Percorrendo la Trilogia: le Lingue di Tolkien con Gianluca Comastri

di Maria Laura Piro


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In occasione dei vent’anni dall’uscita de Il Signore degli Anelli al cinema, proseguiamo il nostro viaggio alla scoperta della trilogia di Peter Jackson. Stavolta approfondiremo il tema delle lingue degli Elfi e degli altri popoli della Terra di Mezzo insieme all’esperto Gianluca Comastri, cofondatore di Tolkien Italia e autore dell’opera in due volumi Le Lingue degli Elfi della Terra-di-Mezzo.


Ciao Gianluca, grazie per esserti messo ancora una volta a disposizione per aiutarci ad esplorare il mondo delle lingue di Tolkien, stavolta nella loro trasposizione cinematografica.

Ciao e grazie a voi, per avermi permesso una volta di più di farlo!

Puoi spiegarci brevemente quale fu l’importanza delle lingue inventate nel legendarium tolkieniano?

Per dare una risposta breve, senza le une non esisterebbe l’altro – e viceversa. Tolkien aveva iniziato a interessarsi alle lingue antiche fin dall’infanzia (e non è un modo di dire: è provato che a otto anni leggeva il Celtic Britain di John Rhys, trecento pagine fitte di discussioni etimologiche, intervallate da passaggi in latino e parole in greco antico non tradotte) e, proseguendo gli studi, aveva maturato la convinzione che le lingue antiche non solo raccontano i miti dei rispettivi popoli, ma in qualche modo ne fanno parte, essendovi imprescindibilmente legate. Così, negli anni a cavallo della Grande Guerra, mentre redigeva gli abbozzi delle prime versioni delle leggende di quello che sarebbe diventato il Silmarillion si ritrovò a compilare pagine di ricostruzioni linguistiche che diedero vita al Qenya e, qualche anno dopo, al Goldogrin (gli antenati concettuali di Quenya e Sindarin). Decenni più tardi, in A Secret Vice, mise per iscritto le conclusioni a cui empiricamente era giunto fin dall’inizio: la creazione di una lingua e di una mitologia sono funzionalmente correlate, al punto che costruire una lingua finirà per generare una mitologia.

Quante lingue inventò J. R. R. Tolkien?

Questa domanda rischia di aprire un pozzo senza fondo. Se pensiamo alle sole lingue di Arda ma, per esempio, consideriamo che esistono più fasi concettuali, dovremmo considerare che, a titolo di esempio, Gnomico e Sindarin sono due lingue distinte. Ma noi sappiamo che almeno parte del materiale che ha dato origine allo Gnomico è poi confluito, decennio dopo decennio, nel Sindarin come lo conosciamo da Il Signore degli Anelli… Volendo restringere il campo e fare riferimento solo alla fase più recente, quella consolidata a partire dalla pubblicazione de Il Signore degli Anelli (anche se consolidata, in questo caso, è una definizione ottimistica: Tolkien lavorò di revisioni praticamente fino a fine anni ’60 del secolo scorso…) diremmo che abbiamo due lingue parzialmente usabili, Quenya e Sindarin: una decina scarsa che hanno un certo ammontare di lessico e di grammatica pur non essendo affatto usabili (Ilkorin/Doriathrin, Telerin e Nandorin tra le elfiche, più Adûnaico, Khuzdul, Ovestron e il misterioso Taliska degli Edain della Prima Era); tre o quattro lingue di cui si hanno solo frammenti, vale a dire Valarin, Entese, Orchesco e Linguaggio Nero; infine, una serie non quantificabile di lingue quasi del tutto fittizie, come il Rohirrico, la lingua dei Drûg, due parole di almeno una tribù Haradrim e i celebri sei dialetti Avarin dei quali abbiamo ben una parola ciascuno.

Fra queste lingue, quali sono state inserite nella prima trilogia di Peter Jackson?

Un certo ammontare di Sindarin e Quenya, con dialoghi in gran parte ricostruiti creando parole e frasi non presenti nei materiali originali tolkieniani, più qualche frase in Rohirrico, in Khuzdul e in Linguaggio Nero e almeno una parola di Entese, l’affascinante burárum.

Anche lo spettatore meno attento percepisce che Lingue degli Elfi sono eufoniche, mentre la Lingua Nera di Mordor è molto aspra. Cosa significa ciò?

Questa distinzione riprende il concetto per cui la lingua è espressione della cultura e della personalità di chi la parla. Gli Elfi sono esteti, amanti del bello e dell’armonia in tutte le sue forme e le loro lingue riflettono tale propensione: Orchetti, Uruk e vari servitori dell’Oscuro sono invece, ovviamente, razze che mirano solo a conquistare e rovinare, incapaci di formulare pensieri che non siano di rozza brutalità: il loro parlato non può che essere sgradevole quanto loro stessi ambiscono a diventare.

Quali esperti sono stati contattati da Jackson per inserire le lingue di Tolkien nei film?

David Salo, che aveva iniziato a interessarsi di lingue tolkieniane già da giovanissimo ed è il fondatore di una storica mailing list a esse dedicata, Elfling, attivata nel 1998. Oltre a ricostruire le parole che servivano per i dialoghi di cui Jackson necessitava per il copione, si era occupato anche delle iscrizioni su pergamena e pietra che vediamo in alcune scene e delle parti in lingue dei brani della colonna sonora

I film hanno operato modifiche o semplificazioni sulle lingue di Tolkien?

