna, come se un vecchio vulcano avesse deciso di ricominciare le sue eruzioni» (cfr. Notizie dall’Interno, p. 204 dell’edizione illustrata da Alan Lee, 2012). Una similitudine che Rateliff coglie al volo per ricordare l’isolamento e la prominenza topografici di Erebor, tipica di un rilievo vulcanico per quello che si può desumere dal testo. La costruzione della geografia della Terra-di-Mezzo per alcuni è magistralmente in accordo con le nozioni scientifiche dell’epoca, per altri è ingenua.

3 Jacob Grimm, Deutsche Mythologie (1835), piuttosto fortunata in terra inglese con la traduzione Teutonic Mythology di J.S. Stallybrass (1882-1888). Rateliff lega inoltre l’uso di questa accezione in Tolkien al libro di G.H. Balg A Comparative Glossary of the Gothic Language (1887) in cui la tesi viene estesa al di là dell’ambito germanico e che Tolkien potrebbe aver letto perfino dall’età liceale.

4 J.R.R. Tolkien, a cura di Christopher Tolkien, The Shaping of Middle-Earth (HME IV), 7. The Earliest Annals of Valinor, p.282, cronaca alla data della realizzazione. Di lì a seguire.

5 J.R.R. Tolkien, a cura di Christopher Tolkien, The Lost Road & Other Writings (HME V), 2.6. Quenta Silmarillion, p.331.
Esiste un’aggiunta a margine del Quenta rivisto del 1930 (Quenta Noldorinwa, op. cit. in nota 4, p.163) da non confondersi con il testo del volume successivo qui referenziato in cui si dice che i Silmaril «non potranno esser ritrovati, a meno che il mondo non sia infranto e rinnovato». Tale aggiunta costituisce l’unico appunto sull’irrecuperabilità dei Silmaril coevo alla scrittura di Lo Hobbit e dei Primi Annali. Nelle pagine successive Christopher Tolkien schematizza le principali differenze tra le versioni del Quenta e del precedente Sketch of Mythology mostrando i molti ripensamenti sulle sorti dei gioielli. Così, seppur primo nel menzionare la soluzione adottata in futuro, questo appunto è lontano da potersi considerare definitivo: passeranno altri 7 anni prima che Tolkien riprenda in mano il soggetto in una narrazione in prosa continua e stabilisca così il punto conclusivo.

6 Ibid. p. 227.

NdT1 Nella traduzione italiana di Il Silmarillion Francesco Saba Sardi ha preferito “dimore tanto attese“, il che però è piuttosto estraniante riferito ai Silmaril, probabilmente una soluzione evocativa per un’idea fatidica. La locuzione originale è “long home” è a sua volta usata come traduzione, ad esempio, del libro di Qoelet del Vecchio Testamento (Ecclesiaste 12.5), ma questa non corrisponde all’originale ebraico e greco di “dimora eterna”, anzi lo nega in quanto indica la tomba. Nel passo di quel testo sacro (spesso letto nella liturgia funebre) la traduzione inglese tentava di separare dimore di corpo e spirito, malinterpretando. L’accezione tombale è l’unica che Tolkien può aver usato qui e l’assenza di una connotazione eterna è infatti in accordo con la Seconda Profezia di Mandos.

NdT2 L’originale di “fascino traboccante” è “surpassing loveliness“. Rispetto a soluzioni classiche come “formidabile, straordinario” si è deciso di rendere l’aggettivo inglese cercando di mantenere un’idea comparativa.


Gabriele Marconi
responsabile di Tolkien Italian Network

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