Laddove hanno incorporato frasi tratte direttamente dal libro ovviamente sono stati fedeli. Per le ricostruzioni, invece, non sempre le cose sono semplici: anche volendo tentare di comporre nuove parole seguendo i criteri di Tolkien (e ovviamente conoscendo le regole per le quali una parola deriva da una forma etimologica antica!) bisogna fare i conti col fatto che le radici primitive elencate da Tolkien sono meno di un migliaio – per cui, per quanto alcune possano ricoprire più sfumature di significato, come ad esempio √OLOS che è glossata “sogno, visione, fantasia” e quindi può dare origine a parole che ricoprano tutto il ventaglio di significati compreso tra queste glosse, non vi è ovviamente la possibilità di compilare un vocabolario sufficientemente ampio. Per dire, “freccia” esiste solo in Quenya ed è ‘pilin’, ma siccome deriva da una radice √PILIN, Salo ha dedotto che la forma Sindarin dovesse essere a sua volta ‘pilin’, plurale ‘philin’, e così ha potuto scrivere il comando che Elrond e Aragorn impartiscono ai loro arcieri elfici in due scene di battaglia.

Quali sono nei film le tue scene preferite in cui si parla una di queste lingue?

Quella in cui Gandalf scandisce una formula con cui tentare di aprire le porte di Durin, Annon Edhellen / edro hi ammen / fennas Nogothrim / lasto beth lammen. Molti anni dopo ho saputo che, per quella battuta, Ian McKellen era andato a cercarsi registrazioni in cui Tolkien parlava elfico e aveva cercato di impostare la voce in modo da ricordare l’intonazione e la cadenza del Professore! Poi ho apprezzato l’Aiya Eärendil elenion ancalima! di Frodo nella tana di Shelob, che tra l’altro è una delle poche parti in lingue doppiate, forse l’unica: quello che sentiamo è Davide Perino, non Elijah Wood, il che mi ha fatto apprezzare doppiamente quella battuta.

E invece nei libri?

Il Namárië di Galadriel, senza dubbio.

Secondo te gli attori hanno saputo pronunciare bene le loro battute in elfico? Chi è stato il migliore a tuo parere?

Gli attori, in lingua originale, pronunciano l’elfico in modo pressoché impeccabile, con cadenze e accenti corretti e cercando di concentrarsi sulla corretta pronunzia della R che è sempre trillante, come in italiano, e mai “arrotata” come in inglese. D’altronde, per apprendere a padroneggiare l’elfico, sono stati sottoposti a un training che non esito a definire spietato.

Parliamo adesso degli alfabeti tolkieniani. Sono numerosi tanto quanto le lingue inventate dal Professore? Quali di essi sono presenti nei film?

I sistemi di scrittura in uso nella Terza Era sono sostanzialmente due, il Cirth o Angerthas (quello dell’epitaffio di Balin) che è un alfabeto simile alle rune storiche, e le tengwar come nell’iscrizione sull’Unico (che anche se è una frase in Linguaggio Nero è comunque vergata in caratteri elfici, a maggior sfregio) oppure sulle porte di Durin. Le tengwar sono un sistema fonetico, in cui a ogni segno può corrispondere un suono diverso a seconda della lingua in cui si scrive, per cui non c’è un modo unico di rappresentare le parole: l’iscrizione sulla porta di Durin è in un modo, detto del Beleriand, che era in uso per il Sindarin già dalla Prima Era ed è molto diverso da quello per scrivere in Quenya, nonostante i caratteri siano gli stessi. Quindi la risposta è no, abbiamo molti meno sistemi di scrittura rispetto alle lingue, ma uno di questi due sistemi può dare luogo a un numero virtualmente infinito di modi di scrittura: c’è da sbizzarrirsi.

Secondo te c’è differenza tra il ruolo che le lingue hanno nei libri e la funzione che esercitano nei film?

Dal mio punto di vista no. Sia nei film che nel libro, i personaggi ricorrono alle lingue di Arda in momenti di particolare enfasi, in cui l’emozione ha il sopravvento e il dialogo aumenta di intensità. Questo aspetto è reso automaticamente nei dialoghi, dato che anche le forme ricostruite da Salo sono inserite in scene in cui il criterio delle battute dei personaggi è sufficientemente in armonia con la prosa del Professore.

Cosa consiglieresti a chi volesse approfondire il vasto mondo della glossopoiesi tolkieniana?

Consiglierei… di andarci molto, molto cauti nel seguire consigli! Specialmente se provengono da autoproclamati guru che sono più desiderosi di imprimere negli altri il loro metodo e i loro criteri che non di raggiungere una comprensione della linguistica tolkieniana realmente maggiore e di formare pensatori critici. Io credo che il metodo più efficace sia quello di guardare a ciò che è stato fatto finora da altri autori che si sono cimentati nel formulare teorie e spiegazioni ma poi, appena si ha sufficiente dimestichezza con i concetti di base, di procurarsi i documenti originali nelle carte di Tolkien dove c’è la maggior parte di nozioni genuine, vale a dire alcuni volumi della History of Middle-earth (aggiungo anche il recente The Nature of Middle-earth) e i numeri di Vinyar Tengwar e Parma Eldalamberon, e di lavorare direttamente su Tolkien. A tutta prima le lingue elfiche, le sole che è possibile studiare con metodo, possono sembrare bizzarre, ma pur con tutti i loro limiti di grammatica e di lessico sono affrontabili esattamente come una qualsiasi lingua straniera. Hanno però il vantaggio di essere l’altra faccia della medaglia di una vera e propria mitologia moderna, straordinariamente evocativa e affascinante, il che di sicuro agevola non poco l’apprendimento.